Qual è la direzione del nuovo governo Draghi sui migranti? Le risposte, e gli indizi, arrivano direttamente dal presidente del Consiglio nel discorso per la fiducia che ha tenuto al Senato lo scorso 17 febbraio. Dalla linea di continuità sugli Interni al rafforzamento dei rimpatri, passando per le responsabilità europee sono quattro i punti di partenza.
Da più Europa alla Lega, il sostegno al nuovo Esecutivo è ampio. E l’unica politica possibile è la difficile ricerca di un centro di equilibrio. Sui migranti, come su tutto il resto.
Si apre il terzo atto di una legislatura che lascia segni profondi sul sistema dell’accoglienza in Italia.
Il primo Governo Conte ha approvato due Decreti Sicurezza che hanno smantellato le reti interne, legali, di supporto ai migranti, hanno stravolto le regole per l’accesso alla protezione e ai documenti e hanno eroso lo spazio del soccorso in mare. Il secondo Governo Conte con il Decreto Immigrazione che ha modificato, ma non abrogato, i Decreti Salvini ha ristabilito un minimo indispensabile di umanità.
Si è limitato ad apportare le correzioni urgenti che la stessa Corte Costituzionale ha segnalato più volte nell’analisi dei due provvedimenti. Ma non ha avuto la forza, la volontà e l’occasione, forse anche a causa della pandemia, di ricostruire sulle macerie.
In questo contesto debutta il nuovo Governo. Le scelte e le parole del premier Mario Draghi sui migranti nel suo primo discorso al Senato delineano un doppio binario:
- il consolidamento delle ultime scelte politiche sul fronte interno;
- la costruzione di un fronte europeo compatto con i paesi che necessariamente si trovano ad affrontare la questione degli arrivi, dell’accoglienza, dell’integrazione per esigere una responsabilità europea.
Garantire i diritti minimi e indispensabili, senza pugni duri né grandi aperture, sembra essere l’anello di congiunzione.
Nuovo governo Draghi, sui migranti sono 4 i punti di partenza
A dimostrarlo ci sono 4 punti chiave:
- la conferma di Luciana Lamorgese al Ministero degli Interni: la scelta di mantenere la stessa guida indicata dal precedente Governo dimostra la volontà di agire in linea di continuità con le politiche dell’ultimo anno e mezzo, sul versante dei migranti, in estrema sintesi, si traduce in un rispetto del dettato costituzione rigido, quasi asettico;
- la creazione di un fronte mediterraneo europeo: “consolidare la collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica sensibilità mediterranea e dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria: Spagna, Grecia, Malta e Cipro” è questa l’intenzione dichiarata di Mario Draghi a cui si collegano i punti successivi emersi dal discorso del Senato;
- la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati: nessun veto su chi risponde esattamente ai requisiti per essere accolti, nessuna eccezione in tutti gli altri casi. Anche questo riferimento è un chiaro punto di contatto con la ministra Luciana Lamorgese che ne ha sempre sostenuto l’importanza senza, però, avere un impatto determinante sui numeri. Per il 2020, anno imparagonabile agli altri a causa del Covid, si stima siano stati in totale 3.585 i rimpatri, un record minimo per gli ultimi anni. Come dimostrano i dati fino al 2019 elaborati da Milena Gabanelli per Dataroom del Corriere.it, le cifre hanno un andamento costante e la scelta di un singolo paese di sostenere i rimpatri è più politica che pratica perché in gioco ci sono, tra le altre cose, anche le relazioni con gli stati di origine che devono riconoscere il migrante come loro cittadino;
- la ricerca di un equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva nel negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo: l’accordo, presentato dalla Commissione Europea il 23 settembre 2020, è un testo non vincolante ma rappresenta la base per mettere in atto una serie di azioni concrete da parte del Parlamento e del Consiglio UE. Presentato come un nuovo inizio, fa riferimento a principi già condivisi ma mai messi in pratica: “Ogni Stato membro, senza eccezioni, deve contribuire alla solidarietà nei periodi di forte sollecitazione, per contribuire a stabilizzare il sistema generale, sostenere gli Stati membri sotto pressione e garantire che l’Unione adempia ai propri obblighi umanitari”.
Nel suo primo discorso al Senato il 17 febbraio 2021 il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato con convinzione che l’Italia, con il supporto di altri Paesi mediterranei, propone una meccanismo obbligatorio di redistribuzione dei migranti pro quota riportando alla memoria il fallimento del programma di relocation approvato nel 2015 dall’UE per sostenere Italia e Grecia nella gestione dei migranti.
Nuovo governo Draghi, qual è la direzione futura?
In quell’anno sono stati 153.842 gli arrivi sulle nostre coste e nel 2016 la cifra è salita a 181.436, tantissimi sono stati i transitanti: quelli che sono passati dall’Italia senza lasciare traccia e lasciandosi alle spalle la frontiera.
Secondo il programma UE di relocation, i richiedenti protezione internazionale appartenenti a nazionalità (o apolidi residenti) per le quali il tasso di riconoscimento della protezione internazionale risultava pari o superiore al 75% potevano essere trasferiti in base alle quote di accoglienza messe a disposizione su base volontaria dagli altri Stati.
A luglio 2016 l’UNHCR sottolineava l’insuccesso del programma europeo: secondo i piani, a quella data la redistribuzione avrebbe dovuto interessare già 78mila persone, ma solo 3.056 richiedenti asilo erano stati ricollocati.
Oggi i dati sono molto diversi, in tutto il 2020 sono arrivati via mare 34.154 persone, e la possibilità che gli altri Stati membri collaborino su base volontaria è ancora più remota. L’obbligatorietà di una collaborazione, quasi un ossimoro, di cui parla il presidente del Consiglio oggi è quanto mai necessaria.
E la vera novità, o per meglio dire opportunità, del governo Draghi per quanto riguarda le scelte sui migranti sta proprio nella sua figura e nel ruolo che riveste fuori dall’Italia, nei rapporti con l’Europa e col resto del mondo, e in quello che proverà ad ottenere.
Il nuovo governo è l’occasione unica di poter essere ascoltati e di poter essere determinanti nella definizione di una politica migratoria europea. Ma potrebbe essere anche l’ennesima occasione persa di ascoltare chi in Italia c’è già: vive, lavora, studia nel nostro paese e ancora aspetta delle risposte.
Rosy D’Elia
(24 febbraio 2021)
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