“Il Kurdistan non esiste, se mai fosse esistito”, con questa “premessa doverosa” Stefano Maria Torelli ricercatore, autore di Kurdistan, la nazione invisibile, inizia a raccontare perché al popolo curdo, una popolazione di circa 30 milioni di persone che vive suddiviso fra Turchia, Siria, Iraq e Iran sia stata negata la possibilità di esprimere un proprio stato.
Uno stato curdo non esiste perché dall’Occidente al Medio Oriente nessuno lo vuole a partire dai quattro paesi dove i curdi vivono, infatti Turchia, Siria, Iraq e Iran temono di perdere parte dei loro territori a causa di secessioni. Ma anche gli USA e l’Europa, seppur con sfumature diverse, dopo aver sostenuto i curdi che combattevano contro lo Stato Islamico, non li appoggiano nel conflitto con la Turchia. Altrettanto complessa la posizione della Russia alleata di Damasco.
Gli stessi curdi hanno posizioni e perseguono obiettivi differenti. “Il panorama è così frammentato perché le loro storie si sono divise per costrizioni esterne. Quasi mai i curdi di paesi diversi hanno condiviso un progetto unitario e anche all’interno di uno stesso paese ci sono divisioni. Dopo il 2000 ad esempio all’interno del PKK, Partito dei Lavoratori del Kurdistan fondato negli anni ’70 da Öcalan, ci sono state posizioni diverse che andavano da quelle oltranziste a quelle di chi, come il fondatore del partito, era diventato disponibile al dialogo. Sembra impossibile arrivare a una posizione unitaria: ogni volta che curdi di differenti paesi hanno cercato di auto organizzarsi non sono riusciti ad accordarsi. L’obiettivo oggi” continua Torelli “non è formare il grande Kurdistan, la confederazioni di territori curdi sovrastatale è un utopia, ma ottenere riconoscimento politico nel paese dove sono collocati. In Iraq da 25 anni ci sono riusciti e spingono per l’indipendenza”.
Curdi Siria: modello da imitare?
Dei curdi prevalgono due immagini divergenti: da un lato il Rojava modello di eguaglianza di genere; dall’altro c’è chi ritiene che i curdi siano terroristi come ha avuto modo di ripetere il Ministro degli esteri Turco, Mevlüt Çavuşoğlu, a inizio di dicembre a Roma in occasione dei dialoghi del Mediterraneo. Quale secondo lei è l’immagine corretta?
“È un errore la polarizzazione che si ha in Italia su queste due posizioni che sono entrambe sbagliate, anche se con una base di verità. Non che le donne curde non abbiano un ruolo attivo nella società, ma fare dei curdi il simbolo dell’eguaglianza di genere perché esistono donne combattenti è riduttivo e offensivo, non c’è questa corrispondenza nell’organizzazione sociale. Certamente il Rojava è molto più democratico rispetto a paesi dell’area come Arabia Saudita o Iran, ma non lo è in termini assoluti. I curdi sono un popolo tendenzialmente tradizionalista, basta pensare alla vita nei paesini sulle montagne della Turchia. Allo stesso tempo ritengo che nemmeno in Italia ci sia parità di genere.
Quanto al binomio PKK, Partito dei Lavoratori Curdi, terrorismo, é vero che il PKK è inserito nell’elenco UE tra le organizzazioni terroristiche.” Nella primavera 2019 alcuni parlamentari europei hanno chiesto di ritornare su questa decisione e eliminare il PKK dalla lista, che viene aggiornata ogni sei mesi, ma l’emendamento è stato respinto. “Negli ultimi dieci anni in Turchia il PKK è stato elemento di destabilizzazione. Chi ne “giustifica” le azioni chiarisce che gli episodi di terrorismo dei guerriglieri del PKK hanno avuto quasi sempre come obiettivo i soldati turchi, quindi più che come episodi di terrorismo vanno considerati azioni di una lotta di liberazione. È difficile entrare in queste questioni”.
Curdi Siria: gli Usa sono andati via?
Gli USA all’inizio di ottobre sono andati via con clamore dal Nord della Siria, ma sono rientrati, silenziosamente – rispetto ai media – nel Sud, cosa significa questo movimento?
“Fin dai tempi di Obama gli Usa cercano di disimpegnarsi in Medio Oriente, ma un conto è l’intenzione politica, altra cosa sono gli interessi energetici. Obama voleva costruire un Medio Oriente forte, poi sono arrivate le primavere arabe e non lo ha potuto fare.
Trump vuole dare l’impressione di andare via dalla Siria più a uso interno che nei fatti, e in maniera assertiva costruisce un asse con Arabia Saudita, Israele, Egitto. Lo scopo di Trump nel tenere un piede in Siria è sia di controllare quello che fa l’Iran ma anche di far cadere il regime iraniano, storicamente nemico; a sua volta l’Iran è un paese che vuole gli USA distrutti. L’intento del Presidente sarebbe che gli alleati nell’area dipendessero dagli Stati Uniti, garanti di stabilità, ora sembra che le parti si siano invertite: Trump non ha una sua visione, fa quello che fa su pressione di paesi come l’Arabia Saudita e Israele.”
