Il silenzio che offende. L’alfabeto delle parole che ci mancano

Fare comunicazione con le parole di cui la democrazia ha bisogno

Le parole sono importanti, esprimono e formano il pensiero, rivelano e modellano comportamenti. E allora dobbiamo essere preoccupati di quel linguaggio fatto di povertà di pensiero, stereotipi, falsità e violenza, che vediamo colonizzare il dibattito pubblico sull’immigrazione e non solo. Da qui è partita l’idea di ricercare parole il cui uso può costituire una barriera al dilagare di quel linguaggio. Ricerca che ha portato alla costruzione collettiva di un Alfabeto ragionato delle parole che circolano poco nel discorso pubblico: quelle che definiscono un pensiero democratico e lo formano, la cui mancanza rivela la crisi della nostra democrazia. Ecco perché il titolo del progetto è: Il silenzio che offende, con l’ambizione di contribuire a una campagna culturale in cui coinvolgere scuole, associazioni, testate giornalistiche.

Come nasce il progetto Il silenzio che offende. L’alfabeto delle parole che ci mancano

Lo scorso anno la redazione di piuculture.it ha partecipato al progetto La Frontiera, ideato da Alessandro Leogrande e Elena Stancanelli, il cui scopo era creare cultura sull’immigrazione per contrastare il linguaggio diffuso che immiserisce e ostacola la conoscenza e la riflessione. La nostra partecipazione è stato un modo per dar forma a un sentimento di disagio per quanto sta accadendo nella nostra società: la diffusione di affermazioni non rispondenti a verità date come certe – i migranti rubano il lavoro, è un’invasione, sono giovani e palestrati, lo smalto alle unghie di una donna salvata ecc. – e di frasi offensive – bastardi islamici, sporco negro ecc. – hanno il potere di penetrare nel linguaggio comune e di dis-educare alla chiusura verso le diversità, a meno che non siano accompagnate da ricchezza e successo, al disprezzo della fragilità.

La violenza verbale nel discorso pubblico

Quel sentimento di disagio è diventato vero e proprio sconcerto di fronte all’ulteriore imbarbarimento del linguaggio e alla ventata di odio dei nostri giorni: parole violente, espressioni razziste, offese sessiste – il consigliere leghista che dice alla cantante Emma Marrone di “aprire le gambe” non i porti – non sono più da considerarsi un’esagerazione, un limite spostato più in là, ma sono declinazioni di una retorica ‘cattivista’. La violenza verbale è diventata un criterio del discorso pubblico, sia in politica sia nel linguaggio comune: distruggere l’avversario o ripetere frasi fatte è più semplice che esporre contenuti e ragionamenti. Inoltre, abbattere un tabù produce un effetto liberatorio: più sciocchi e aggressivi ma disinibiti e svincolati dall’obbligo del reciproco rispetto! Il guaio è che la parola, una volta detta, è libera di circolare e rapidamente contagia grazie ai social.

Sul tema dell’immigrazione servono più cultura e educazione, a cominciare dall’attenzione alle parole

Quanto avviene nella comunicazione e nel linguaggio comune rivela e al contempo rafforza il distacco dai principi della nostra Costituzione e dalle norme che ne discendono: un malinteso spirito di libertà si contrappone alle regole della convivenza civile, né si può dire che un solido argine sia costituito da istituzioni efficienti o soggetti pubblici capaci di rappresentanza forte e di rendere vitali quei principi democratici. Tutto questo ci ha resi ancora più convinti che la difesa della democrazia si gioca non solo sul terreno economico e sociale ma anche culturale, della comunicazione e dell’educazione. A cominciare dalle parole che usiamo e da un tema centrale nel nostro tempo come l’immigrazione. Le parole che abbiamo inserito nel nostro dizionario – alfabeto sono il frutto di riflessione e confronto: a ogni parola scelta, una per ogni lettera dell’alfabeto, corrisponde una definizione che sintetizza un ragionamento. Sono parole importanti per la persona e la collettività, parole che fanno riflettere e che vorremmo sentir usare più spesso.

L’Alfabeto delle parole che ci mancano. Quali criteri per la scelta delle parole?

  • Abbiamo selezionato parole che sono meno direttamente legate all’attualità del tema dell’immigrazione e più capaci di spostare l’attenzione sulla persona, di allargare il pensiero. Per esempio, alla A abbiamo preferito la parola ‘Armonia’ a ‘Accoglienza’, e nella definizione abbiamo seguito un filo di ragionamento basato sul concetto di relazione.
  • Abbiamo evitato “buonismi”, ossia lo sfoggio di buoni sentimenti, e abbiamo assunto un punto di vista che scaturisce da concetti e principi etici: il rispetto della persona in quanto tale; l’identità che si definisce in relazione con gli altri; l’importanza della conoscenza di sé stessi e della riflessione; l’immaginare come antidoto allo schiacciamento sul presente e al condizionamento.

Per esempio, alla parola ‘Compassione’ abbiamo preferito ‘Consapevolezza’; invece di ‘Empatia’ abbiamo optato per ‘Esperienza’. Alla D abbiamo scelto di inserire la parola ‘Desiderio’, intesa come autenticità e molla di cambiamento; per la L abbiamo scelto la parola ‘Limite’ che ci ricorda la nostra finitezza e rafforza il senso di responsabilità. Infine, della parola ‘Umanità’ abbiamo dato una definizione che fa riflettere sulla differenza tra Essere Umano, Cittadino, Persona.

Realizzazioni del progetto: laboratorio di giornalismo sociale con le parole dell’Alfabeto

·       Liceo Pilo Albertelli

I ragazzi del Liceo Pilo Albertelli fanno da apripista al progetto “Il silenzio che offende. Le parole che ci mancano”, grazie all’adesione della professoressa Michela Nocita. Dopo la prima fase in cui molti ragazzi del Liceo hanno contribuito alla costruzione collettiva dell’Alfabeto, nella classe III E si è dato l’avvio a un Laboratorio di Giornalismo sociale con il compito di effettuare delle interviste. I ragazzi, suddivisi in coppie, hanno intervistato un italiano e uno straniero – medici, artisti, ex detenuti, commercianti ecc. – sulla stessa parola dell’Alfabeto: “Persona”, “Mitezza”, “Umanità”, “Limite”, “Buonsenso” e altre. Perché il senso dell’Alfabeto è questo: la ricerca di un significato che deve essere riscoperto, approfondito, ridisegnato, che deve ritrovare la sua ragion d’essere nel pensiero, nella riflessione, ma anche nell’esperienza di ascolto dell’altro.

  • Con le donne del Progetto Be free

Dopo l’esperienza che ha coinvolto una classe del Liceo Pilo Albertelli, il lavoro sulle “parole che ci mancano” è proseguito nel laboratorio di giornalismo del Progetto Be Free. Discussione e confronto hanno impegnato la piccola redazione tutta al femminile, con Anna, Brigida, Paola e Iuliana, che hanno poi realizzato le interviste con le stesse modalità dei ragazzi dell’Albertelli.
Dalla ‘a’ astratta di “Armonia” fino alla concretezza della ‘z’ di “Zolla” che riporta alla mente la terra, si è passate al concetto di “Futuro”, a “Hotel”, “Tetto” e “Vulnerabilità”.
E dal momento che le parole sono importanti, il lavoro sull’Alfabeto proseguirà in altri contesti.

Luciana Scarcia
(2 aprile 2020)

 

Leggi anche:Progetto La Frontiera: un laboratorio di democrazia
Quando le parole contano: come raccontare l’immigrazione