I lunghi mesi di blocco totale seguiti all’emergenza COVID-19 hanno avuto ripercussioni importanti anche nel terzo settore, che non soltanto ha visto bruscamente interrotte le possibilità di contatto diretto tra le persone, ma che è stato chiamato ad affrontare nuove forme di disuguaglianza o un acuirsi delle disuguaglianze già esistenti. Uno scenario di fronte al quale le realtà che operano nel settore dell’economia sociale non possono fare a meno di interrogarsi, per riprogettare strategie di supporto che sappiano efficacemente intercettare i bisogni della società. Se ne è discusso lo scorso 21 maggio nel corso di una conferenza online, intitolata Oltre la crisi – Economia sociale e modelli di sviluppo cercando tracce di futuro e promossa dal CNCA, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza. Il seminario ha inaugurato il ciclo di due incontri – il secondo, Il destino non è logico, si terrà il 3 giugno dalle 9 alle 12.30 – propedeutici all’assemblea generale del CNCA fissata per il prossimo 20 giugno.
Un nuovo protagonismo del terzo settore
Il diffondersi del coronavirus ha fatto emergere una serie di carenze strutturali nel nostro paese, basti pensare ai danni causati dal progressivo definanziamento del sistema sanitario. Ha reso tuttavia evidente anche l’importanza di tutta quella serie di servizi alla cittadinanza offerti dalle associazioni del terzo settore, una realtà spesso relegata ad un ruolo marginale rispetto alle scelte istituzionali. “L’emergenza COVID-19 ha costretto molte realtà del terzo settore ad un ripensamento profondo delle modalità di erogazione dei servizi, anche sul lungo periodo”, spiega il presidente di CNCA Riccardo de Faci. “Noi siamo stanchi di essere ancillari al sistema welfare, vogliamo cogliere questa occasione per candidarci ad essere finalmente protagonisti attivi di una riscrittura, vogliamo essere considerati degli attori pensanti. La nostra volontà di farci promotori di un cambiamento sociale si nutre di proposte innovative, discusse ed elaborate con competenza e metodo, come il progetto ESC – Economia Solidale Circolare – che coniuga pratiche di consumo sostenibile e percorsi di inclusione lavorativa per i soggetti più fragili della società”.
L’anormale normalità smascherata dalla crisi
In questi ultimi mesi sono emerse, con un’evidenza mai sperimentata in precedenza, molte problematiche rimaste a per lungo tempo sopite: è questa l’opinione di Fabrizio Barca, economista del Forum Disuguaglianze Diversità. “La crisi epidemica ha avuto il merito di mostrare quanto fosse anormale la normalità precedente in cui abbiamo vissuto, riuscendo perfino ad intaccare gli assunti più radicati di questo modo di intendere l’economia di mercato, fondati sull’idea che fosse inutile e poco proficuo investire in welfare e sanità. Oggi ci ritroviamo in una situazione esplosiva: il lavoro è nudo, il mondo della piccola e media imprenditoria è in crisi, 10 milioni di italiani non possiedono risparmi che gli permettano di sostenersi per più di tre mesi senza reddito. Non sarebbe stato così fino a 20 anni fa. Viviamo attualmente un’epoca caratterizzata da un livello di concentrazione della ricchezza mai raggiunto in precedenza, che convive con sacche di povertà assoluta e periferie che presentano fenomeni di conflitto sociale sempre più preoccupanti.”Le effettive possibilità di azione del terzo settore di inserirsi ed operare nei contesti che necessitano di supporto sono spesso ostacolate dalla mancata territorializzazione delle direttive. “In Italia, a livello amministrativo, convivono due fenomeni apparentemente antitetici ma sostanzialmente concomitanti: centralismo autoritario e decentramento caotico. Le associazioni del terzo settore si scontrano quotidianamente con questo problema: il bagaglio di progetti e di idee elaborate dall’associazionismo nei territori non riesce ad arrivare agli organi centrali, per cui nel migliore dei casi le associazioni cercano di adattare la propria azione a bandi e finanziamenti calati dall’alto per funzionare sui territori senza alcuna conoscenza pregressa dei territori stessi.” Lo shock causato dalla pandemia sembra aver aperto spiragli di opportunità di ripensamento più o meno radicali della società in cui viviamo. “Abbiamo finalmente tutti compreso l’importanza alcuni lavori di cura e welfare, generalmente sottopagati e poco considerati nel nostro paese. Abbiamo compreso anche il ruolo determinante del digitale e di quante disuguaglianze è foriera l’ineguale distribuzione di infrastrutture informatiche e di opportunità di educazione digitale, basti pensare alle difficoltà riscontrare in questi mesi nel mondo scolastico alle prese con la didattica a distanza. Anche a livello universitario è emersa l’ormai cronica difficoltà di fornire sbocchi concreti a tutto un bagaglio di conoscenze utili alla società che restano spesso sulla carta.”
