“Sono 3059 i migranti arrivati in Italia da inizio 2020 attraverso la rotta balcanica contro i 2104 del 2019” spiega il Ministro Luciana Lamorgese in conferenza stampa a Trieste l’8 settembre dove ha incontrato sindaci e amministratori che stanno affrontando le problematiche relative agli arrivi attraverso la rotta Balcanica. “Le riammissioni informali sono tre volte quelle del 2019, 852 in un anno, più di 500 nell’ultimo periodo, nel 2019 furono complessivamente 203.”
Le storie di chi subisce le riammissioni
I dati sottendono storie di migranti che singoli o in gruppo abbandonano paesi pericolosi, in guerra, alla ricerca di una vita migliore.
Come si devono essere sentiti i cinque indiani che passeggiavano nell’aria fresca della sera e che sono stati prelevati dalla piazza di Muggia, a 12 chilometri da Trieste, l’11 giugno attorno alle 23, e dopo due giorni si sono ritrovati in Bosnia Erzegovina da dove provenivano? Analoga sorte è toccata ad alcuni dei trenta uomini tra i 20 e i 40 anni più i cinque minori fermati nelle strade di Trieste il 5 luglio mentre camminavano in gruppetti, attorno alle nove del mattino, pensando di respirare la libertà. Sono stati fermati dalle forze dell’ordine e dieci di loro sono stati respinti attraverso la Slovenia, la Croazia fino alla Bosnia Erzegovina in un percorso a ritroso iniziato seduti per terra a Trieste in attesa di un bus che li prelevasse. In questo itinerario al contrario, via via che ci si avvicinava alla destinazione aumentava la carica di violenza subita, che culminava nelle bastonate della polizia croata attorno alla mezzanotte del 7 luglio prima di spingere i migranti verso il punto di partenza in Bosnia.
The Game contro le riammissioni lungo la rotta balcanica
The game is over: il gioco, per loro, è finito, hanno perso. Infatti il game “è definito dagli stessi migranti il tratto finale della cosiddetta rotta Balcanica. Chi oltrepassa il confine e passa dalla Bosnia alla Croazia e riesce, superando ostacoli geografici e abusi, ad arrivare, attraverso la Slovenia, fino a Trieste vince il game” spiega Gian Andrea Franchi, fondatore con Lorena Fornasir di Linea d’Ombra odv. Intorno a lui seduti a semicerchio sulle panchine della piazza di fronte alla stazione ferroviaria di Trieste c’è un gruppo di giovani fra i venti e i trent’anni, con capelli neri brillanti, occhi e carnagione scura. Alcuni chiacchierano, qualcuno telefona, altri mangiano un panino, chi prova scarpe o altri indumenti e soprattutto c’è chi si fa curare ferite e abrasioni dai volontari dell’associazione coadiuvati da medici e infermieri de La Strada Si.cura.
I giovani migranti sono prevalentemente Afghani, in genere Azeri, ma in molti arrivano anche dal Pakistan, qualcuno dall’Iraq. “Sono soprattutto giovani uomini, ma a fine agosto sono arrivate quattro famiglie afghane con bambini piccoli. In media raggiungono Trieste una trentina di ragazzi al giorno, recentemente sono arrivati in 52 e c’è stata una punta di 100 arrivi. Il 25% sono Msna. Gli afghani arrivano perché fuggono dalle violenze dei talebani, partono per sopravvivere, per costruirsi una vita nella quale non aver paura. E questo è un sentire condiviso anche da Siriani e Iracheni.”
I numeri degli arrivi non fanno paura
Dei 141.846 migranti che nel 2019 hanno superato illegalmente i confini per raggiungere l’Europa la maggior parte, 83.333, ha usato la rotta Mediterranea Orientale verso Turchia e Grecia. Il secondo accesso più utilizzato è stata quella del Mediterraneo occidentale per la Spagna, 23.969 migranti. Gli accessi in Italia attraverso il Mediterraneo Centrale sono stati 14.003 e quelli dalla rotta Balcanica 15.152. Se complessivamente gli arrivi irregolari sono diminuiti del 4,9 rispetto al 2018 e di oltre il 27% dal 2016, quando erano 511.146, l’accesso dai Balcani è aumentato di oltre 9.000 passaggi dal 2018. Ma gli ingressi illegali del 2019 dalla rotta Balcanica sono ancora lontanissimi dai numeri del 2016 quando erano 130.325, cioè l’88% in più.
