Studiano più degli uomini, ottengono buoni risultati ma lavorano molto meno di loro. È questo l’identikit dell’universo femminile della comunità marocchina in Italia. 194.599 donne di tutte le età, 6.207 nel Lazio. Sono le caratteristiche che emergono dai dati presentati da Fatima Mountari, giovanissima ricercatrice, l’8 marzo durante l’evento Le Donne Marocchine in Italia. Integrazione: ruolo e sfide. Superare il divario di genere è una sfida, anche per le italiane, ma essere donna in un paese straniero raddoppia le difficoltà.Delle soluzioni per superarle, del ruolo che assume l’universo femminile e di una ricetta efficace per l’integrazione, senza distinzione di sesso, si è parlato durante l’evento organizzato dall’associazione Donne e Diritto in via di Torrenova.
La comunità marocchina e l’integrazione: il ruolo e le sfide delle donne
Nella sala, allestita come un salotto con teiere, tappeti, buffet, tra la comunità marocchina la giornata della donna è dibattito, moda, danza, buon cibo. Ma prima di tutto confronto: di fronte a una platea di tre generazioni femminili, relatrici rappresentative di settori diversi, dalla giustizia all’informazione, hanno individuato il loro ingrediente principale per l’integrazione.A fare gli onori di casa il console generale del Regno del Marocco a Roma Mohammed Echrigui e Khadija Kansala, presidente dell’associazione Donne e Diritto che ha promosso la giornata. “Per le donne marocchine, e per l’universo femminile in generale, l’innovazione deve essere il motore dell’integrazione, lo strumento per far cadere le barriere”, non nasconde l’emozione di parlare in pubblico in italiano Khadija Kansala e i suoi tentennamenti rappresentano la prima sfida da affrontare, per le straniere come per gli stranieri.”La conoscenza e la coscienza di sé passano attraverso la padronanza della lingua del paese dove si è deciso di vivere e sono il principale veicolo di integrazione”, Nicoletta del Pesco, direttrice di Piuculture, prende in prestito le parole del linguista Tullio De Mauro. E sull’ingrediente principale per integrarsi non ha dubbi: la lingua. L’italiano può diventare emancipazione, consapevolezza, difesa.Esemplare è la storia di Soukaina, raccontata sulle pagine del giornale: giovanissima studentessa di origini marocchine, con l’impegno nello studio è riuscita a guadagnarsi la fiducia della famiglia, che ha accettato la sua scelta di non indossare più il velo, e il rispetto dei compagni di scuola, che hanno cominciato a percepirla non solo come una loro pari nelle competizioni scolastiche, ma anche come una temibile avversaria per la sua determinazione. Per la direttrice di Piuculture l’integrazione parte dalla lingua, ed “è un percorso che viaggia su un doppio binario: a casa e nella società”.Proprio nel ruolo sociale della donna Francesca Danese, presidente Forum Terzo settore del Lazio, rintraccia la sua parola chiave: il lavoro. E lancia subito una provocazione: “Vogliamo tante donne marocchine insieme a quelle italiane. Quante sono integrate nel mondo del lavoro?” Esordisce e tocca un punto sensibile, il tasso di occupazione femminile raggiunge solo il 21,9% contro il 65,2% di quello maschile. Senza mezzi termini sprona la platea: “Anche voi dovete fare un salto, c’è bisogno di consapevolezza, dovete sapere quello che accade, quello che c’è intorno a voi, conoscere le associazioni di volontariato”.Lo stesso invito arriva dall’avvocata Luciana Cillari, che individua il motore dell’integrazione nella parola rispetto, prima di tutto verso se stessi. “Alzate la voce, chiedete di essere ascoltate, mettetevi in contatto con chi è vicino. Il traguardo non è il permesso di soggiorno ma vivere e crescere insieme”.
Comunità marocchina: l’integrazione al femminile è riflessione e divertimento
Quello che l’avvocata invita a perseguire è una meta comune per italiani e stranieri che si può raggiungere solo con una progettualità comune e strutturata. Portavoce di quest’altro elemento chiave dell’integrazione è Abdessamad El Jaouzi, ricercatore indipendente, che ha moderato l’evento e ha rappresentato l’unica voce maschile nel dibattito. “L’aspetto organizzativo della vita associativa per le comunità è un veicolo eccezionale per coniugare le reciproche necessità”, tira le somme. E sottolinea: “C’è una carenza di conoscenza degli aspetti organizzativi e amministrativi della vita associativa. Proprio in virtù di questo dobbiamo lavorare per mettere in campo delle azioni concrete e raccogliere le energie positive”.E di energia, nella sala gremita di donne di tutte le età, ce n’è da vendere. Dalla riflessione, in pochi minuti, si passa alla vera festa: su un lungo tappeto rosso sfilano qmis e caftani, prendono vita le note della musica popolare e il profumo di cous cous si diffonde in tutta la sala. Nella ricetta dell’integrazione c’è un altro ingrediente che non può mancare: il divertimento.
Rosy D’Elia(13 marzo 2019)
Leggi anche