Il Presidente Mattarella ha fatto della parola Dignità il perno del suo discorso di insediamento il 3 febbraio, declinandone il significato in tutti i settori della vita sociale e associandola anche all’opposizione al razzismo e alla schiavitù, scandalosa negazione dei diritti fondamentali dell’uomo.
La Dignità è il valore che ogni essere umano possiede per il semplice fatto di esistere, unico e irripetibile, ed è alla base dei diritti inalienabili sanciti dalle norme delle società democratiche (art.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dall’ONU nel 1948; art. 3 della nostra Costituzione: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…”).
Però oggi comportamenti diffusi nella società, manifestazioni di odio e violenza contro i più deboli o “diversi” mettono in discussione la funzione di orientamento di quei principi. Grazie, dunque, al Presidente della Repubblica che testimonia la necessità di riattualizzarli, a partire dal loro fondamento: la Dignità.
Che ci sia bisogno, oggi, di non dare per scontati quei valori e di combattere discriminazioni e intolleranze è dimostrato dal fatto che persino in una platea così popolare come il Festival di Sanremo il razzismo è stato oggetto di discorso con il monologo dell’attrice Lorena Cesarini. Però il razzismo di cui lei ha parlato coglie solo l’aspetto dell’invidia sociale per il successo verso chi si ritiene debba stare su un gradino più basso della società perché assimilato all’immigrato che, venendo da noi a chiedere, non può avere la pretesa di riuscire nella vita.
Sono tante, invece, e più sottili o spietate, le forme di razzismo che subiscono le persone, anche bambini, di origine straniera che vivono e lavorano in Italia e che non hanno voce per denunciarle.
Il libro Ladri di denti, People ed., 2020 di Djarah Kan, scrittrice italiana di origine ghanese e cresciuta a Castel Volturno, vuole fare proprio questo: raccontare le storie di chi non può farlo perché non ha voce (come le “bocche senza denti”).
Sono le storie di donne, bambini, immigrati ai margini della società, espropriati di una identità che non sanno quale sia. In una delle storie “Cacciatrici di negre” la protagonista, una preadolescente nera, viene chiamata ‘puttana’ dai compagni di classe maschi perché assimilata a una prostituta come le tante sulla via Domiziana: “I bambini avevano decretato la loro sentenza: colpevole di essere uguale agli altri. E io lo avevo accettato. Avevo accettato quella condanna. A soli undici o dodici anni”.
(09 febbraio 2022)
Luciana Scarcia
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