“Garantiremo che le persone che hanno il diritto di rimanere siano integrate e si sentano accolte. Queste persone devono costruirsi un futuro”. Quando la Presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, durante il suo primo discorso sullo stato dell’Unione il 16 settembre 2020, parla dei migranti in UE non parla di una minoranza.
I cittadini nati al di fuori dei confini europei sono 34 milioni, pari, più o meno, al numero di abitanti di Svezia, Grecia, Portogallo e Croazia. Tutti insieme. Ma non rappresentano un fronte compatto, si distribuiscono nei 27 paesi europei in maniera diversa, in Svezia, ad esempio, arrivano al 10% della popolazione, in Italia sono l’8.4%, in Romania sono solo il 3%.
Quando descrive chi arriva dal resto del mondo, non parla di una minaccia, ma di un’opportunità: “Hanno competenza, energia e talento”. Oltre un quarto dei migranti presenti in UE è costituto da persone con un livello di istruzione elevato ma spesso non riesce a mettere in atto le sue potenzialità.
Confrontate alle realtà dei singoli Stati, le parole di Ursula von Der Leyen suonano come pura retorica. Integrazione, inclusione, futuro sono concetti astratti che fanno fatica a prendere forma. Eppure periodicamente la Commissione Europea mette nero su bianco un piano d’azione per renderli concreti, le strategie che i paesi degli Stati membri dovranno mettere in atto a partire dal 2021 e fino al 2027 sono state presentate il 24 novembre 2020.
Cosa prevede il piano? Ma soprattutto qual è il contesto in cui le azioni dovrebbero prendere forma? Uno sguardo all’Italia.
Migranti e UE, qual è il piano per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027?
Il lavoro dell’UE in materia di integrazione e di inclusione è sostenuto da una serie di principi e valori condivisi, che dovrebbero anche guidare il lavoro degli Stati membri all’atto della progettazione, dell’attuazione o della revisione delle loro strategie. Questo vale per l’intera gamma delle politiche di inclusione dell’UE contemplate dal pilastro europeo dei diritti sociali.
Cinque sono i principi su cui si basa il piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027:
- Inclusione per tutti;
- Sostegno mirato dove serve;
- Integrazione delle priorità in materia di genere e di lotta contro la discriminazione;
- Sostegno in tutte le fasi del processo di integrazione;
- Massimizzazione del valore aggiunto dell’UE attraverso partenariati multipartecipativi.
E quattro i settori principali in cui mettere in atto le strategie progettate:
- istruzione e formazione;
- occupazione e competenze;
- salute;
- alloggio.
Sono questi, d’altronde, i fronti universali per la costruzione di un buon futuro, in Europa come in qualsiasi altro luogo del mondo, ma è anche su questi fronti che per i migranti, nella maggior parte dei casi, si gioca la battaglia più difficile.
Piano per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027: istruzione
Secondo i dati MIUR pubblicati a luglio 2020, gli studenti stranieri in Italia sono 857.729, circa il 10% del totale. Il 64,5% è nato in Italia.
Nel decennio 2009/2010 – 2018/2019 gli studenti con cittadinanza non italiana sono complessivamente aumentati del 27,3%.
Il primo punto del Piano UE riguarda proprio il miglioramento della partecipazione all’istruzione e dei risultati ottenuti.
Le strategie?
- un nuovo insieme di strumenti con orientamenti pratici sull’inclusione;
- sostegno mirato agli insegnanti su diversità culturale, religiosa e linguistica nelle aule nell’ambito delle accademie degli insegnanti Erasmus;
- attività di apprendimento e consulenza tra pari tra Stati membri nell’elaborazione e sull’attuazione di efficaci politiche di istruzione inclusiva;
- offerta di una formazione mirata agli animatori socioeducativi.
Sono tutti temi di cui in Italia, nelle scuole, già si parla da anni. Ma i dati sul ritardo e sull’abbandono scolastico dei giovani di origine straniera che fino ad ora non è stato fatto abbastanza.
I miglioramenti ci sono stati ma i numeri dicono che c’è ancora molto da fare. Resta indietro il 30,1% degli studenti stranieri, contro il 9,1% degli italiani. Una percentuale che sale al 57% nella scuola Secondaria di II grado. Oltre il 33% dei giovani di 18-24 anni è a rischio di abbandono formativo.
Le ragioni probabilmente sono da rintracciare anche nei respingimenti scolastici o nell’inserimento in classi inferiori rispetto all’età ma nessun cenno su questi punti chiave è presente nel piano.
