Quando parla del suo percorso nella danza, Jamila sceglie con cura ogni parola; racconta la sua vita soffermandosi su ogni singola fase della sua crescita umana e professionale; tira fuori aneddoti e ricordi ancora vivi nella memoria; e soprattutto usa con grande parsimonia, quasi con timore, le parole “arte” e “danzatrice”.
“Mi sento tante cose, ma non mi piace dire che sono una ballerina: io faccio la ballerina e la danza è la mia più grande passione”. Quello di Jamila Bashir, 29enne di origini somale, nata e cresciuta ad Aprilia, è un cammino maturato passo dopo passo, non un viaggio ad alta velocità, dritto e spedito verso una destinazione ben nota.
Non ha scelto la danza a tutti i costi, ma forse è stata proprio la danza a scegliere lei. Dalle coreografie che inventava da piccola davanti a MTV, passa al pentathlon, poi di nuovo alla danza: “quando mi sono iscritta a danza classica, ho resistito solo tre mesi: il mio corpo non era adatto al balletto. È stato un calvario, fino a quando non ho scoperto il modern jazz, il funky e poi, a 15 anni, l’hip hop, attraverso il quale ho cominciato a ricercare le mie origini”.
“Sono stata adottata, quindi mi sento un po’ come un’italiana di seconda generazione. Non conoscevo la cultura del mio paese, e non è stato sempre facile accettarmi. Quando ero piccola, volevo essere bionda!”, racconta Jamila, “con l’hip hop però ho imparato ad apprezzare la mia pelle, il mio corpo, le mie origini. L’hip hop mi ha insegnato che io potevo essere non diversa, ma unica“.
Dall’hip hop alle danze caraibiche
Dal contatto con la black culture Jamila inizia a trovare la propria dimensione, ma a 17 anni sopraggiunge un infortunio che la tiene ferma per due anni. Jamila definisce quel periodo della sua vita “il mio buco nero”. Ma si reinventa, e inizia a dare sfogo alla sua passione per la scrittura giornalistica: arrivano l’iscrizione a Lettere Moderne e i primi articoli per un giornale locale.
“La danza, che avevo quasi dimenticato, è tornata nella mia vita per caso: una mia amica mi chiese di accompagnarla a un corso di danze caraibiche. Io le odiavo quelle sonorità, quel contatto stretto tra la coppia: alle feste quando sentivo la musica caraibica mi sedevo immobile e in disparte. Ma avevo deciso di svagarmi, e quindi la accompagnai”.
In quella sala Jamila scopre che il suo corpo riesce invece a muoversi con fluidità e naturalezza: “dopo un mese di corso, il mio livello era pari a quello degli allievi che avevano iniziato a studiare molto prima. E così, i maestri mi spronarono a seguire tutti livelli. Non mi tenevo più! Cominciai a partecipare alle prime gare e a vincerle senza nessuna aspettativa di partenza”.
Alla tecnica, Jamila accompagna uno studio teorico, raffinato poi nel percorso accademico con la Maestra Teresa Cassaneda: “la salsa ha cominciato a svelarsi con la sua storia, che è una storia ancestrale e di folkrore afrocubano, così lontana dall’immagine stereotipata comune”. Comincia la gavetta e con questa lo studio di tutti gli stili, dal portoricano al cubano, e parallelamente si fa sempre più sofferto il percorso universitario: “presi il coraggio di dire a mio padre che avrei lasciato l’università, e gli chiesi di aiutarmi a prendere il diploma in danze caraibiche”.
“Il mio corpo è il mio tempio”
“Ad alcune audizioni presi delle batoste: una volta mi dissero Sei la più brava, ma sei grassa. A vent’anni questi rifiuti mi segnarono, e per un periodo smisi di mangiare, fino a quando, allo stremo delle forze, non riuscivo più a ballare. Ho dovuto reagire, e così ho iniziato a sviluppare la consapevolezza che il mio corpo è il mio tempio, è tutto, è quello che mi permette di vivere“.
“Alla fine di una lezione collettiva, il Maestro Leonardo Martinez Moya mi propose di entrare nella sua compagnia, e io gli chiesi Quanto tempo ho per dimagrire?“. Lui mi disse che ero bellissima così com’ero e quello fu il giorno più bello della mia vita.
Parte tutto da lì: Jamila fonda una sua compagnia, formata da quattro elementi femminili, chiamata Obara Biosun (Figlie delle stelle) e inizia a sperimentare, tentando di innovare lo stile tradizionale del folklore afrocubano. “Questa danza dà spesso un’idea univoca di sensualità. Quello che ho cercato di trasmettere, invece, è un’altra sfaccettatura del femminile, una visione di donna forte“.
Il 2020 si apre con tanti progetti, tra i quali il lavoro con la crew di Desirée di Giuseppe, “Progetto donna”, ma il lockdown porta Jamila a una battuta d’arresto: “fermarmi è stato in un certo senso positivo: ho pensato per la prima volta a insegnare e così ho ideato un corso di espressività del corpo caraibico, inizialmente femminile. Poi ho deciso di eliminare questo aggettivo, e ho dato vita a un corso di salsa queer, dove non esistono dame e cavalieri, ma solo chi porta e chi è portato. Uomini e donne possono decidere con chi ballare, l’importante è trovare ognuno un proprio stile di espressione, un canale per comprendere la propria vera essenza“.
Tornare alle origini e (è) andare avanti
Jamila, dopo un “periodo zen”, è tornata a nuovi progetti: dal prossimo autunno sarà insegnante al Papasidero Dream Factory di San Lorenzo e allo Studio Naja del Pigneto.
È con lo spettacolo “Lamento Yoruba”, invece, che Jamila è tornata ad esibirsi: “quest’estate, nell’ambito dello Yalla Festival a Piazzale Verano, sono tornata a danzare davanti a un pubblico, dopo un primo momento di timore: è stato bellissimo, è stata la mia rinascita.
“Lamento Yoruba” nasce nella fase del lockdown ed è uno spettacolo che parla di me, di come mi sono rialzata, di come ho lavorato e di come sono arrivata all’accettazione di tutta me stessa”.
“È stata una performance ispirata da una persona molto importante per me, Trudy Iglesias, la prima donna a portare la salsa a Roma e che è scomparsa quattro anni fa. Una volta mi disse Quando ti senti persa, quello è il momento di tornare alle origini“.
Tornare indietro, per poi andare avanti, lasciarsi ispirare e finalmente spiccare il volo: Jamila lo ha fatto, anche se i suoi piedi, al ritmo di musiche caraibiche, si muovono fieri e leggeri restando bene piantati a terra.
Elisabetta Rossi
(19 agosto 2021)
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