Il SAI, Sistema Accoglienza e Integrazione, supera il precedente SIPROIMI e recupera molti dei principi virtuosi del sistema SPRAR, come la reintroduzione dei richiedenti asilo nei percorsi di seconda accoglienza.
Il D.L. 130/2020, che ha sostituito i precedenti decreti sicurezza del 2018 e del 2019, è stato convertito in L. 173/2020 lo scorso dicembre, ma ad oggi ancora non sono stati emanati i decreti attuativi che consentirebbero una sua piena realizzazione.
Di questo si è discusso nella due giorni di dibattiti L’accoglienza di domani, proposte di breve e medio termine per una riforma del sistema di asilo in Italia incentrata sulle 7 tesi per l’accoglienza redatte dalla rete EuropAsilo, cui sono intervenuti giuristi, amministratori locali ed esponenti del terzo settore. Le 7 tesi sono confluite all’interno del Tavolo LO S.A.I.? promosso da Re.Co.Sol, Rete dei Comuni Solidali, EuropAsilo, che riunisce diverse realtà dell’accoglienza in Italia, Refugees Welcome. Il Tavolo ha redatto un documento congiunto contenente le proposte di implementazione del SAI, presentato ad ANCI e al Ministero dell’Interno.
I limiti di un’accoglienza asistematica
In Italia non esiste un sistema unico di accoglienza. La gestione di quella che negli ultimi decenni è diventata una questione fondamentale per la vita del paese avviene in modo nettamente disuguale su tutto il territorio italiano, originando enormi disparità nell’accoglienza di persone con lo stesso status giuridico ma inserite in percorsi differenti. Non si tratta soltanto della qualità delle strutture e dei servizi erogati nei vari centri di accoglienza o della disponibilità dei Comuni alla presa in carico dei migranti, che determina quella che l’ex-parlamentare Elly Schlein definisce “la Dublino interna dell’accoglienza”. Il sistema di accoglienza vigente nel nostro paese, che solo per comodità si definisce tale poiché privo nei fatti di sistematicità, si articola in due percorsi: CAS, centri di accoglienza straordinaria, a diretta gestione statale; SAI (prima SPRAR poi SIPROIMI), gestiti a livello locale con adesione volontaria dei Comuni.
Il sistema di accoglienza integrata in Italia, nato nel 2002 come SPRAR e riconosciuto come modello virtuoso, si è scontrato fin da subito con la natura volontaria dell’adesione degli Enti locali. Sebbene fin dal 2014 sia attivo un accordo Stato-Regioni che dispone un “piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari”, stabilendo quote di migranti da assegnare a ciascun territorio, rimane a discrezione dell’Ente locale la possibilità di gestire direttamente l’accoglienza o demandare tutto a livello centrale. “Il punto della questione non è tanto legato alla volontarietà dell’adesione al sistema SAI”, precisa Gianfranco Schiavone di ASGI “ma alla scelta di gestire l’accoglienza localmente o a livello statale. La vera singolarità dei CAS, che pure hanno dimostrato di essere in larga parte fallimentari anche sul profilo costi-benefici quando non su quello umanitario, è quella di essere espressione di un’anomalia giuridica: la gestione statale di una problematica socio-assistenziale, che in base all’art. 118 della Costituzione è posto in capo agli Enti locali.”
Secondo le proposte avanzate dalla rete EuropAsilo il superamento dei CAS, che grazie ai due precedenti decreti sicurezza hanno subito un drastico ridimensionamento dei servizi incrementando situazioni di degrado, può avvenire attraverso tre direttive strategiche sul lungo periodo:
- fissazione di standard minimi sotto i quali non scendere (p.e. tetto massimo di 100 ospiti);
- erogazione di contributi ai Comuni che aderiscono al SAI o che convertono percorsi CAS in SAI;
- disciplinare e garantire rigorosamente i servizi erogati (servizio di assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, corsi di lingua italiana, servizi di orientamento legale e al territorio, definizione di un congruo rapporto numerico tra numero di ospiti e operatori dell’accoglienza).
