“Ai sommersi e ai salvati”, a loro è dedicato il libro-testimonianza di Medici per i Diritti Umani “L’umanità è scomparsa” a cura di Alberto Barbieri, coordinatore MEDU e con la prefazione di Massimiliano Aragona.“L’idea è nata dall’esigenza di narrare e di scrivere anche in modo catartico le esperienze che stavamo facendo sul campo”spiega Flavia Calò, psicologa e psicoterapeuta, una dei 12 scrittori, tutti medici, psicologi e mediatori culturali, chiamati a raccontare l’incontro quotidiano con centinaia di persone che dal loro Paese di origine si incamminano sulle rotte migratorie del XXI secolo.La scrittura è variegata “ognuno si è espresso liberamente, ad esempio in “Tutto il bosco ha tremato” Giulia Chiacchella, narra poeticamente quel che accade a Rosarno, Pozzallo e Roma e che ha vissuto e toccato con mano.”
L’umanità è scomparsa: “Il canotto imbarca acqua”. Da via Cupa alla Sicilia.
“Il canotto imbarca acqua” è il racconto di Flavia Calò, che si occupa da 12 anni di patologie post-traumatiche complesse e, in particolare, delle tematiche riguardanti i rifugiati sopravvissuti a tortura e violenze estreme.“Il canotto su cui viaggia il Senso di Umanità aveva iniziato a sgonfiarsi” e piano piano prende acqua dalla partenza di Via Cupa nel 2015 fino ad arrivare ad oggi.“Nel 2015 lavoravo a Roma come psicologa e psicoterapeuta del CIR, Consiglio Italiano Per i Rifugiati, e ho risposto alla chiamata alla solidarietà lanciata dall’allora responsabile del Baobab. Sono andata lì come volontaria affacciandomi a quest’altro mondo, un mondo di trincea. Ho sentito il bisogno di scendere in campo, così prima Via Cupa e poi la partenza per la Sicilia come coordinatrice del Progetto “On.To.” di Medici per i Diritti Umani”.
Il primo impatto in Sicilia?
“Ho visto tutto un altro mondo. Prima lavoravo nelle stanze, invece con MEDU andavamo noi, con un team mobile di medici, psicologi e mediatori, nei centri di accoglienza straordinari, CAS, della provincia di Ragusa e anche nel CARA di Mineo. Quando lavoravo a Roma, al CIR,chiedevamo e vedevamo poco rispetto a una tortura subita lungo il viaggio e in Libia: erano corpi segnati dalle problematiche del Paese di origine e poi dal lungo viaggio. In via Cupa ho iniziato a sentire l’odore della morte sui corpi delle persone, in Sicilia con il progetto sbarchi sentivamo la “puzza” della morte che portavano, perché loro quella morte l’avevano avuta vicino, addosso, soprattutto le donne. Indimenticabile una mamma con una bambina di 8 anni, che ha raccontato di aver subito violenza davanti agli occhi della piccola e poi sulla bambina stessa”.
L’umanità è scomparsa: “Il canotto imbarca acqua”. L’incontro.
“Terrore e bisogno” è quel che trasmettono le persone appena sbarcano. “Te lo passano tutto il terrore che hanno visto attraverso occhi che sono aperti, ghiacciati, congelati e con lo sguardo fisso accompagnati da tutta una serie di tremolii. Indimenticabili sono quelle donne che difronte alla porta del CARA di Mineo continuavano a tremare chiedendo aiuto, ma non riuscivano ad articolare nessun tipo di frase in alcuna lingua”, racconta Flavia Calò. “Ricordo una mamma incontrata sempre al CARA di Mineo che appena mi ha visto, mi ha detto subito “io sono vittima di violenza ripetuta” ed è caduta a terra, svenuta”.Parlare della violenza diventa un bisogno di far sapere, bisogno di esser riconosciute come persone che fortunatamente sono sopravvissute, ma sono anche vittime, un bisogno di dire: “in Libia veniamo massacrati, in Libia si muore, in Libia hanno ucciso mio figlio, in Libia è ancora incarcerato mio marito”.
Sempre più donne vittime di torture: come riesci come donna ad affrontarlo?
