Non serve aver conquistato un lavoro a tempo pieno e retribuito. Non serve essere “in regola”. Il migrante che in questi anni è entrato in Italia con un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che poteva rinnovare di anno in anno, per effetto del nuovo Decreto Sicurezza viene colpito da uno “stigma” indelebile che lo dovrebbe costringere a lasciare il paese e a tornare a casa senza opporre resistenza alcuna, o a essere trasferito come un pacco postale.
Proprio quello che sta succedendo al Cara di Castelnuovo di Porto dove, con l’aiuto dell’esercito è stato realizzato lo sgombero forzato di 320 persone. Titolari o in attesa del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria che un lavoro l’avevano trovato o lo stavano cercando e che mandavano a scuola i loro figli, essendo riusciti, dunque, a integrarsi nella realtà che li aveva accolti.
I ricorsi per il riconoscimento della protezione umanitaria
E’ il caso anche di uno degli ultimi ricorsi presentati dall’avvocato Elide Di Pumpo, specializzata nel settore dell’Immigrazione dal 2007 e che ha lavorato, tra il 2011 e il 2012, per il Cara di Castelnuovo di Porto.
“Dopo il ricorso presentato nel 2016 contro il diniego della Commissione, il mio cliente, un ragazzo del Gambia – riferisce l’avvocato – si è visto riconoscere la protezione umanitaria, in osservanza delle vecchie regole, ma essendo rimasto disoccupato, non ha potuto convertire la protezione umanitaria in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Ora, in fase di rinnovo, secondo le nuove norme del decreto sicurezza, si vedrà rilasciare un permesso per protezione speciale di un anno non rinnovabile. Pertanto – aggiunge l’avvocato – in caso la Commissione ritenga che siano esaurite le motivazioni che avevano indotto al rilascio del permesso umanitario, pur se integrato socialmente e lavorativamente con una nuova occupazione, il ragazzo dovrà essere rimpatriato. Di fatto si andrà ad aggiungere al folto numero di irregolari dei quali le autorità non avranno più traccia”.
Un secondo caso che sarà deciso dalle nuove norme, riguarda un ragazzo del Bangladesh che lavora con un regolare contratto come commesso in un minimarket di alcuni parenti. A costui che chiameremo Akash con un nome di fantasia, un’ordinanza del dicembre 2018 in seguito al ricorso presentato dalla Di Pumpo contro il diniego della Commissione, ha riconosciuto “il diritto alla protezione di cui all’art. 5 co. 6 Testo Unico Immigrazione nel testo antecedente le modifiche introdotte dal D.L. n. 113 del 2018”. “In teoria, dunque, il mio assistito – commenta la Di Pumpo- dovrebbe essere al riparo dalle nuove norme, ma di fatto sarà la questura a decidere che tipo di permesso di soggiorno rilasciargli e potrebbe essere anche la Protezione Speciale non convertibile in permesso di soggiorno e solo per un anno”.
L’ordinanza della Corte di Cassazione contro l’effetto retroattivo delle nuove norme
Di fronte a queste situazioni innescate dal decreto sicurezza e immigrazione, che pretende di avere un effetto retroattivo sulla normativa precedente, è lecito aspettarsi la presentazione di migliaia di ricorsi contro i dinieghi delle commissioni territoriali che andranno a ingolfare i tribunali italiani. E’ proprio di oggi, 23 gennaio, la notizia della requisitoria depositata dalla Procura generale della Cassazione sul caso di un migrante arrivato dal Bangladesh, dalla quale emerge l’orientamento dei magistrati a definire non applicabili, le nuove e restrittive regole sulla concessione dei permessi umanitari ai migranti, alle domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto e non ancora decise con sentenze definitive.
Lei ritiene, avvocato, che l’orientamento della Cassazione farà “scuola” per la moltitudine di ricorsi che verranno presentati contro le norme del decreto sicurezza da ogni singolo richiedente asilo?
“L’orientamento della Cassazione non mi ha stupito, ma a livello pratico resta il nodo su che tipi di permesso rilasceranno le questure. Questo è il punto: nel voler creare ordine e sicurezza riorganizzando il Sistema di protezione internazionale e umanitaria in realtà si genera insicurezza e incertezza. L’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari senza la contestuale introduzione di istituti aventi un’ampiezza complessiva identica (sia per il tipo di presupposti, sia per il trattamento del titolare) riaprirà lo spazio per azioni giudiziarie destinate a successo, per fare accettare il diritto di asilo garantito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione, non più completamente attuato dal legislatore. Se la persona ritiene di aver diritto a ottenere l’asilo cercherà di dimostrarlo in ogni modo, anche sostenendo le spese legali, ora che è stato abolito il patrocinio legale gratuito. Spetterà ai giudici decidere caso per caso. Ci saranno giudici che si atterranno scrupolosamente alla normativa e altri, spero, che valuteranno prioritariamente le situazioni individuali. Per ora è impossibile basarsi su numeri e statistiche: ci vorranno almeno tre mesi per “misurare” la portata del cambiamento in atto potendo certificare l’orientamento delle commissioni, dei giudici e delle questure che, di fatto, sono quelle che rilasciano il documento finale”.
Francesca Cusumano
(23 gennaio 2019)
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