Il giorno 25 giugno si è svolto nella Sala della Protomoteca in Piazza del Campidoglio a Roma un convegno organizzato da DOMINA e patrocinato da Roma Capitale. L’evento andava ad analizzare un dossier sull’impatto del lavoro domestico dei migranti nei loro Paesi d’origine e in Italia.
Un’analisi socio-economica
Il dossier verte in particolare su quattro Paesi, che hanno il maggior numero di lavoratori domestici in Italia: Romania, Moldavia, Ucraina e Filippine. Dopo un intervento della sindaca Virginia Raggi, sono state approfondite le conseguenze socio-economiche del lavoro domestico, fenomeno multiculturale per eccellenza, considerato uno dei primi passi per integrarsi in un nuovo Paese. Sono state in particolare studiate le dinamiche che si generano nelle società grazie a questa professione che conta circa 900.000 occupati in Italia, dei quali il 70% circa sono immigrati.
L’importanza delle rimesse
I lavoratori domestici stranieri sono perlopiù donne, che lasciano il Paese d’origine per migliorare le proprie condizioni economiche e costruire le basi per una vita migliore nella loro madrepatria. Infatti spesso inviano denaro sotto forma di rimesse, destinate al sostentamento della famiglia e in parte al risparmio. Si stima che le rimesse inviate dall’Italia ammontino a circa 6,2 miliardi di euro. Tuttavia questi dati tengono conto solo del denaro tracciabile. In realtà bisognerebbe considerare anche quello inviato tramite canali di invio informali (come i pullman attraverso i quali i lavoratori si spostano portando denaro con se’) o il fatto che anche i lavoratori irregolari possono inviare in patria i loro risparmi.
I fattori sociali e psicologici
Molto importante il risvolto sociologico di questo lavoro. Infatti molte donne quando arrivano in Italia non conoscono la lingua né le leggi e questo le porterebbe a vivere situazioni di disagio. Inoltre la cultura diversa, ad esempio non saper cucinare qualcosa all’italiana oppure non essere in grado di utilizzare vari macchinari, è spesso motivo di comportamenti aggressivi e violenze verso le lavoratrici. Inoltre è abbastanza diffuso il lavoro nero, con la conseguenza di condizioni non consone e/o disumane. Di conseguenza il lavoro domestico, se mal gestito, può essere logorante e causare disturbi psicologici da stress. In particolare vengono citati il burnout o la sindrome Italia.
Il primo è uno stato di disagio, malessere e impotenza, che fa sentire le lavoratrici prosciugate delle proprie risorse emotive e può portare a disturbi fisici come tachicardia, stanchezza e diminuzione delle difese immunitarie. Talvolta si manifesta anche in comportamenti negativi verso l’assistito. La sindrome Italia invece può verificarsi al ritorno nel proprio Paese d’origine e comporta una frattura dell’identità, stati ansiogeni, depressioni e a volte addiriturra il suicidio. Un altro problema di non poco conto è quello dei cosiddetti orfani bianchi, ovvero i figli lasciati dal genitore migrante nelle mani dell’altro genitore, di parenti o nel peggiore dei casi in orfanotrofi e case famiglia. Questi giovani sperimentano malessere e difficoltà psicofisiche dovute alla carenza di affetto. Le soluzioni proposte sono tante: rendere le lavoratrici più informate prima della partenza sui loro diritti, contrastare il lavoro in nero, facilitare le comunicazioni col Paese d’origine.
Lavoro di squadra, formazione e arricchimento personale
In seguito al dibattito ha avuto luogo la consegna degli attestati di formazione EBINCOLF, organismo paritetico rappresentativo nel settore del lavoro domestico in Italia. Helen Druta ha curato la loro formazione. Da 19 anni in Italia, aveva iniziato come operatrice socio-sanitaria e poi come badante. Insieme al marito, ex giornalista, dopo essersi trasferiti in Italia si sono dedicati a questo lavoro ricostruendo una nuova vita da zero. “Mi piace poter creare con loro una piccola squadra: d’altronde l’unione fa la forza. Ho cercato di basare il mio insegnamento sui valori della protezione e della previdenza, che sono fondamentali in un lavoro del genere”. Emerge anche l’importanza della formazione di queste categorie di lavoratori. Non è un impiego semplice che chiunque può fare, bensì servono grande responsabilità, competenze scientifiche e professionalizzazione. Le colf insignite dell’attestato sono soddisfatte: “Ci vuole tanta pazienza per questo lavoro, ma dà soddisfazioni”, dice Daniela, rumena da 16 anni in Italia. Tutte le donne hanno ammesso di visitare parenti e amici nel Paese di origine almeno una volta l’anno e di inviare denaro alle famiglie o ai genitori in caso di necessità. Dal dossier e dalle loro dichiarazioni si coglie bene l’importanza a livello economico e umano di questo tipo di professione, nella quale sia lavoratrici che datori di lavoro hanno la possibilità di entrare in contatto con una realtà nuova, imparare una lingua e uno stile di vita differenti e arricchirsi personalmente in un incontro tra culture e generazioni.
Giulia Maiorana
(26 giugno 2019)
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