Dal 19 al 27 aprile si è svolta la 36° edizione del Fajr International Film Festival iraniano che sta acquisendo sempre più importanza a livello europeo grazie al lavoro indipendente e alla notorietà internazionale, nonostante la censura, di registi come Abbas Kiarostami, recentemente scomparso, Mohsen Makhmalbaf, Jafar Panahi e Asghar Farhadi. Quest’ultimo è salito agli onori delle cronache l’anno scorso per aver vinto il premio Oscar come miglior film straniero, con il suo “The Salesman”. A causa del travel ban deciso dal presidente Usa, Donald Trump contro i cittadini di sei nazioni, tra le quali l’Iran, Faradhi decise di boicottare la cerimonia di Los Angeles e di non andare a prendere il premio. La prossima settimana, in compenso, ad aprire il festival di Cannes sarà proprio il film di Farhadi, “Everbody knows” con Penelope Cruz e Javier Bardem. Ancora in forse, invece, la partecipazione di Jafar Panahi con il nuovo film in concorso “Three Faces” perché il regista iraniano, Orso d’Oro a Berlino con il suo Taxi Tehran, si trova agli arresti domiciliari come dissidente. Un appello è stato inviato dagli intellettuali iraniani e dagli organizzatori del festival di Cannes al governo iraniano per consentire al regista di uscire in occasione del Festival di Cannes, dal proprio paese. Interrogato in proposito, durante il festival, il ministro della Cultura iraniano, Abbas Salehi, ha detto che “una decisione finale ancora non è stata presa. C’è ancora tempo per vedere cosa accadra” ha concluso lapidario.Per quest’ultima edizione del Festival di Teheran sono stati selezionati 120 film da 54 paesi del mondo. Particolarmente significativo il momento della cerimonia finale quando il direttore del festival, Reza Mirkarimi, ha chiamato il tre volte premio Oscar regista e produttore americano Oliver Stone, acclamato da un pubblico in delirio di studenti di cinema, a consegnare il premio per la Pace alla regista cambogiana Rithy Panh. “Sono preoccupato – ha detto il regista in proposito –perché vedo accerchiato l’Iran da minacce di guerra”. Per l’omaggio al cinema italiano sono stati selezionati dalla giuria iraniana sette film prodotti nel 2017 che hanno già riscosso molti riconoscimenti di critica e di pubblico: Tito e gli alieni di Paola Randi, Il Demone di Laplace di Giordano Giulivi, l’Ora legale di Ficarra e Picone, A Ciambra di Jonas Carpignano, L’ordine delle cose di Andrea Segre, Dove cadono le ombre di Valentina Pedicini e L’equilibrio di Vincenzo Marra.Il festival si è svolto nella nuova sede del Charsou Cineplex, di proprietà – si mormora – del figlio dell’ Ayatollah Khomeini, autore di una nota introduttiva nel catalogo della rassegna. Si tratta di un enorme e modernissimo centro commerciale di standard occidentale, che evoca però il mondo islamico per la suggestiva grata bianca intrecciata che ricopre la facciata, ispirata sembra a quelle utilizzate nelle moschee per separare le donne dagli uomini durante la preghiera.Al piano terra giganteschi televisori e home theatre, oltre ad elettrodomestici di ultimissima generazione, poi cellulari e ogni altra apparecchiatura destinata a un pubblico di “consumisti”. Al quarto e quinto piano le sale cinematografiche grandi e con comodissimi sedili reclinabili dove assistere alle proiezioni, mentre tutto intorno al piano dedicato ai ristoranti, si snoda un grande terrazzo dal quale ammirare la vista sulla città. Sembra di essere in un grattacielo di New York piuttosto che nella città degli Ayatollah.In giuria tra nomi di famosi critici internazionali, si nota la presenza di Mohammadreza Zaeri, dottore in studi religiosi e master in “Islam e relazioni cristiane presso la Saint Joseph University di Beirut”, ma con la passione per il cinema. Forse a lui risale la decisione di censurare i vari decolletè, già molto casti peraltro, delle attrici interpreti dei film, con una sorta di oscuramento come quello che si usa per nascondere il viso dei minori nelle fotografie non autorizzate.Ospite d’onore che ha tenuto a battesimo l’apertura della rassegna, Franco Nero, 76 anni ben portati, acclamato dal pubblico iraniano come “leggendario” interprete di Django, l’iconico spaghetti western del ’66 diretto da Sergio Corbucci. Nero che nel 2011, ha ricevuto una stella sulla Walk of Fame italiana a Toronto, si è presentato al pubblico come “un uomo molto fortunato: “credo di essere l’unico attore – ha detto – che ha interpretato ruoli in 30 paesi diversi e questo mi rende molto orgoglioso, ma d’altra parte – ha concluso – io sono fatalista, credo in un proverbio africano che recita: “ti puoi anche svegliare presto al mattino, ma il tuo destino si sveglia comunque 30 minuti prima di te” .Ad aprire la rassegna italiana “Tito e gli alieni di Paola