Mamadou Sall è candidato alle elezioni europee nelle liste del Partito Democratico, Circoscrizione Italia Centrale.
Nato in Senegal, a Pekine, città sul mare nella regione di Dakar, è arrivato in Italia più di 25 anni fa; inizialmente si è arrangiato vendendo fazzoletti, poi ha trovato lavoro come operaio in un’azienda di materie plastiche a Firenze, dove più di una decina di anni fa è stato proposto come delegato sindacale per la Filctem-Cgil. È anche segretario della Comunità senegalese a Firenze.Raccontando il suo percorso di partecipazione attiva alla vita lavorativa e sociale italiana, confida che, prima di assumere l’incarico di delegato sindacale, ci pensò bene: “Era un fatto nuovo e di grande responsabilità, ma decisi di accettare l’incarico, forte della convinzione che c’era e c’è bisogno di difendere i diritti di tutti i lavoratori, italiani o stranieri. Votarono per me 80 operai su 120. Poi sono entrato nel direttivo. Racconto un episodio significativo di quel periodo: partecipavo a un congresso della Cgil, durante una pausa vado al bar e la signora mi fa ‘no, qui non compriamo niente’; le dico ‘io veramente vorrei un caffè’ e le mostro la cartellina rossa del sindacato, allora la signora si scusa e il caffè me lo offre lei. Questo per dire che in Italia l’integrazione degli stranieri è già una realtà, ma non viene percepita nella giusta dimensione perché manca una politica adeguata a considerarla un fatto normale e a rendere la società più coesa.Ci tengo a dire che io sono cittadino italiano al cento per cento, svolgo con serietà il mio lavoro fino alle 17, infatti per la campagna elettorale abbiamo messo l’hashtag dopolediciassette, tutti i lunedì sera faccio il volontario presso la Confraternita della Misericordia di S. Mauro, partecipo alla vita sociale e politica di questo Paese e ho giurato fedeltà alla Costituzione della Repubblica Italiana. Insomma mi sento orgogliosamente più italiano di tanti altri.
Perché ha scelto di candidarsi con il PD?
È una storia lunga. Il mio babbo era uno dei dirigenti del partito socialista in Senegal e spesso quando ero bambino mi portava con lui alle riunioni, facendo arrabbiare la mamma perché tornavamo a casa tardi la sera. Mi ricordo che chiedevo a mio padre perché mai dovessero gridare quando discutevano, e lui mi spiegava che nella sinistra si discute e ci si confronta. Un po’ alla volta ho fatto miei i valori di solidarietà, giustizia, libertà e sono entrato tra i giovani della Sinistra socialista. Quando sono venuto in Italia gli stessi valori li ho visti nel Partito Democratico e mi ci sono iscritto. Oggi sono il coordinatore del Forum provinciale per l’immigrazione.
Quali sono i punti principali del programma che porterà avanti? Le tre priorità nei primi 100 giorni?
Lavoro, immigrazione e ambiente. Servono politiche espansive che creino posti di lavoro e tutelino i diritti, mettendo al centro le persone. Sull’ambiente, come prima cosa bisogna realizzare gli obiettivi della Ue di riduzione progressiva delle emissioni, è un dovere verso i nostri figli. Per quanto riguarda l’immigrazione, innanzitutto bisogna ribadire che le persone che vivono e lavorano in un Paese, con i figli che frequentano le scuole già fanno parte della società e quindi basta chiamarli immigrati, sono cittadini europei! Per coloro che arrivano intendo battermi per una politica comune, razionale, flessibile, ispirata ai principi di umanità e solidarietà. Non si può tollerare che l’Italia resti da sola a gestire l’accoglienza, ma neanche che i porti restino chiusi. Significherebbe mettere in discussione i principi di tutela dei diritti umani su cui è stata fondata l’Europa.Tra le priorità: riformare il regolamento di Dublino per un sistema di accoglienza e redistribuzione dei migranti con sanzioni per chi non lo rispetta; bloccare la criminalizzazione delle Ong che prestano soccorso in mare e rafforzare i canali legali di ingresso in Europa; aumentare i fondi per politiche di integrazione. In Italia bisogna abolire la legge Bossi-Fini e il decreto Salvini, perché sono leggi disumane e creano clandestini.
Cos’altro cambierebbe delle politiche europee attuali in tema di immigrazione?
Le attuali politiche di chiusura in materia di accoglienza sono la conseguenza di una visione emergenziale dell’immigrazione, manca cioè una politica di governo del fenomeno. Noi dobbiamo accogliere tutti quelli che arrivano, poi vediamo chi ha diritto a rimanere e chi no in base alle leggi. Per far questo serve una politica concertata con obiettivi condivisi, secondo i punti del Global Compact, che il nostro governo non ha firmato.Ma bisogna anche cambiare le politiche in tema di cooperazione e, in particolare, quegli accordi commerciali che determinano ulteriore impoverimento dei Paesi africani, causa a sua volta di emigrazione. Lo slogan “aiutiamoli a casa loro” va sostituito con “lasciamoli liberi di decidere il loro destino”.
Faccio un esempio: in base a un recente accordo Cina, Corea, Italia e altri Paesi possono praticare la pesca in acque senegalesi con le loro navi attrezzate; la conseguenza è che la pesca locale, condotta con metodi artigianali da circa 5 milioni di giovani, muore e i pescatori diventano migranti o scafisti. C’è un pesce, chiamato “dei poveri” perché veniva facilmente pescato da tutti, che oggi non si trova più proprio a causa di quelle navi. Questo esempio serve a dire che gli investimenti nella cooperazione allo sviluppo devono coinvolgere governi, società civile e imprese.Sulla questione del franco CFA usato in 14 Paesi africani, se da una parte ha creato stabilità in alcuni, dall’altra ha rallentato lo sviluppo, quindi, senza bisogno di fare la guerra alla Francia, serve un dialogo che porti alle soluzioni migliori.
L’Europa è un’unione di diversi, queste diversità come vanno affrontate?
Sul terreno culturale, ogni Paese ha caratteristiche culturali proprie, che vanno valorizzate, nel rispetto di regole comuni. Bisogna sviluppare una pedagogia del vivere insieme: definendo in ogni territorio spazi di culto religioso e per attività culturali e ribadendo la distinzione tra religione e politica. Comune deve essere anche la gestione della difesa dei confini nazionali.
Come definirebbe l’atteggiamento degli italiani nei confronti degli stranieri?
Certamente si sono manifestati comportamenti razzisti, ma la maggioranza degli italiani non sono razzisti. Piuttosto, gli atteggiamenti di diffidenza e estraneità sono indotti da una propaganda spregiudicata e dal fatto che i media diffondono immagini e notizie che mostrano gli immigrati solo come disperati da aiutare, quindi un peso; non rappresentano invece le realtà di integrazione diffuse in Italia come altrove. È necessario far conoscere queste realtà positive.
Tra l’Europa e il resto del mondo c’è il mare: come gestire lo spazio che ci divide?
Anche su questo serve una politica europea condivisa, che non contrasti i principi di umanità. Non è accettabile una gestione contraddittoria che, da una parte, dimentica le responsabilità europee nell’origine dei conflitti in atto, come per esempio in Libia dopo la caduta di Gheddafi e poi, dall’altra, rifiuta le conseguenze di questi conflitti sull’immigrazione.
Qual è l’ultimo piatto di cucina straniera che ha mangiato o cucinato?
Il ceebu jen, un piatto di riso e pesce. In questo periodo di Ramadan è quello che preferisco, è molto buono!
(1. continua)
Luciana Scarcia(15 maggio 2019)
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