“L’Abisso” è uno spettacolo teatrale ideato e recitato da Davide Enia, drammaturgo, attore e scrittore palermitano, autore di Appunti per un naufragio da cui è tratta l’opera con cui Enia ha vinto, il 30 novembre 2018, la 44esima edizione del Premio letterario internazionale “Mondello”.
Lo spettacolo attualmente è in scena al Teatro Biondo di Palermo, dopo l’esordio al Teatro Argentina di Roma avvenuto questo autunno.
La scenografia è essenziale: due sedie al centro del palco e una chitarra con cui il musicista Giulio Barocchieri accompagna magistralmente la performance di Enia, raccontando il dramma che da circa venticinque anni affligge Lampedusa. Nel testo, così come nello spettacolo, la vicenda familiare dell’autore e nello specifico la morte per malattia dell’amato zio Beppe, si intreccia con il dramma degli sbarchi. Una tragica realtà con cui entra in contatto fin dal primissimo soggiorno sull’isola.
Davide, che cosa rappresenta l’abisso nello spettacolo?
L’abisso è l’occasione di una riflessione profonda sulla tragedia contemporanea che sta accadendo sotto i nostri occhi per riportare nello spazio condiviso del teatro il tempo presente, la sua crisi e i suoi drammi. In questo caso l’abisso non va identificato con il vuoto ma piuttosto con una lente, uno specchio a cui guardare e che riflette l’immagine che abbiamo scelto di essere.
Da cosa nasce l’esigenza di rielaborare in spettacolo teatrale un tema già trattato nel libro?
Questa necessità nasce da un forte senso di fastidio e di disturbo che ho provato nel raccontare i fatti di cui sono stato testimone proprio a causa della loro indicibilità. Penso che non esistano parole abbastanza aderenti, adatte a descrivere quello che sta accadendo nel Mediterraneo e il “fallimento della parola” mi ha portato a ricercare un linguaggio alternativo per affrontare questa tragedia immane. A teatro mi servo della musica, del canto, dei gesti, della mimica facciale, per raccontare da una parte la tragedia della moltitudine di persone che attraversa nazioni e poi il mare in condizioni al di là di ogni immaginazione e dall’altra la manciata di uomini e donne che cercano di accoglierla.
A proposito dell’ineffabilità del dramma dei migranti, cosa ne pensi di come questo viene trattato quotidianamente da politici e giornalisti?
Penso che purtroppo il tema venga costantemente strumentalizzato dalla propaganda politica e sia concepito come un business. A Lampedusa ho parlato con i residenti, i pescatori, il personale medico, gli operatori, gli uomini della Guardia Costiera, persone che ogni giorno si interfacciano con la realtà degli sbarchi, è così che sono entrato in contatto con i loro tentativi e le difficoltà nel raccontare il trauma con cui da anni sono costretti a relazionarsi. Ne abbiamo parlato in dialetto siciliano, la lingua della nostra culla, per poter trovare le parole più giuste senza riuscirci fino in fondo. A Lampedusa ho scoperto la “frontiera” del mio linguaggio.
Citando dal tuo libro: “Possiamo nominare la frontiera, il momento dell’incontro, mostrare i corpi dei vivi e dei morti nei documentari. Le nostre parole possono raccontare di mani che curano e di mani che innalzano fili spinato. Ma la storia della migrazione saranno loro stessi a raccontarla, coloro che sono partiti e, pagando un prezzo inimmaginabile, sono approdati in questi lidi.” Pensi che solo i diretti interessati potranno parlare del loro trauma e della crisi del momento storico che stiamo vivendo?
Io credo che passeranno molti anni prima che queste persone saranno realmente in grado di parlare del loro vissuto. Arrivati in Italia i migranti non hanno gli strumenti linguistici per raccontare il dramma, possono farlo solo in una lingua seconda o terza, usando semplificazioni che non restituiscono la tragedia affrontata. Penso inoltre che il trauma abbia bisogno di tempo per essere rielaborato, un po’ come è successo ai sopravvissuti ai lager nazisti che hanno impiegato anni prima di rendersi pienamente conto di ciò che è stato e per riuscire a parlare dell’immenso dolore vissuto.
Che cosa rappresenta per te Lampedusa?
Lampedusa è un’isola che conosco bene, dove non smetterò di tornare, in cui ho intessuto legami umani e sentimentali. Lampedusa è un posto dove il cielo ti schiaccia, è un luogo iconico, metafora di un naufragio collettivo e personale, contenitore del dramma storico del nostro tempo. Lampedusa è una delle tappe dove “sta accadendo la storia”.
Alessandra Marchioni(03 novembre 2018)
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