Diamo a tutti i viandanti che sono nel mondo la cittadinanza romana e il diritto a migrare ovunque vogliano per diretta via e senza impedimento eccetto coloro che visibilmente congiurano contro l’umanità e la comunanza del genere umano.
Sono parole vecchie 1806 anni, ma suonano come rivoluzionarie, oggi più che mai. Il collettivo di architetti Stalker/No working le ha incise su una stele di Travertino e domenica 22 aprile le ha portate in giro per tutta Roma in occasione della Camminata per la cittadinanza planetaria.
Una camminata per la cittadinanza planetaria
“La preparazione è cominciata nel giorno del Nowruz, il capodanno persiano che ricorre il 21 marzo, con le giornate Attorno aTermini. Abbiamo costruito una struttura per portare la stele per le vie della città e abbiamo tradotto un estratto della Constitutio Antoniniana in 65 lingue, compresi alcuni dialetti”, spiega Giulia Fiocca del collettivo. Nelle settimane precedenti è bastato incontrarsi e mettersi a tradurre in Piazza Vittorio perché le parole latine prendessero i suoni delle lingue di tutto il mondo con il contributo di curiosi e passanti.Mentre Giulia Fiocca racconta come nasce l’iniziativa, in Piazza di Porta Maggiore i ragazzi di Scomodo, il mensile a cui collaborano liceali e studenti universitaria, i migranti accolti a Piazzale Maslax da Baobab Experience e tutti quelli che hanno partecipato ai lavori di preparazione sono pronti per la camminata di cittadinanza. Da via Statilia, sede dei locali di SpinTime, si avvicina una struttura, in bamboo e corde, costruita per trasportare la stele: la forma è molto simile allo scheletro di una barca.
Ombrelli gialli per la cittadinanza
Nel corteo che si mette in moto saltano all’occhio macchie di ombrelli gialli. Vengono dalla città svedese di Varberg, a Roma sono arrivati con Marcel, congolese, e Farid, somalo, entrambi rifugiati in Svezia. Per il progetto Varberg Calling for Peace, sono stati distribuiti nella città 400 ombrelli gialli perché cittadini e migranti li condividessero per chiacchierare, conoscersi e camminare insieme. “L’ombrello è simbolo di protezione e il giallo è il colore del sole, della speranza”, spiega Farid, studente ventiseienne di ingegneria aerospaziale.Per lui, in nord Europa dalla Somalia da 3 anni, è stato proprio così: “avevo letto su internet delle difficoltà che i migranti incontravano in Svezia, così per paura ho vissuto 6 mesi sempre chiuso nel campo. Stavo per diventare pazzo. Poi un giorno ho deciso di uscire, ho incontrato una donna, Cristina, e abbiamo cominciato a chiacchierare sotto l’ombrello giallo”.Camminando tra le strade della cittadina svedese sono crollate tutte le paure di Farid e adesso è impegnato in attività di integrazione organizzando incontri di cucina: “Voglio fare la mia parte: il cibo è uno strumento di comunicazione e favorisce la conoscenza reciproca senza pregiudizi”.
La cittadinanza in tutte le lingue
Mentre Farid racconta la ricetta svedese per l’integrazione, il corteo arriva a Piazza Vittorio per la prima tappa e i partecipanti, ognuno nella sua lingua, sono chiamati a declamare la Constitutio Antoniniana. Abdul Shinvari, afghano, dà voce alla traduzione in lingua pashtu: “Qualche settimana fa ho incontrato loro che traducevano queste parole e mi sono unito, vengo spesso in Piazza Vittorio quando non lavoro. Sto imparando l’italiano e sto cercando un lavoro stabile, sto bene qui. Sento che gli italiani sono vicini agli afghani, nel cervello, nel modo di vivere”, racconta Abdul che dal 2008 ha fatto varie tappe in Europa, ed è stato costretto a tornare a Roma.Quando la struttura riprende la marcia, Abdul la fissa: ”in Afghanistan, in guerra, usavano qualcosa di simile per aprire le porte della città”. Ma questa volta in testa al corteo sventola la bandiera della pace: si arriva in via dei fori imperiali, e proseguendo per il serpentone di strade panoramiche, che parte da via di san Pietro in Carcere, la stele arriva in Via Petroselli, dove tutto è pronto per i festeggiamenti del Natale di Roma. L’equipaggio lascia cadere il blocco di marmo perché si frantumi: un solo frammento resterà a Roma, gli altri raggiungeranno Lesbo, Lampedusa, Melilla e Calais con la speranza che le parole del passato possano contaminare il presente.
Rosy D’Elia(1 maggio 2018)
Galleria fotografica di Marco Passaro