Nell’atrio della Scuola primaria Carlo Pisacane si respira aria di interculturalità; l’Istituto di TorPignattara è stato ancora una volta palcoscenico di incontro tra culture e storie diverse, accomunate da un’unica volontà: sensibilizzare ed informare rispetto la condizione di schiavitù e disagio a cui circa 700.000 migranti sono costretti in territorio libico.Sabato 16 marzo 2019 il collettivo Stalker/Noantri Cittadini Planetari, in collaborazione con Associazione genitori Pisacane, Altramente, RGB light experience, Cemea del Mezzogiorno, Ecomuseo Casilino, Dieci Mondi, Voci della Terra, Comitato di quartiere TorPignattara, ha voluto promuovere “L’Urlo: la campagna europea per la liberazione dei migranti-schiavi in Libia” e presentare l’importante lavoro radio-documentaristico “Exodus: in fuga dalla Libia” di Michelangelo Severgnini e Piero Messina.Nelle prime ore del pomeriggio i partecipanti all’evento hanno avuto l’opportunità di ricevere in loco e direttamente sul proprio cellulare alcuni tra i tanti messaggi vocali raccolti durante l’elaborazione dell’audio-documentario.Dopo la ricezione e l’ascolto del messaggio è stato possibile interagire con alcuni giovani ragazzi migranti che, scappati dalla condizione di schiavitù in Libia, volontariamente hanno deciso di prendere parte all’iniziativa per raccontare la propria storia.Ogni storia è sembrata così lontana e così surreale dal nostro modo di immaginare una vita serena, normale.
“Exodus: fuga dalla Libia”: la possibilità di superare frontiere, mari e mura
È dall’estate scorsa che Michelangelo Severgnini è riuscito a mettersi in contatto, tramite Internet, con migliaia di migranti in Libia. “A settembre ho chiesto ad alcuni di loro di mandarmi dei messaggi vocali tramite Whatsapp cercando di farmi spiegare tutto quello che non riuscivo a capire della Libia”. Il risultato del montaggio dei messaggi costituisce “Exodus: in fuga dalla Libia”, radio clandestina giunta ormai alla sesta puntata e fruibile online.Exodus – fuga dalla Libia – puntata 0.5 from Exodus – fuga dalla Libia on Vimeo.“Molti hanno paragonato quello che succede in questi anni in Libia ai campi di concentramento nazisti e credo che il paragone sia legittimo; a me piace aggiungere che la più grande differenza tra quei lager e quelli libici è la presenza, in questi ultimi, del wifi”. Ed è grazie alla possibilità di accedere segretamente ad una connessione internet che i migranti stessi possono raccontarci la loro esperienza “senza dover attendere i reportage di giornalisti che in Libia hanno poca possibilità di movimento”.Grazie alle storie raccolte è stato possibile capire la reale condizione di schiavitù che si sviluppa sia fuori che dentro le carceri: “corrisponde ad un lavoro forzato non retribuito: non solo i migranti non vengono pagati ma addirittura minacciati di morte se cercano di richiedere il pagamento del salario inizialmente pattuito”. Altro importante momento di interazione ha visto direttamente partecipi le voci dei migranti ancora presenti in Libia: infatti, nel tardo pomeriggio, è stato possibile mettersi telefonicamente in contatto con alcuni di loro.A rispondere alla prima telefonata è un ragazzo somalo che, parlandoci nascosto nel bagno di una prigione libica, racconta “questa non è vita”: sono costretti a mangiare una volta al giorno, a bere acqua sporca, vengono picchiati quotidianamente. “Please we need help immediately!”, ha ripetuto più volte.La seconda a rispondere è una giovane ragazza nigeriana che, partita circa un anno fa con la speranza di trovare un facile canale di arrivo in Europa, è stata costretta dalla guardia costiera libica a tornare indietro e a vivere in stato di prigionia, è stata liberata solo in seguito ad un riscatto pagato dalla Nigeria. La madre, sprovvista del denaro necessario, ha chiesto un prestito ad una banca nigeriana che settimanalmente è costretta a restituire in piccole rate. Nonostante la ragazza abbia trovato un posto di lavoro come donna delle pulizie in un ospedale non riesce ad inviare alla madre il denaro utile a saldare il debito, perchè la mafia nigeriana che trattiene il 50% della quota inviata. La madre della ragazza si è gravemente ammalata e per eseguire l’operazione avrebbe dovuto disporre di un’alta somma di denaro che è stata raggiunta grazie ad una raccolta di fondi organizzata dallo stesso Michelangelo e dai suoi collaboratori. “La madre è stata operata e ora sta bene; sono stati raccolti più soldi del previsto e, anche se questo esperimento è una sola goccia nell’oceano, è importante mobilitarsi e suturare questi piccoli brandelli di umanità”.
Giada Stallone
(16 marzo 2019)
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