“Sicuramente con un percorso di psicoterapia: sono una psicologa e psicoterapeuta ma non ho mai lasciato un percorso di psicoterapia, impossibile non farlo per mantenere un minimo di salute mentale. Poi aiuta tanto la scrittura: scrivere questi piccoli documenti quotidiani, che siano politici o romanzati, è necessario perché altrimenti nella memoria rimane troppo e si trasformano in incubi. Il trauma lo sappiamo è contagioso, lo dobbiamo curare negli altri, ma anche in noi stessi”.
L’umanità è scomparsa. Conseguenze dell’applicazione del decreto Salvini
“Come psicologa dico che questa legge è disumana e disumanizzante, perché una persona che ha bisogno di un contenitore giuridico per vedere riconosciuta la propria sofferenza e poi anche le proprie cure, in questa legge non si ritrova. Avere un permesso di soggiorno per cure mediche significa tutto e niente, significa che molto spesso le persone sopravvissute a tortura che hanno delle conseguenze psicopatologiche importanti non verranno riconosciute. Questo purtroppo già accade perché molte commissioni territoriali non hanno competenze in materia e non vogliono neanche ricevere e leggere le certificazioni medico-psicologiche di gruppi specializzati. Adesso tutte queste persone vittime che sono sopravvissute a torture e traumi estremi e hanno sviluppato psicopatologie importanti non vedranno riconosciuto né il loro status né la loro necessità di cura”.
Quanto la legge limiterà la possibilità di agire ora?
Una persona con protezione umanitaria che ha bisogno di un percorso di cura e di inserimento in un centro SPRAR, oggi rischia di essere lasciata per strada. “Faccio un esempio pratico: un ragazzo che ho seguito nel CARA di Mineo con dei gravi disturbi psicopatologici come una dissociazione post- traumatica con allucinazioni che lo portavano a vedere continuamente cadaveri davanti a sé, non è stato neanche visto in commissione territoriale e ha avuto un diniego. È rimasto al CARA di Mineo, abbiamo richiesto il trasferimento in un centro SPRAR, ma non è avvenuto nei tempi debiti ed è entrata in vigore la legge Salvini: questa persona rimarrà fino al ricorso all’interno del centro. Probabilmente avrà una protezione da caso speciale e sicuramente non sarà ospitato in un centro SPRAR adeguato: una persona già vulnerabile in sé sarà messa per strada”.
Se dovesse tracciare un percorso di accoglienza che fosse adeguato per loro, cosa farebbe?
“Eliminerei i grandi centri e i centri di accoglienza straordinari, faciliterei il percorso di cura per chi ne ha necessità, favorirei una ripresa di vita con piccoli lavori per alimentare la resilienza: percorsi di inclusione sociale che portino via via le persone verso l’autonomia”.“Altra cosa importante, che con MEDU abbiamo portato avanti, è l’agire direttamente allo sbarco sull’individuazione di persone vittime di torture per ridurre il rischio di cronicizzazione dei disturbi psicopatologici: ascoltare i loro racconti e dialogare è fondamentale. L’Europa ha voluto prediligere la raccolta delle impronte digitali, mentre se avessimo raccolto le storie oggi avremmo una chiara mappatura dei centri di detenzione libici e di chi erano gli autori delle violenze e delle gravi violazioni dei diritti umani. In Italia sono sbarcati anche torturatori che sono stati identificati dalle vittime e nonostante tutto in alcuni casi sono stati lasciati andare”.
L’umanità è scomparsa: “Il canotto imbarca acqua”. La speranza
Alla fine del suo racconto Flavia Calò accende un barlume di speranza.“La speranza la vedo pensando a Manil il cantante hip-hop che vive a Salerno e si sta italianizzando in qualche modo, la vedo tramite mia zia che ha aperto le porte di casa sua eha accolto un ragazzo ivoriano e, visto che ora non potrà rinnovare la protezione umanitaria lo inserirà in un percorso di adozione. La speranza la vedo nella mia amica che vive qui a Palermo e che anche lei ha accolto due persone in casa sua e le ha adottate. In questo vedo speranza: nelle persone più che nella politica. Sarà una risposta dalle persone, non risolverà l’assenza istituzionale, ma rimetterà in moto un movimento per vincere quella frangia xenofoba, razzista e disumana che ora sembra stia prendendo il sopravvento”.L’umanità sta naufragando ma, forse, possiamo ancora soccorrerla.
Silvia Costantini(27 dicembre 2018)
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