E i nodi da sciogliere non riguardano solo chi segue un percorso formativo in Italia, ancora più complessa è la condizione di chi arriva avendo già ricevuto una formazione all’estero.
In Europa quasi il 40% dei migranti è sovraqualificato per il lavoro che svolge. In Italia il 10,7% degli stranieri fra i 15 e i 64 anni ha una laurea, il 34,4% ha un diploma di scuola superiore. Ma i dirigenti stranieri sono lo 0,3% e i liberi professionisti solo l’1,3%.
Su questo punto e sulla formazione l’UE si prefigge di:
- Migliorare il riconoscimento delle qualifiche attraverso:
- la promozione della cooperazione tra autorità nazionali;
- il sostegno a pratiche trasparenti di riconoscimento delle qualifiche dei rifugiati attraverso il programma Erasmus;
- la promozione di scambi tra gli Stati membri sull’offerta di corsi complementari/propedeutici per i migranti;
- la divulgazione di informazioni;
- la promozione della trasparenza dei sistemi di qualifica.
- Sviluppare programmi di apprendimento delle lingue completi e accessibili attraverso il finanziamento e lo scambio di esperienze;
- Promuovere scambi tra gli Stati membri su approcci di successo ai corsi di educazione civica.
I titoli accademici di studio stranieri non hanno valore legale in Italia. Per essere utilizzati nel nostro paese è necessario chiederne il riconoscimento. La procedura cambia in base agli scopi e spesso è un percorso a ostacoli tra burocrazia e regole poco chiare.
Piano per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027: occupazione
Altro tema centrale del piano per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027 è il lavoro che in Italia, così come altrove, rappresenta per molti migranti l’unica strada per poter restare regolarmente in Europa.
Il tasso di occupazione tra i cittadini extra UE, infatti, è superiore a quello registrato tra gli italiani, pari al 58,8%. Il 60,1% dei migranti ha un impiego e tra i non comunitari i dati salgono al 62,8%.
Non solo dipendenti, ma anche imprenditori: i cittadini titolari di imprese nati in un paese extra UE in Italia sono 383.462 unità, pari al 12,2% del totale.
Sono questi i dati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali raccolti nel report annuale 2020 Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia che però “non tengono conto dell’impatto dell’emergenza Covid-19, che ostacolerà i trend positivi e acuirà le criticità già esistenti, né della regolarizzazione in corso”, sottolinea il sottosegretario Stanislao Di Piazza.
Sul fronte dell’occupazione l’UE spingerà gli stati membri nelle direzioni che seguono:
- promozione di un approccio multipartecipativo per l’integrazione nel mercato del lavoro;
- sostegno ai datori di lavoro attraverso scambi e apprendimento tra pari;
- sostegno all’imprenditorialità inclusiva;
- valutazione e convalida delle competenze più agevole.
Nelle azioni da mettere in campo per migliorare l’occupazione, non si considera in nessun modo il lavoro irregolare. Eppure in tutta Europa c’è un esercito di lavoratori invisibili che, se venisse alla luce, potrebbe giovare anche ai cittadini europei: basta pensare alla mole di contributi non versati.
Quantificarli con esattezza è molto difficile, ma secondo diverse stime solo in Italia circa 600.000 persone da Nord a Sud vivono e lavorano sommerse, senza documenti e senza diritti.
A maggio 2020 tra gli strumenti emergenziali adottati con il Decreto Rilancio, l’Italia ha permesso ai datori di lavoro del settore domestico e dell’agricoltura di accedere a una regolarizzazione.
207.542 sono le domande ricevute dal portale del Ministero dell’Interno. Ma non sono ancora disponibili dati ufficiali sull’impatto effettivo sul mercato del lavoro.
Piano per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027: salute
Il terzo pilastro del Piano d’azione per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027 è la salute. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”, si legge nella Costituzione italiana all’articolo 32.
Sulla base di questo principio l’accesso alle cure è garantito a tutti, a prescindere dalla sua situazione amministrativo-giudiziaria, e quindi anche ai migranti irregolari.
Non è semplice quantificare, però, quanti cittadini stranieri effettivamente riescano ad avere accesso al sistema sanitario.
Lo stesso Rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella regione europea redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia in più punti che per l’Italia non ci sono dati disponibili.