L’accoglienza come servizio sociale
Attualmente l’accoglienza dei migranti fatica ad essere ricompresa nei piani ministeriali che regolano l’erogazione dei servizi sociali. È una questione emersa in maniera evidente durante la pandemia, “quando è diventato evidente l’abbandono istituzionale degli accolti e degli operatori dell’accoglienza”, spiega Michele Rossi di CIAC.
Sebbene si tratti di una tematica che interessa tanto l’ambito della salute, quanto quello dell’istruzione e delle politiche sociali, l’immigrazione rimane fondamentalmente di pertinenza del Ministero dell’Interno. Eppure l’accoglienza dei migranti dovrebbe rientrare a pieno titolo all’interno del sistema integrato di interventi e servizi sociali istituiti dalla legge 328/2000.
Il terzo settore, in base al principio di sussidiarietà espresso dalla stessa L. 328/2000, ha sviluppato figure professionali per far fronte alle diverse esigenze dei migranti inseriti nei percorsi di accoglienza, ricomprese nella generica definizione di “operatore sociale”. “Riconoscere la professionalità di queste figure, in possesso di know how molteplici e differenziati, significa tutelare la qualità dei servizi erogati”, precisa Francesco Camisotti di Cidas “Per evitare il rischio di una presa in carico a metà, bisogna sviluppare una sinergia tra servizi sociali territoriali e privato sociale che sappia rispondere ai molteplici bisogni legati alla particolare condizione degli accolti.”
Per determinare l’efficienza di un percorso di accoglienza, inoltre, è necessario ripensare in profondità i criteri di valutazione attualmente in vigore, basati su parametri unicamente economico-amministrativi, che tengono conto della corrispondenza tra capitolato e azioni intraprese, finanziamenti e spese. “Non si può misurare l’efficacia di un percorso di integrazione contando il numero di tessere sanitarie in possesso degli ospiti di un centro, se i loro titolari non sanno cosa farne”, spiega Cristina Molfetta della Fondazione Migrantes “Questo deriva da un’incapacità di valutare, ma prima ancora di vedere, i processi sociali in atto, sia dal punto di vista dei migranti che dei territori. Bisognerebbe invece elaborare una valutazione partecipativa, interpellando e ascoltando i beneficiari dei servizi, ma anche sfruttando i molteplici saperi delle università, gli unici in grado di valutare i processi sociali complessi.”
Accoglienza e territori per un nuovo welfare
La gestione dell’accoglienza così come sperimentata nei CAS pone in essere un’ulteriore problematica: la mancanza di integrazione con la vita dei territori, con ripercussioni negative non soltanto sugli accolti, totalmente avulsi dal contesto e rinchiusi nei grandi centri, ma anche nella comunità ospitante. “Dal 2011 l’accoglienza ha generato di rimando un rifiuto dell’accoglienza” spiega Angelo Moretti del consorzio Sale della Terra onlus “Il gioco è stato quello di far passare il welfare come fosse una coperta corta: se si dà a uno, si toglie a un altro. Il vero punto invece è pensare al welfare come ad un modello di sviluppo complessivo, e non come un residuo del liberismo economico. Un welfare delle relazioni, che sappia fare rete non soltanto tra le diverse componenti sociali, ma anche tra cittadini e ambiente, recuperando pratiche di economia circolare con un’attenzione all’ecologia è la vera chiave di volta su cui si gioca il futuro di molti territori. Il problema del ripopolamento delle aree interne destinate all’abbandono non è una chimera, ma una scelta derivante da una mancanza di pianificazione e organizzazione. Incentivare al loro interno forme di accoglienza, in cui gli ospitanti possano essere messi nelle condizioni di dare qualcosa concretamente per lo sviluppo del territorio, significa anche proporre un piano razionale di rigenerazione economica per le aree depresse del paese, che arrivi magari a misurare il benessere in BES e non più in PIL”.
Link ai video della due giorni di dibattiti
Silvia Proietti
(21 aprile 2021)
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