“Ostiensistan” può sembrare una parola difficile da pronunciare per chi la sente per la prima volta e in quel “Paese” non c’è mai stato, oppure per chi, pur essendoci passato quotidianamente, non poteva – o forse non voleva – vedere quello che aveva intorno. Ma basta un viaggio con la Zattera – il giornale di Urbanesimo Nomade – come quello organizzato domenica 28 novembre 2021 dal gruppo Stalker, per capire come “l’Ostiensistan” sia un luogo, ma soprattutto un intreccio di vite e di memorie: quelle di chi lasciava la propria terra per sfuggire alle bombe e sperare di poter avere, in Europa, una possibilità di futuro. È questa la storia di centinaia di afghani e curdi che, in fuga dalla guerra che tormentava i loro Paesi, giungevano in Italia con un punto di riferimento: la Stazione Ostiense, con l’obiettivo di riuscire ad arrivare da lì in Francia e nel resto dell’Europa.
Ostiensistan: un viaggio nella memoria
Per esplorare e comprendere l’Ostiensistan occorre avere un occhio attento, capace di cogliere, con la vista e con la mente, ciò che quel luogo è stato, ma soprattutto una guida esperta, che indichi la strada e accompagni il cammino con il racconto di chi ha vissuto in quei luoghi. Questo è proprio ciò che hanno fatto il gruppo Stalker, Lorena Di Lorenzo dell’associazione Binario 15 e alcuni Mosafaran – i “viaggiatori”, cioè coloro che il viaggio verso l’occidente lo hanno affrontato personalmente -: tutti loro, come delle “guide”, si sono messi in cammino, attraverso un itinerario di ricordi e realtà che parte da Piazzale dei Partigiani. Una delle tappe fondamentali di questo percorso è il binario 15 della stazione: un binario che, in passato, è stato “casa” per molti migranti afghani e curdi giunti in Italia. Arrivando alla banchina, le voci si abbassano, gli sguardi si fanno pensosi; manciate di polvere color lapislazzulo – pietra originaria del territorio afghano – vengono gettate sul binario per ricordare tante vite spezzate o sopravvissute a quel luogo. È il momento del canto, che dei giovani afghani intonano accompagnandosi con strumenti tradizionali; è il momento delle testimonianze: le “guide” mostrano racconti, lettere e disegni di chi ha dormito su quel binario, ricostruendone la storia personale.
Ostiensistan: la storia di Mustafa
In quel momento di raccoglimento e riflessione presso il binario, Mustafa racconta la sua storia. “Quando ho lasciato l’Afghanistan avevo 10 anni: avevo perso i miei genitori e avevo deciso di raggiungere i miei fratelli in Iran, nella speranza di avere una vita diversa lì, lontano da un Paese in cui c’era sempre la guerra. Sono rimasto in Iran per anni, ma è stato un periodo difficile: non avevo i documenti, quindi uscivo di casa solo per lavorare. Nella vita, però, non bastano i soldi: servono anche la pace e la possibilità di scegliere che cosa fare, quindi sono partito per l’Europa. È stato un viaggio complicato: arrivato in Turchia, la polizia mi ha fatto tornare in Afghanistan perché ero senza documenti; ma sono ripartito e, dopo essere passato attraverso Iran, Turchia e Grecia, nel dicembre 2008 sono arrivato in Italia – avevo 19 anni.
“Io me lo ricordo cosa significa dormire, d’inverno, al binario 15, senza avere vestiti caldi per coprirsi; mi ricordo il freddo, la paura, la disperazione al pensiero di essere arrivato fino qui e non avere comunque un futuro migliore davanti a me: infatti, avevo incontrato persone che stavano lì da anni, conoscevano bene l’italiano, ma comunque non riuscivano a trovare un lavoro e facevano la mia stessa vita”. Negli occhi di Mustafa si legge la sofferenza mentre ricorda e si sforza di raccontare, ma prosegue: “poi ho conosciuto Lorena e l’associazione Binario 15, che mi hanno aiutato e ho lavorato con loro come mediatore culturale per alcuni anni. Da quel momento la mia vita è cambiata: ora ho una moglie e una figlia, lavoro come responsabile in una azienda che si occupa della raccolta differenziata dei rifiuti”. “Ora sono felice”, dice Mustafa, e stavolta sorride.
Ostiensistan: il centro culturale Ararat
In questo viaggio tra passato e presente, un altro punto di riferimento è il centro socio culturale Ararat, nato nel 1999 nell’area dell’ex mattatoio, grazie alla collaborazione tra profughi afghani, curdi, gruppo Stalker e altre associazioni attive nel territorio. Entrando, un giardino raccolto accoglie chi si avvicina e la scritta “Azadi” – che significa “comunità”- indica la via di ingresso: qui, canti tradizionali accompagnano il racconto della storia di Ararat, le ragioni e lo spirito con cui è stato costruito, i progetti e le speranze per il futuro, del centro e delle comunità che lo animano.
È questa l’anima dell’Ostiensistan: essere un luogo di arrivo, di memoria, di nuove opportunità, ma soprattutto un luogo in cui fare “comunità”, cioè un punto di riferimento per afghani e curdi a Roma e un luogo di incontro e di conoscenza reciproca tra le loro comunità e la città.
Valeria Frascaro
(3 dicembre 2021)
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