Siria, 9 anni di guerra: intervista a Rula Amin, portavoce UNHCR

Il 15 Marzo di 9 anni fa ha avuto inizio il conflitto in Siria. Quella che era cominciata nel 2011 come una protesta del popolo siriano contro il governo di Bashar al-Assad, nell’ambito della Primavera Araba, presto si è trasformata in una guerra devastante e in un massacro: secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 384.000 persone sono decedute dall’inizio del conflitto, tra cui oltre 116.000 civili. In un recente rapporto l’Unicef ha dichiarato che, solo negli ultimi cinque anni, sono morti 5.427 bambini e ha stimato che vi siano oltre 7,5 milioni di giovani siriani bisognosi di aiuto.

Una popolazione allo stremo

“La vita dei siriani è cambiata radicalmente – spiega Rula Amin, portavoce UNHCR per il Medio Oriente e Nord Africa da Amman – per la maggior parte di loro è stata capovolta”. Dopo nove anni di guerra il popolo siriano è allo stremo, con quasi 8 milioni di persone in una situazione di insicurezza alimentare, pari ad un terzo dell’intera popolazione, e con la metà degli ospedali ormai fuori uso. Si contano oltre 11 milioni di profughi. Da Dicembre 2019, più di 960.000 persone, tra cui oltre mezzo milione di bambini, sono state sfollate a causa delle violenze nel nord-ovest del Paese: Idlib è stata una delle prime province a unirsi alle rivolte contro Assad ed è ora l’ultima a rimanere nelle mani dell’opposizione siriana. Negli ultimi mesi, però, le truppe governative hanno riconquistato quasi metà della provincia, causando la drammatica fuga degli abitanti. Il regime di Bashar al-Assad attualmente controlla oltre il 70% del territorio siriano, grazie al supporto militare dei suoi alleati: la Russia, l’Iran e gli Hezbollah in Libano.“Le risorse dei rifugiati – afferma Rula Amin – si sono esaurite dopo anni di sfollamento, lontani dalle loro case, dalle loro famiglie, dalle loro proprietà e dalla rete di previdenza sociale. Oltre il 60% di loro è costretto a vivere al di sotto della soglia di povertà, in Giordania circa il 79%, in Libano il 73%. In Siria, alla fine dello scorso anno, solo il 64% degli ospedali e il 52% dei centri sanitari primari erano perfettamente funzionanti. Inoltre, il 70% della forza lavoro sanitaria ha lasciato il Paese e il numero di persone senza un accesso affidabile al cibo è di quasi 8 milioni e, in un solo anno, è aumentato di oltre il 20%. In tutto il Paese, 500.000 bambini sono cronicamente malnutriti. Nonostante gli enormi sforzi delle agenzie umanitarie, come l’UNHCR, per aumentare la percentuale di bambini rifugiati siriani iscritti nelle scuole, circa 800.000 ne rimangono esclusi in tutta la regione e ciò rappresenta una grande minaccia per un’intera generazione e per il futuro della Siria”.

L’apertura delle frontiere turche

In Turchia, la decisione da parte del presidente Erdogan di aprire le frontiere con la Grecia e la Bulgaria, per consentire ai siriani in fuga di entrare nell’Unione europea, ha innescato una nuova grave crisi migratoria, concentrata soprattutto negli hotspot sulle isole greche vicine al confine turco: in particolare a Lesbo, Chios e Samos. Secondo la portavoce UNHCR “questa è la più grande crisi migratoria del mondo: circa metà della popolazione siriana è dovuta fuggire dalle proprie case. Più di 6 milioni rimangono sfollati nel proprio Paese; altri milioni hanno attraversato i confini e sono diventati rifugiati sparsi in tutto il mondo (5,5 milioni di loro vivono nei 5 Paesi che circondano la Siria: Turchia, Iraq, Giordania, Libano ed Egitto). Il 93% dei rifugiati siriani risiede nelle comunità ospitanti, principalmente nelle aree urbane, meno del 7% nei campi”.A proposito delle nazioni che offrono il loro sostegno ai siriani, Rula Amin dichiara che “ogni Paese che ospita i rifugiati sta offrendo il proprio aiuto, specialmente quelli che accolgono un numero enorme di persone e stanno già lottando per provvedere ai propri cittadini. Le comunità ospitanti hanno mostrato molta generosità e meritano ogni tipo di supporto da parte della comunità internazionale per continuare a farlo”.

