15.000 è la stima dei neo-disoccupati(dati CGIL) conseguenza umana della chiusura dei CAS, Centri di Accoglienza Straordinaria, a seguito dell’applicazione del Decreto Sicurezza e Immigrazione.
15.000 lavoratori assunti, a tempo indeterminato e determinato, grazie ai bandi pubblici a favore dell’accoglienza per lo più diffusa che ha avuto un drastico taglio a causa della riduzione dei tanto chiacchierati 35 euro, decurtati fino a 19 euro a seconda delle zone.
Chi sono queste persone? Qual è la loro storia e la loro figura professionale? Quale sarà il loro futuro?
Luna e Mary sono due operatrici di un CAS ad accoglienza diffusa della provincia di Viterbo: voce alle loro storie.
Luna: avevo trovato il lavoro della mia vita
“Sono un tecnico di radiologia che poi si è spostata in ambito sociale, dopo aver fatto un corso amatoriale per educatore psico-sociale. Quando lavoravo in ospedale ho scoperto che l’aspetto del lavoro che amavo di più era l’approcciarmi quotidianamente con le persone e offrire loro aiuto” così Luna, trentacinquenne, ha scelto di cambiare lavoro. “Ho letto un annuncio come assistente per l’operatrice sanitaria di un CAS e ho presentato la mia candidatura. Il mio ruolo sarebbe stato di sostegno e mediazione con le strutture sanitarie, un mondo che già conoscevo, sono stata assunta. Ho iniziato a lavorare a febbraio 2018”.
Fare l’operatrice in un CAS significa avere capacità di autonomia ma anche tante responsabilità, “devi imparare piano piano a conoscere le persone per capire come aiutarle e mediare con le strutture sanitarie. Spiegare il perché dovevano fare determinate visite non era scontato, perché al contrario il loro primo interesse era avere i documenti”. L’ostacolo più grande era la diffidenza.
Marzo 2018: l’insediamento del nuovo governo, ha dato il via a una serie di piccoli cambiamenti fino ad arrivare al Decreto Sicurezza e Immigrazione.
“Non è stato facile. Ogni modifica, anche piccola, per i ragazzi era un grande cambiamento, significava ricominciare tutto da capo. È stato pesante anche per noi che abbiamo visto via via distruggere un progetto che, nei limiti degli imprevisti, funzionava: è subentrato lo scoraggiamento non si sapeva cosa sarebbe accaduto. Non è cambiato tutto insieme, è stato come rimanere sospesi, cosa sarebbe accaduto il giorno successivo? Non sapevamo come gestire il tutto. Dopo l’insediamento del nuovo governo si sono avute alcune modifiche da parte delle Prefetture ad esempio far firmare giornalmente la presenza ai ragazzi diventava una priorità. Sembra poco ma per un sistema di accoglienza diffusa, come quella del nostro CAS che era distribuita in cinque diversi luoghi abitativi sparsi sul territorio delle provincia, richiedeva tempo che veniva sotratto alla programmazione giornaliera. Il controllo era diventato la prima cosa e anche a livello burocratico tutto è diventato più lento e lungo”.
Il lavoro di un operatore non ha mai un tempo definito, “la mia giornata tipo iniziava la mattina quando accompagnavo i ragazzi a fare le visite e i controlli negli ambulatori e in ospedale. Il tempo condiviso anche aspettando una visita medica o spostandosi da un posto all’altro, diventa tempo di racconto e condivisione. Lavoravo 4 ore al giorno dal lunedì al venerdì, ma le ore diventavano sempre di più per piccoli imprevisti. Logicamente finito il mio lavoro se altri operatori avevano bisogno di supporto ci sostenevamo a vicenda”.
A febbraio 2019 Luna è stata tra le prime figure a dover lasciare il suo lavoro a causa dei tagli: “Salutare i ragazzi è stato difficile perché mi guardavano con occhi che chiedono “e ora cosa facciamo? Cosa succederà?”
E adesso? Il futuro?
“Avevo trovato il lavoro della mia vita. Ora mi sto riorganizzando per l’ennesima volta. Sto facendo un corso per operatore socio sanitario e spero comunque di lavorare nell’ambito dell’integrazione e l’accoglienza. La gestione, come l’ha immaginata il governo non è possibile. Quindi sono fiduciosa che qualcosa cambierà. Non mollo, è la mia strada”.