Randi con Valerio Mastandrea. “È una storia piccola, di gente sospesa sperduta in un luogo immenso – ha detto la regista presentando il film – l’Area 51, il posto misterioso dove si dice che vivano gli alieni. È qui che si ritrovano i due fratelli, Tito e Anita, spaesati, ma determinati a trovare una soluzione dopo la morte del padre. Anita progetta la fuga, Tito vuole ad ogni costo parlare con suo padre ed è convinto che quell’uomo depresso sul divano, che a vederlo così non sembra granché, in realtà sia un grande scienziato e riuscirà ad aiutarlo”.Nella sezione Broken Olive Branches dedicata a film e documentari sui paesi mediorientali teatri di guerra come Palestina, Siria, Yemen, Myanmar, Egitto, Iraq, Libano, e Turchia, uno dei film di maggior successo di pubblico è stato Writing on the snow del regista palestinese Rashid Masharawi, cresciuto nel campo profughi di Shati e oggi uno dei più famosi e premiati cineasti mediorientali. Il film ci porta dietro le quinte dell’eterno conflitto israelo palestinese, attraverso la vita di cinque palestinesi che vivono assediati nel loro piccolo appartamento di Gaza. “Le divisioni politiche e sociali al loro interno, l’intolleranza religiosa, la mancanza di accettazione dell’altro – ha spiegato Masharawi – renderanno debole e perdente la loro resistenza nei confronti dell’occupazione israeliana”.Nella stessa sessione il film del siriano, Joud Said, The rain of Homs girato nel 2014 tra le rovine della città bombardata, che, all’orrore della guerra vissuta in diretta, contrappone l’amore salvifico sbocciato tra i due protagonisti, inizialmente nemici, che infine si salvano aiutandosi l’un l’altro e sopravvivendo insieme a due bambini, a una guerra insulsa voluta da altri. Oliver Stone, oltre a presenziare alla cerimonia finale della consegna dei premi, è stato l’acclamato protagonista dell’incontro con i ragazzi del “Talent Campus” che studiano cinema. Il regista che ha preso le distanze dall’industria cinematografica degli Stati Uniti, ha parlato del suo film uscito nel 2016 sulla storia di Edward Snowden. “ E’ stato un incubo realizzarlo – ha detto alla platea degli studenti – non ero in grado di trovare i soldi necessari perché nessuno negli Usa voleva avere a che fare con la storia di Snowden. La maggior parte della gente nel mio paese pensa che non sia una brava persona perché ha rivelato dei segreti di Stato. Ma per me Snowden è un eroe americano – ha affermato il regista – e ho voluto raccontare la sua storia perché era fondamentale che le persone capissero quello che ha fatto. Lui ci ha aiutato molto – ha raccontato Stone ai ragazzi – ci ha fornito molti dettagli tecnici sulla NSA e il film, quindi, ricostruisce la storia così com’è andata”.Nella serata del 25 aprile, si sono accese le luci del Vadhat Hall, il teatro più importante di Tehran, per ospitare il concerto del maestro Nicola Piovani, previsto nell’ambito del Fajr film festival e curato dall’ambasciata italiana. “La musica è pericolosa” è il titolo del concerto, preso in prestito da una frase di Federico Fellini, che il maestro, premio Oscar, sta portando in giro in tutto il mondo. “La musica è pericolosa perché incanta – ha spiegato il maestro – depura l’anima da tutte le scorie che si affollano su di essa durante la vita quotidiana, così l’anima può sollevarsi leggera verso una dimensione altra, dove il confine tra ciò che esiste e ciò che non esiste è più sottile del rigo di un pentagramma”.Il concerto tra musica e parole, è stato un racconto intimo della vita di Piovani “segnata” dalla musica fin da bambino, quando sentiva suonare le campane del campanile di un convento di monache vicino a casa sua. “Ricomponendo e scomponendo quelle tre note: mi, fa, sol, all’infinito, non avrei mai potuto immaginare – ha raccontato il musicista – che sarebbero servite un giorno all’introduzione di una canzone di Fabrizio De Andre contro la guerra: “Il Bombarolo”.Si continua, poi, con le colonne sonore scritte da Piovani per i film di Fellini, “L’Intervista” e “Ginger e Fred” e il pubblico, per gran parte italiano, vibra di emozione risentendo tra i cristalli del Vadhat, la voce di Marcello Mastroianni che canta Caminito, nella scena centrale dei film di Bigas Luna “De eso no se habla”, insieme allo scorrere di bellissime immagini del divo italiano. Il bis il maestro lo dedica, emozionato, a un omaggio al grande regista e “amico” Vittorio Taviani, scomparso di recente, suonando con la sua orchestra la musica scritta per il film la Notte di San Lorenzo. Inevitabile a grande richiesta chiudere con La Vita è bella di Roberto Benigni che valse al musicista e al regista il premio Oscar nel 1999.
Francesca Cusumano(27 aprile 2018)
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