Il diritto di tornare alla propria casa

Tutti i rifugiati – sostiene Rula Amin – hanno il diritto umano fondamentale di tornare in sicurezza e dignità, in un momento di loro scelta, nel loro Paese di origine. Tali decisioni di rimpatrio devono essere comunicate su base volontaria. Nessuno dovrebbe essere forzato: né apertamente attraverso il rimpatrio coatto né indirettamente attraverso cambiamenti nelle politiche che limitano i diritti dei rifugiati o l’assistenza nel loro Paese di asilo. Il ritorno dei rifugiati in Siria è una realtà in crescita: nel 2019 sono stati registrati oltre 95.000 rimpatri, un aumento annuale di quasi tre quarti, mentre oltre 230.000 sono tornati dal 2016, questi rappresentano solo i ritorni verificati dall’UNHCR, ma il dato effettivo è probabilmente più alto. I sondaggi condotti dall’UNHCR rivelano che, mentre oltre il 75% dei rifugiati spera di tornare in Siria un giorno, solo il 6% intende farlo nel prossimo anno”.

Msf: allarme coronavirus

Secondo Msf “il sovraffollamento e le terribili condizioni di vita negli hotspot sulle isole greche sono la tempesta perfetta per un’epidemia di Covid-19”. Ci sono 42.000 richiedenti asilo bloccati nei centri di prima accoglienza in Grecia e, dopo il primo caso confermato di Coronavirus a Lesbo, l’evacuazione dei campi è diventata più urgente che mai: data la mancanza di adeguati servizi igienico-sanitari e lo scarso accesso alle cure mediche.“I servizi di sanità pubblica, nella maggior parte dei Paesi ospitanti, erano deboli e sovraccarichi già prima dello scoppio del Covid-19 – commenta Rula Amin –. I rifugiati vivono in luoghi affollati e insediamenti informali, a volte con servizi idrici e igienici compromessi, e la crescente malnutrizione aumenta la loro vulnerabilità. L’epidemia Covid-19 è una sfida globale che deve essere affrontata attraverso la solidarietà e la cooperazione. L’UNHCR sostiene che tutte le persone interessate debbano essere incluse nei piani e nelle attività nazionali di sorveglianza, preparazione e risposta all’emergenza Covid-19.”

Resilienza e solidarietà: il piano 3RP

Nonostante un cessate il fuoco, concordato il 6 marzo tra Turchia e Russia, in pochi credono che il regime di Assad rinuncerà ai suoi piani per riconquistare interamente la provincia di Idlib. Ma la resilienza del popolo siriano continua, così come numerose forme di solidarietà internazionale: dal 2012, oltre 14 miliardi di dollari hanno finanziato il Regional Refugee and Resilience Plan (3RP), implementato da una coalizione di oltre 200 partner e coordinato da UNHCR e UNDP. Fino ad ora il 3RP è riuscito a fornire servizi come la protezione dei minori per oltre 127.000 ragazze e ragazzi e l’assistenza alimentare per oltre 2 milioni di siriani. A fronte di una richiesta di 5,4 miliardi di dollari, il Piano 3RP per il 2019 è stato finanziato solo per il 58 per cento. (Per donare cliccare qui)Il popolo siriano – conclude Rula Amin – ha mostrato incredibile capacità di resilienza negli ultimi 9 anni, mentre lottava per far fronte a tragiche circostanze e per provvedere alle proprie famiglie. La politica e le rivalità internazionali e regionali devono risparmiare ai siriani ulteriori escalation del conflitto. Se gli venisse data la possibilità, il popolo siriano sarebbe in grado di costruire un futuro migliore per i propri figli”.

Vincenzo Lombardo(23marzo2020)

Leggi anche:Profughi in Grecia: gli sforzi della Ong Still I Rise e l’inerzia dell’EuropaCurdi Siria: spunti di riflessione per non dimenticare“Uniti per la pace in Siria”: lezione in piazza