Al di là dei numeri specifici, emerge un’evidenza: anche un paese inclusivo dal punto di vista della sanità, come può essere l’Italia, non è esente dalle difficoltà di accesso alle cure per gli stranieri a causa della scarsa conoscenza e comprensione del sistema sanitario e banalmente dei proprio diritti, anche solo per una questione linguistica.
“In alcuni Stati membri, come l’Italia e la Spagna, la mancanza di servizi di supporto legale
funge anche da barriera. La mancanza di risorse umane e finanziarie è stata
identificato come un fattore che limita l’accesso allo screening al momento dell’arrivo di migranti, e anche alle vaccinazioni, alla promozione della salute, ai servizi specializzati per patologie croniche e persone con disabilità, ai servizi di salute mentale e ai servizi odontoiatrici”, si legge nel report OMS.
“Medici Senza Frontiere ha segnalato una mancanza di risorse, di screening medico e consultazioni mediche e lacune nell’identificazione delle vulnerabilità come barriere all’accesso all’assistenza sanitaria per migranti in arrivo in Italia”.
Quali sono le strategie del Piano UE per migliorare la salute dei migranti?
- Promuovere l’accesso dei migranti ai servizi sanitari;
- Sostenere e promuovere gli scambi tra gli Stati membri in relazione:
- programmi di prevenzione e di promozione della salute rivolti specificamente ai
migranti, con adeguati strumenti di sensibilizzazione; - all’accesso ai servizi di salute mentale e riabilitazione.
- programmi di prevenzione e di promozione della salute rivolti specificamente ai
Azioni troppo ampie e poco specifiche per intervenire su un tema cruciale e delicato come quello della salute, soprattutto se si considera la pandemia in atto dal 2020.
Piano per l’integrazione e l’inclusione 2021-2027: alloggio
L’ultimo fronte prioritario per l’UE per migliorare l’inclusione e l’integrazione dei migranti è l’alloggio.
Avere un posto in cui vivere per chi parte dal proprio paese è anche una necessità burocratica, non solo la risposta a un bisogno primario che accomuna tutti gli esseri umani. Ma spesso è il traguardo più difficile da raggiungere.
Se il percorso comincia per molti nei centri di accoglienza, non per tutti riesce a concludersi in una casa.
Nell’ultima rivelazione Istat, i senza fissa dimora in Italia sarebbero oltre 50 mila 724 persone, se si considerano coloro che, nei mesi di novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta l’indagine. Più della metà sono stranieri: il 58,2%.
Anche in questo caso, è molto difficile reperire dati certi. Nel rapporto Fuoricampo pubblicato nel 2018 sugli insediamenti informali in Italia Medici Senza Frontiere ha parlato di almeno 10.000 persone escluse dall’accoglienza. Un dato sicuramente sottostimato, soprattutto se si considera che è stato registrato prima dell’approvazione dei Decreti Salvini che hanno avuto un impatto forte da questo punto di vista.
La situazione di Roma è emblematica per comprendere le difficoltà del binomio alloggio-migranti. Dal centro alla periferia, in tutta la città ci sono o ci sono state occupazioni organizzate e insediamenti spontanei.
In entrambi i casi tra gli inquilini non mancano mai gli stranieri. Secondo le ultime stime disponibili, solo nella capitale, senza distinzioni tra italiani e migranti, vivono 12.000 persone in circa 90 palazzi occupati. Numeri che non tengono conto del grande incremento avuto dall’inizio dell’emergenza coronavirus in poi.
Sono numeri da prendere con le pinze, ma anche senza dati precisi è chiaro che un disagio abitativo esiste e che i migranti lo vivono pienamente.
Le azioni del piano UE sembrano non tener conto in nessun modo dell’esistenza di occupazioni e di insediamenti spontanei sul territorio europeo.
Sono tre le strategie da mettere in atto:
- promozione di alloggi adeguati e a prezzi accessibili, anche di edilizia sociale, non segregati;
- apprendimento reciproco tra Stati membri, città, paesi e regioni sulla lotta
alla discriminazione sul mercato immobiliare e la riduzione della segregazione residenziale; - promozione di modelli abitativi autonomi, inclusivi e con prezzi accessibili, per i richiedenti
asilo e per i beneficiari di protezione internazionale.
Dall’istruzione agli alloggi, per costruire il futuro di cui parla la presidente della commissione UE Ursula Von der Leyen le azioni del Piano UE 2021-2027 somigliano a una lista di buoni propositi, deboli e poco puntali, destinati a rimanere tali.
Rosy D’Elia
(7 gennaio 2021)
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