Curdi Siria: cosa succede al confine con la Turchia
La fascia di sicurezza di 30 chilometri voluta da Ankara al confine tra Siria e Turchia è una eredità degli anni ’90 quando il padre di Assad, Hafiz, concesse alle autorità turche la possibilità di seguire i ribelli curdi del PKK oltre confine, perché oggi questo accesso ai Turchi viene tollerato da Damasco?
“Quando è iniziato il conflitto in Siria una delle prime cose che ha fatto Assad è stata offrire la cittadinanza ai curdi che fino a quel momento erano apolidi, l’obiettivo era portare dalla sua parte più gente possibile
Oggi Assad, che sembra essere il vincitore in Siria, tollera l’invasione turca. Dietro a questa posizione c’è un accordo con la Russia che garantisce protezione alla Siria.”
Come è cambiata la demografia dei territori in Siria e con che conseguenze?
“Le conseguenze saranno gravissime se i Turchi porteranno a termine il ripopolamento della fascia Nord della Siria, il territorio dove l’esercito turco ha scacciato le milizie del YPG, braccio armato del PYD, e la popolazione curda. Se i Turchi decidessero di trasferire, nell’area lasciata libera dai curdi, i Siriani arabi rifugiati, circa 3milioni e mezzo di persone accolte e assistite in Turchia durante la guerra e con le quali si è creato un legame di riconoscenza, si tratterebbe di sostituzione etnica. Attualmente si stanno già svolgendo una sorta di rimpatri forzati, per creare una zona cuscinetto nel Nord della Siria a scapito dei curdi, una specie di colonia turca, in linea con l’idea di una suddivisione della Siria in aree di influenza tra Turchia, Russia e Iran.
Influenzano la demografia dei territori anche le circa 30 mila persone detenute, incluse donne e bambini, in una terra di nessuno, sempre nel nord della Siria. Si tratta di tre campi di prigionia amministrati dai curdi siriani dove sono reclusi associati all’ISIS di 54 nazionalità con mogli e figli. Lo sconfinamento, dall’inizio di ottobre, dell’esercito turco nella zona rende precaria la sicurezza dei campi in cui sono tenuti, sarebbe quindi necessario rimpatriare i prigionieri e le loro famiglie nei paesi di origine attraverso corridoi umanitari o accordi bilaterali, la loro salvaguardia e il loro destino è una questione umanitaria. Ma mentre Russia, Malaysia, Uzbekistan e Kosovo hanno agito per far rientrare i propri cittadini, Marocco, Tunisia, i paesi Europei, Canada e Australia sembra non vogliano avere indietro i loro concittadini associati all’ISIS e hanno portato a termine complessivamente poche decine di rimpatri.”
Curdi Siria: chi è il vincitore
Chi sta vincendo in Siria?
“Assad, come dicevamo, è il vincitore militare, strategico del conflitto. È impressionante che sia riuscito a resistere in questo modo, che abbia mantenuto coeso il regime. Per come era organizzata la Siria tutto ruotava intorno al regime: la sua caduta comportava, più che in altri paesi, la caduta di tutto il resto. Ma senza il contributo degli attori esterni Assad non ce l’avrebbe fatta: da Hezbollah in Libano, agli Sciti in Iraq, ai soldati iraniani, alla Russia, tutti con lo stesso obiettivo: dar fastidio agli USA e a Israele, in un contrasto tra sciti e sunniti che storicamente non esiste, ma è tutto ideologico.”
Perché l’ONU ha accettato, su pressione turca, che l’Amministrazione Autonoma, che rappresenta i curdi siriani, sia esclusa dal Comitato Costituzionale per la Siria che ha preso il via lo scorso 30 ottobre a Ginevra?
“Gli organismi internazionali come l’Onu non possono riconoscere il Rojava che si autoproclama autonomo. Basta ricordare che per riconoscere i palestinesi ci sono voluti anni. Non condivido, ma capisco.”
Gli abitanti della Siria pre conflitto erano circa 23milioni, ora in base ai dati UNHCR tra rifugiati in altri paesi e morti mancano circa 6 milioni di Siriani nel paese, come inciderà questa diminuzione di popolazione sulle elezioni che si dovrebbero tenere ultimata la stesura della nuova costituzione?
“È prematuro che le parti in gioco si pongano ora il problema delle elezioni, innanzi tutto deve finire il conflitto e bisogna vedere chi lo vincerà. E se da un lato non è in pericolo l’integrità del territorio siriano è pur vero che rimane un territorio vuoto.
Il problema da risolvere riguarda la popolazione che è andata via, quasi 6 milioni di persone che, se vince Assad, non possono tornare perché il regime li sospetta e di conseguenza non ci potrà essere riappacificazione. E poi c’è il problema degli sfollati interni, più legato alla logistica.
Parlare di Costituzione e di elezioni mi pare quasi un esercizio intellettuale, la situazione è più complessa perché permane una forte spaccatura interna alla società. Assad ne è il principale responsabile quindi se resta, permarranno tensioni. Se non si arriva a trovare una sorta di terza parte che garantisca sicurezza, protezione nel nuovo stato, tutto ritornerà come prima della guerra. Queste tensioni fortissime possono essere risolte solo con la sostituzione della dinastia degli Assad perchè troppo coinvolta nel conflitto.”
Nicoletta del Pesco
(3 gennaio 2020)
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