Contribuire alla rinascita di una passione civile, che con la forza delle idee e dei sentimenti alimenti un processo di rinnovamento culturale profondo, fondato sulla dignità della persona che lavora e sulla credibilità delle istituzioni pubbliche: questo il filo che ha attraversato gli interventi in occasione della presentazione del V Rapporto Flai-Cgil su Agromafie e caporalato. Il Rapporto – che fonde la conoscenza diretta delle condizioni di vita e lavoro dei lavoratori, i contributi di analisti e studiosi, le interviste sul campo, i procedimenti penali, le proposte – è stato illustrato nelle sue parti da Jean-René Bilongo, coordinatore dell’Osservatorio Placido Rizzotto e curatore con Francesco Carchedi della pubblicazione.
Insufficienza del Decreto regolarizzazioni a far emergere i circa 180mila lavoratori vulnerabili nelle campagne del territorio nazionale; scarsa efficacia nell’applicazione della legge di contrasto al caporalato; urgenza dell’abolizione della Legge Bossi-Fini: sono i punti critici sollevati dal Segretario Generale Flai nazionale Giovanni Mininni. Mentre Teresa Bellanova, Ministra del Mipaaf, ha rivendicato l’importanza del DL che ha fatto uscire dall’invisibilità 220mila lavoratori. Sicuramente insufficiente il numero di regolarizzazioni in agricoltura, 30mila, ma pur sempre un passo avanti. Per la prima volta – ha detto la Ministra – il Ministero dispone strumenti per intervenire sull’intera filiera agroalimentare, istituendo un Osservatorio del fabbisogno agricolo e mettendo insieme impresa, distribuzione e Stato (150mila euro per il triennio 2020-22). La battaglia per la legalità e la dignità del lavoro è a tutto campo e deve coinvolgere anche il consumatore, tenuto a sapere non solo che i prodotti sottocosto spesso hanno dietro lo sfruttamento del lavoratore, ma anche che in questo periodo di pandemia sono proprio i lavoratori umili che gli hanno garantito il cibo in tavola. Inoltre, bisogna superare un’idea vecchia e svalutante del lavoro agricolo, perché in esso ci sono competenza e passione, e difendere la qualità dei prodotti italiani significa contribuire allo sviluppo dell’intera nazione.
Perché solo 30.000 sono stati i lavoratori agricoli regolarizzati?
Questa la domanda posta dal Procuratore Generale Suprema Corte di Cassazione, Giovanni Salvi. Riflettendo sul fatto che spesso neanche il lavoratore ha interesse alla legalità se non ha la certezza della non clandestinizzazione, ha detto che, collocando il lavoro irregolare all’interno dell’intera filiera agroalimentare, è finalmente possibile mettere insieme sindacati, Coldiretti, Enti Locali e ministeri competenti, affinché si intervenga sulla tutela del lavoratore, sulla qualità dei prodotti e sui servizi necessari a una vita dignitosa (trasporto e alloggio). Ovviamente in questo le Procure, opportunamente sensibilizzate, hanno un ruolo decisivo.
Più legalità e una nuova passione civile contro le diseguaglianze sociali
Il livello di civiltà di un Paese si misura sulla distanza tra primi e ultimi, e in quella distanza l’assenza dello Stato lascia il campo alla criminalità, come accade maggiormente nelle campagne. Caporalato e sfruttamento del lavoro agricolo sono una vergogna nazionale – ha detto Matteo Mauri, viceministro dell’Interno –, la repressione però non basta, serve la diffusione di consapevolezza che solo con la legalità è possibile lo sviluppo dei territori. Nell’agenda del Ministero ci sono, dopo la conversione delle modifiche ai Decreti sicurezza, la legge per la cittadinanza e l’abolizione della Bossi-Fini.
Ciò che causa illegalità e sfruttamento nelle campagne, dove più che altrove si registrano morti sul lavoro, è la condizione di isolamento e ghettizzazione – ha detto Andrea Riccardi, Comunità Sant’Egidio –, per cambiare la quale è necessario ricreare quelle reti sociali che costituiscono il fondamento di una cultura della solidarietà. Il Rapporto Flai-Cgil è un contributo al ritrovare la passione civile degli anni ’70 e al diffondere una cultura diversa basata sull’incrocio tra conoscenza della realtà e sentimenti.
Al centro di una nuova cultura la persona che lavora
Nelle conclusioni Maurizio Landini, in collegamento da casa per isolamento precauzionale, è partito dal 1989, anno dell’assassinio di Jerry Masslo e dell’avvio di una cultura di svalutazione del lavoro che ha portato a una competizione tra lavoratori come mai prima d’ora e a una legislazione che ha fatto della forza lavoro una merce da vendere al miglior offerente, aumentando la precarietà e facendo esplodere le diseguaglianze.
In vista della definizione di un nuovo modello di sviluppo, è necessaria una battaglia culturale che ponga al centro il lavoro, come recita l’art. 1 della Costituzione. Il contrasto al caporalato apre la strada a un nuovo modello di impresa, il cui marchio deve contrassegnare un prodotto derivato dal rispetto del lavoro. Per tutelare lavoro e qualità produttiva è indispensabile il ritorno al collocamento pubblico, cioè alla presenza dello Stato nell’incrocio tra domanda e offerta. Ciò richiede investimenti ma anche una nuova etica politica.
Per ascoltare tutti gli interventi: https://www.facebook.com/watch/live/?v=355380855879344&ref=watch_permalink
Luciana Scarcia
(17 ottobre 2020)
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