Le conseguenze della pandemia sul mondo del lavoro
L’impatto della nuova crisi sulla società in cui viviamo può essere, con buoni margini di aderenza, analizzato attraverso un confronto con la situazione post-crisi 2008. Gli effetti della Grande Recessione del 2008 si sono manifestati nel nostro paese in maniera evidente nel mondo del lavoro, che ha registrato una netta polarizzazione tra impieghi sottopagati, afferenti soprattutto alla sfera dei servizi alla persona, e lavori eccellenti. “La crisi del 2008 ha avuto conseguenze disastrose sulla sfera occupazionale: ha ridotto drasticamente la disponibilità di lavoro protetto e dignitoso ma soprattutto le possibilità di accesso all’impiego per i più giovani, creando una sorta di blocco generazionale”, spiega il sociologo Tommaso Vitale dell’università di Parigi Sciences Po. “Per affrontare questo tipo di crisi ci sono tre strumenti a disposizione: protezione del reddito individuale, investimento sociale sui giovani, creazione di nuovo lavoro. Sul bilanciamento di questi tre strumenti, o sul loro utilizzo concorrenziale, si gioca la partita dell’efficacia istituzionale dell’intero paese, per evitare inoltre che raggiunga livelli ingestibili la richiesta di autoritarismo e il livello di rabbia sociale sempre in aumento tra i più giovani. In questa partita un ruolo essenziale è chiamato a svolgere anche il terzo settore, che non può ignorare questa nuova domanda di protezione mossa da una parte consistente della popolazione”.
Il futuro tra creatività e interconnessioni
La crisi coronavirus, per la sociologa Vincenza Pellegrino, nella radicalità del suo impatto ha fatto sì che venissero per la prima volta intaccati paradigmi su cui si fonda la nostra società, ritenuti a lungo insindacabili. “La crisi che abbiamo vissuto ci ha permesso di ripensare, per dirla con l’antropologo Arjun Appadurai, al ‘futuro come fatto culturale’, liberandoci dalla trappola del traiettorismo, che considera l’andamento della storia delle società umane come una linea rivolta verso un progressivo e inarrestabile miglioramento. Viene così a liberarsi un intero bagaglio di creatività sociale, che promuove nuove modalità di gestione degli spazi, del tempo e della vita collettiva in generale. E quale soggetto, se non il terzo settore, può farsi promotore di questo cambiamento?” Una esigenza di cambiamento radicale, dunque, che interessi i vari aspetti del vivere in società e che permetta di ripensare un futuro più sostenibile. Un ripensamento che non può non coinvolgere anche il nostro modo di approcciarci al pianeta, precisa l’economista ambientale Silvano Falocco: “Emergenza coronavirus e questione ambientale sono due problematiche interconnesse soprattutto per due aspetti: in primis perché la pandemia ha reso evidente quanto le nostre azioni abbiano ripercussione sull’ambiente che ci circonda e a sua volta ci condiziona; in secondo luogo perché quella ambientale è una questione che tiene conto delle interconnessioni, che ci allena a considerare strettamente correlati uomo, società, ambiente. Mai prima di questa pandemia è stato così evidente che nessuno si salva da solo”.
Silvia Proietti
(27 maggio 2020)
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