Mary: ho riscoperto la resilienza
“Sono arrivata a lavorare nel CAS per vie traverse. Avevo finito un master in cooperazione internazionale e risoluzione dei conflitti, mi ero appassionata al tema delle migrazioni e ho dedicato la mia tesi proprio all’integrazione dei migranti a Roma e sulle scuole di italiano che hanno un ruolo fondamentale in questo processo”, Mary ha scoperto il mondo dell’accoglienza quando “durante l’anno come volontaria nella scuola di italiano di ASINITAS ho capito che avrei voluto lavorare in un ambito del genere”. Così attraverso una serie di colloqui di lavoro attraverso Garanzia Giovani, è arrivata a lavorare nel CAS nel ruolo di operatrice sociale, “nello specifico affiancavo l’insegnante di italiano con laboratori creativi e ludici per facilitare l’apprendimento delle lingua e la socializzazione”.
A luglio 2017, a 27 anni, Mary inizia la sua nuova avventura mettendo a frutto il suo percorso di studi: trovare linguaggi non codificati in lingua per aiutare i ragazzi a esprimersi. “Quando i ragazzi arrivano hanno difficoltà a parlare in italiano, è fondamentale creare dei linguaggi alternativi, attraverso il corpo, i colori. Poi mi sono occupata delle donne in gravidanza e dell’inserimento scolastico dei bambini. Con i ragazzi non ho mai avuto problemi nel relazionarmi, cercavo sempre di instaurare un rapporto che alleggerisse le tensioni e le preoccupazioni: la reciproca fiducia è stata naturale”.
Quando sono iniziati i primi cambiamenti Mary lavorava nel CAS già da quasi un anno: “la prima scossa al progetto è arrivata da una direttiva emanata da Salvini alle Prefetture, se non sbaglio a luglio 2018, che faceva presagire la drastica riduzione dei fondi per nuovi bandi. Noi abbiamo continuato a sperare fino al decreto sicurezza che ha confermato tutti i timori. Basta pensare che oggi dai 35 euro siamo arrivati a 21.50 incluso il pocket-money, che è di 2.50 euro”.
Il 30 giugno il CAS chiuderà: da febbraio il direttore è stato costretto a licenziare le prime persone: lo psicologo, due operatrici, due mediatori e l’assistente sociale.
Mary, insieme a un mediatore, sarà l’unica figura che rimarrà fino alla fine.
“Il clima tra i ragazzi è diventato via via più ansiogeno, anche chi non capiva l’italiano intuiva che la situazione stava cambiando. Noi abbiamo deciso di comunicare che il progetto terminava già a fine maggio proprio per cercare di stemperare la preoccupazione: ad oggi però non si sa dove andranno i ragazzi dopo il 30 giugno. Molti di loro sono avviati in un percorso di integrazione sia scolastico che di inserimento con gli abitanti del posto: fanno parte di scuole di calcio, si sono creati amici, alcuni hanno trovato lavoro autonomamente. Spostarli creerebbe un nuovo, inutile trauma”.
Personalmente come ha preso la notizia? E il futuro?
“Male, molto male, perché è un lavoro che ti coinvolge 24 ore al giorno e chiudere con il carico emotivo del progetto è molto difficile. Sono contenta di restare fino alla fine e poter aiutare i ragazzi fino all’ultimo giorno, però è come se si fosse vanificato il lavoro di due anni anche perché avevo investito i miei studi per questo percorso. Io comunque cercherò sempre di lavorare in questo settore: sto cercando di fondare un’associazione con altri ragazzi, che si muoverà in ambito sociale per creare movimenti di solidarietà e autonomo aiuto. Vorrei che aiutasse soprattutto a instaurare relazioni, perché la grande sfida con l’attuale governo è far conoscere le persone tra loro per vincere le diffidenze e arricchirsi nelle diversità”
Dopo due anni di lavoro si crea un rapporto che non è solo un dare ma anche un ricevere: “porterò con me la resilienza, la forza della volontà che noi abbiamo perso. Loro vanno avanti sempre, non si lasciano mai scoraggiare. Quanto sta accadendo appare più duro a noi che a loro, dopo quanto hanno affrontato”.
“Saluteremo i ragazzi con una festa il 27 giugno dove sono invitati tutti: speriamo non sia una valle di lacrime. Vorremmo trasmettere loro che comunque non sarà una fine, ma un nuovo inizio”.
Silvia Costantini
(26 giugno 2019)
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