Il primo lockdown di marzo 2020 ha comportato l’improvvisa e traumatica chiusura delle scuole e con esse di tutte le realtà di insegnamento di italiano a stranieri, sia istituzionali come i CPIA, che le numerose realtà del privato sociale. La sospensione della didattica ha avuto effetti ancor più destabilizzanti sui percorsi attivati dalle scuole di italiano gestite da associazioni di volontariato, non soltanto perché totalmente escluse dalle pur scarne indicazioni ministeriali emanate nei primi mesi di emergenza, ma soprattutto per la peculiarità del loro insegnamento. Insegnare italiano agli stranieri significa infatti offrire non soltanto competenze linguistiche, ma soprattutto un’occasione unica di integrazione e socializzazione.
Italiano per stranieri: didattica e socializzazione
Nuove frontiere per la didattica a distanza è il rapporto elaborato dall’associazione FOCUS Casa dei Diritti Sociali (CDS) che racconta l’esperienza della Dad nei corsi di italiano L2 dell’associazione romana, da più di trent’anni impegnata in attività di volontariato laico nella Capitale. La Ricerca-azione è stata condotta dalle operatrici Lucia Fabrizio, Maruska Panepinto, Luisa Valeria Riccardi e offre per la prima volta una ricostruzione puntuale e una riflessione approfondita sulle varie fasi dell’esperienza della dad nelle scuole di italiano L2. Il documento è stato presentato venerdì 7 maggio nel corso di un webinar cui hanno partecipato formatori, volontari e psicologi a vario titolo coinvolti nell’esperienza di didattica dell’italiano agli stranieri. “Al momento della comunicazione della sospensione delle attività” spiega Florinda D’Amico, coordinatrice del gruppo di prealfabetizzazione della scuola CDS “il primo pensiero è stato quello della vicinanza, del mantenimento dei canali di comunicazione con i nostri allievi per non farli sentire ancora più isolati e abbandonati. In una primissima fase abbiamo creato un gruppo whatsapp amicale con insegnanti e apprendenti, comunicando via audio o scrivendo. Il secondo passaggio è consistito nella decisione di trasformare questo gruppo in uno strumento di continuità con la didattica”.
Corsi di italiano in Dad: una risorsa per l’inclusione
Se il ricorso alla Dad ha compromesso la componente relazionale della didattica per gli adulti migranti – gestione della prossemica e del linguaggio non verbale – e ambientale – molti si collegavano da centri di accoglienza o da stanze condivise con notevoli disagi in termini di concentrazione – ha tuttavia gettato paradossalmente le premesse per una nuova forma di socialità. Con la Dad e il filtro protettivo dello schermo di un telefonino molti alunni hanno mostrato una volontà notevole di autonarrarsi e di condividere il proprio quotidiano. “Molti di loro, di norma restii, hanno iniziato a parlare di sé e a non aver paura di mostrare la precarietà della propria vita” racconta Katia Spreafico, docente di italiano L2 presso la sede di Torpignattara del CPIA Roma1. “Nel CPIA è già previsto un 20% di fruizione di attività didattica da remoto, per non sfavorire gli studenti che non possono frequentare assiduamente a causa dell’attività lavorativa. Prima della pandemia si è trattato, tuttavia, di una possibilità poco e male sfruttata. Dopo il primo lockdown, invece, siamo stati costretti ad elaborare attività più strutturate, incentrate sul vissuto effettivo e domestico degli apprendenti durante la pandemia. Lo spunto del ramadan, per esempio, è servito per introdurre il lessico della cucina ed elaborare una sorta di ricettario condiviso, con contributi scritti e fotografici”.
La Dad si è dimostrata una risorsa importante per tutti quegli immigrati che non possono spostarsi, sia per motivi di lavoro, si pensi alle badanti, sia per coloro che hanno difficoltà di tipo socio-culturale a presentarsi in aula. “È necessario elaborare anche per i corsi di italiano L2 forme di didattica digitale integrata, per molti l’unico momento possibile di integrazione. Gli utenti dei nostri corsi sono soprattutto donne o minori provenienti dal Bangladesh a seguito di ricongiungimenti famigliari. Quest’anno tuttavia abbiamo registrato un incremento di lavoratori uomini, impiegati soprattutto nei ristoranti chiusi per la pandemia e quindi liberi di seguire le lezioni. A settembre, quando sono riprese le lezioni in aula, abbiamo sperimentato forme di didattica a distanza in presenza, il cui obiettivo era quello di insegnare agli alunni come utilizzare la Dad, fornendo loro supporto in diretta nell’utilizzo di piattaforme e dispositivi, sia in vista di future chiusure che come promozione di quell’alfabetizzazione digitale spesso ancora carente”.
L’esperienza della scuola di italiano della CDS
Grazie al ricorso alla Dad i corsi di italiano della CDS hanno potuto resistere quasi fin da subito alle chiusure della pandemia. Ad aprile 2020, dopo l’iniziale disorientamento di marzo, sono state attivate le prime lezioni a distanza che hanno coinvolto circa 35 insegnanti volontari e 120 studenti. Assenze, disagi e mancati appuntamenti, che sono d’altronde rischi insiti nella scelta della frequenza libera, cifra distintiva della didattica CDS che risponde così alla precarietà lavorativa ed esistenziale dei migranti, non sono mancati. Le principali difficoltà di avvio della Dad hanno riguardato in particolare:
- scarse competenze digitali da parte dei volontari;
- assenza di modelli di riferimento per l’utilizzo di ambienti di apprendimento digitali, supplito con un fai da te e ricorso a scambi di esperienze;
- problema della carenza di dispositivi e utilizzo quasi esclusivo del telefonino. Questo ha reso pressoché inevitabile il ricorso all’applicazione Whatsapp, attraverso la creazione di gruppi di 3 alunni per volontario per 2 lezioni settimanali.
“La scelta del mezzo ha comportato uno stravolgimento delle tradizionali modalità di organizzazione didattica. Il limite di 3 alunni imposto dallo strumento delle videochiamate ci ha costretti a sperimentare una didattica per piccoli gruppi omogenei per livello di apprendimento”, spiega la docente volontaria Antonella Lettieri.L’iniziale disorientamento nella gestione del cellulare, manifestato soprattutto dalla difficoltà di inquadramento del testo scritto o del proprio viso nel corso delle videochiamate, si è sommato alle difficoltà di comprensione di consegne e correzioni scritte. “Abbiamo cercato di affrontare questo disagio inziale utilizzando tutti i mezzi possibili: messaggi audio, testo scritto, lezioni video e persino le icone di Whatsapp. Noi volontari ci siamo scoperti analfabeti digitali insieme a molti alunni”, spiega Florinda D’Amico “Con il tempo siamo riusciti a consolidare l’esperienza, creando materiale ad hoc e cercando di trasformare la digitalizzazione in opportunità. A giugno siamo tornati in presenza, ma abbiamo continuato ad utilizzare applicazioni e piattaforme come Learningapps per la creazione di esercizi interattivi, e abbiamo scelto di includere nei nostri corsi elementi di alfabetizzazione digitale. La vera sfida è ora quella di fare di questa esperienza un arricchimento per tutti, volontari e alunni”.
Silvia Proietti
(12 maggio 2021)
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