“La maggior parte di coloro che arrivano qui vuole andare avanti, noi li informiamo che soprattutto gli Afghani hanno buone probabilità che in Italia la loro richiesta di asilo venga accettata, c’è una sorta di canale preferenziale per loro” spiega Franchi.
Si avvicina Rachid un ricercatore pakistano che lavora a Trieste e collabora con l’associazione soprattutto per parlare con i giovani che non conoscono l’inglese, la lingua con la quale si comunica con la maggioranza degli stranieri di passaggio.
Trieste è solo una tappa e non è più una città sicura
In piazza della Libertà vengono curati tagli e ferite fatti nel cammino, un percorso che oscilla attorno ai 200 chilometri che separano Trieste dal confine, tra la Croazia e la Bosnia Erzegovina, che è lungo più di 900 chilometri, l’itinerario è percorso a piedi mediamente in una decina di giorni, ”Andare a piedi è il modo più economico per arrivare in Italia, ma c’è anche chi raggiunge Trieste in pulmino o in taxi. Per la maggioranza Trieste è solo una tappa, si riparte subito, destinazione Milano e il confine con la Francia. Chi non vuole fermarsi trova ricovero per qualche notte nei silos abbandonati nei pressi della stazione. Lì le condizioni igieniche sono pessime tra rifiuti e ratti. C’è anche qualcuno che sparisce nel nulla.” Ad intercettare chi vuole proseguire il viaggio ci pensano i passeur, “sono afghani o pakistani che indirizzano, chi arriva in città, al confine francese, non a Ventimiglia che ora è chiuso, ma a percorsi attraverso le Alpi. Anche la Francia è prevalentemente terra di transito, le mete finali sono la Germania e il nord Europa.”
A causa delle riammissioni, dall’Italia alla Slovenia e poi alla Croazia fino alla Bosnia, negli ultimi mesi i passeur organizzano sempre meno attraversamenti nella zona di Trieste, si sono spostati in quella di Udine così da sfuggire a questo rischio. Lo spostamento degli arrivi di migranti dall’area di Trieste a quella di Udine ha avuto, tre le altre conseguenze, quella di riempire l’ex caserma Cavarzerani dove sono ospitati i richiedenti asilo e, per i nuovi arrivati, le autorità di Udine non hanno trovato di meglio che ospitare i migranti, per il periodo della quarantena, su tre pullman.
La riammissione prevede il potere di far tornare nel paese di provenienza una persona intercettata in zona di frontiera nel caso non abbia i requisiti per un accesso regolare nel paese di destinazione, la procedura semplificata adottata è una pratica informale realizzata facendo riferimento a un accordo del 3 settembre 1996 tra Italia e Slovenia. In realtà sono riammissioni che violano le norme dell’Unione Europea e del diritto internazionale perché avvengono senza provvedimenti amministrativi specifici, ma solo tramite azioni delle polizie rispettivamente italiane, slovene e croate che spostano i migranti fuori dai confini della UE senza che ci sia traccia di questi trasferimenti. Per questo ASGI il 5 giugno ha inviato una lettera aperta al governo e per conoscenza a UNHCR, nella risposta il Governo ha confermato la pratica delle riammissioni
Riammissioni lungo la rotta balcanica: le amministrazioni
Nei comuni nei pressi dei confini le amministrazioni hanno avuto reazioni diverse all’arrivo dei migranti dalla rotta Balcanica ”il sindaco di Gonars ha vergognosamente proposto ai cittadini di organizzare ronde anti-migranti” racconta Franchi. Non è tardata la presa di posizione di 28 sindaci di centro sinistra che in una lettera alla Regione auspicano un impegno della regione a supporto dei Comuni e di smettere di utilizzare i migranti come argomento di scontro con il Governo. “Quando c’è un problema, si collabora tutti insieme e lo si risolve”.
Cosa fanno a Trieste le istituzioni cittadine: “nulla, la polizia ci tollera, siamo una sorta di servizio d’ordine. Subito prima che scoppiasse l’epidemia di Covid-19 abbiamo chiesto alla Protezione Civile la possibilità di intervenire con i migranti, siamo stati autorizzati a essere presenti nella piazza di fronte alla stazione” spiega Franchi, ” ma il permesso è stato revocato a fine marzo, siamo stati fermi una quindicina di giorni, poi siamo tornati in piazza, la polizia inizialmente ci ha fatto firmare una dichiarazione che operavamo per motivi sanitari, poi più nulla”.
Testo Nicoletta del Pesco
Infografiche Silvia Proietti
(10 settembre 2020)
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