Il suo cognome originale era Zotta, cambiato in Zotto da un errore di trascrizione nel registro argentino degli immigrati.Miguel Angel Zotto, uno dei più grandi tangueri viventi in scena al teatro Olimpico in questi giorni col suo spettacolo “Te siento Tango” è nato a Buenos Aires, ma la sua è una famiglia di immigrati in Argentina da un piccolo paese della Lucania, Campomaggiore.
Tra musica e dittatura
“Nella grande casa di zio “Gaucho” che stava sulla sedia a rotelle, ma era un fanatico della musica di Carlos Gardel – ricorda Miguel – il tango era nell’aria. Mio nonno che si chiamava come me, ballava con nonna Filomena Rosa e mio padre, Miguel che era anche un attore, con mia madre Mabel. Insieme a loro si allenavano a ballare in vista del carnevale gli altri cinque figli di mio nonno”. Miguel Angel diventa un ballerino senza accorgersene nemmeno: è il nonno che gli dà le prime lezioni. Da allora il ritmo sensuale del tango gli scorre nelle vene e entra a far parte della sua vita. Nel 1976, però, durante gli anni della dittatura argentina, viene arrestato. I militari gli trovano in mano un volantino politico trovato per la strada e da lui usato come carta per segnare un indirizzo.”Mi portarono in prigione dove sentivo le urla dei miei amici che venivano torturati. Se mi sono salvato è solo grazie al tango”. Per evadere mentalmente dalle sbarre, Miguel comincia a cantare un motivo della musica che conosceva tanto bene fin da bambino. “Un uomo alto con la barba e i capelli bianchi si è unito a me nel canto e mi ha preso in simpatia. Grazie a lui – ricorda Miguel – non sono finito nelle liste dei prigionieri politici e dopo un po’ di tempo mi hanno rilasciato”.
Miguel Angel Zotto insieme alla sua compagna nella vita e sul palcoscenico Daiana GusperoL’esperienza vissuta in prigione diventa un ‘”illuminazione” per Miguel che decide di dedicare la sua vita allo studio del tango. Va a scuola e perfeziona i passi che ha imparato dal nonno e dal padre, con il maestro Rodolfo Dinzel. Nel 1984 diventa a sua volta insegnante di tango alla “Belgrano University” di Buenos Aires, l’anno successivo entra nel professionismo grazie anche alla sua partecipazione a Broadway nello spettacolo “Tango Argentino” che fa il giro del mondo. In breve il figlio e nipote di quegli emigrati di Campomaggiore, diventa una stella del firmamento internazionale del tango.A 50 anni suonati, quando ormai pensava di trascorrere il resto della sua vita in compagnia solo della sua musica e della sua arte, incontra la donna della sua vita: Daiana Guspero, più giovane di lui, Daiana è a sua volta una ballerina di tango e porta la sua carica di femminilità all’interno di una coppia che diventa stabile, in teatro e nella vita. Sul palcoscenico dell’Olimpico insieme a Daiana, ai ballerini e ai musicisti della compagnia che ha fondato a Milano, Tango X 2, l’artista mette in scena dodici quadri che ripercorrono le tappe del suo cammino e allo stesso tempo svelano una serie di “segreti” e “codici” del tango argentino, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.Una coppia della Compagnia “Tango x2” di MilanoCon Daiana Miguel ha messo su famiglia: dal matrimonio sono nate due gemelle che oggi hanno 7 anni: Lara Micaela e Brisa Nathalie. Dopo la nascita delle bambine, nel 2012, Miguel ha deciso di “emigrare” dall’Argentina in Italia, a Milano. Qui ha fondato la Tango Academy , dove si insegna a ballare il tango e la milonga.Come mai ha lasciato il suo paese? “Non volevo che le mie figlie – risponde – crescessero in un paese in crisi quale è l’Argentina di oggi, con il fenomeno del narcotraffico che è diventato una grave piaga anche per l’immigrazione che viene dalla Colombia e dal Venezuela e che sta bruciando intere generazioni di giovani”.Lei che è figlio di immigrati italiani è contro il fenomeno dell’immigrazione?“L’emigrazione italiana in Argentina era diversa: si trattava di gente che era disposta a lavorare duramente e che ha costruito un paese, ha esportato la propria cultura e la propria musica. In Argentina c’è scritto nella costituzione che qualsiasi persona può lavorare. E’ un diritto. Ma è una faccenda tremendamente complessa: non si può chiudere le porte, ma nemmeno si può accogliere tutti”.
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