Il CONI, Comitato Olimpico Nazionale Italiano, ha fissato in 1200 gli ingressi di sportivi stranieri da Paesi extra-Ue per la stagione 2022/23. Il decreto porta la firma della (ormai uscente) Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega allo Sport ed ex campionessa olimpica Valentina Vezzali.
Le Federazioni sportive nazionali stabiliranno poi la ripartizione delle quote di professionisti o atleti quantomeno retribuiti. Potranno anche essere messi sotto contratto gli atleti già in Italia con permessi sportivi o familiari. Secondo quanto previsto dall’articolo 27, comma 5-bis del decreto legislativo 286/1998, i ministeri dell’Interno e del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno accolto le indicazioni del CONI per la ratifica del decreto.
Lo sport si muove in autonomia
La quota di atleti extracomunitari è slegata da quelle che sono le disposizioni annuali sui flussi di lavoratori autonomi o subordinati. Lo sport conferma dunque una certa dose di autodeterminazione, che ad esempio è stata visibile in materia di diritto alla cittadinanza.
L’ultimo biennio – dagli Europei di calcio ai Mondiali di pallavolo maschile vinti lo scorso 11 settembre, passando per l’incetta di medaglie alle Olimpiadi di Tokyo – ha visto lo sport azzurro in stato di grazia.
ùE questo ha contribuito a riportare in auge i diversi percorsi di atleti di origine non italiana ma che, con più o meno fatica, hanno ottenuto la cittadinanza e l’onore di rappresentare quelli che sentono come i loro colori. Tanto che, insieme a ius soli e ius sanguinis, si è ricominciato a parlare (non senza critiche) di ius soli sportivo.
Cittadinanza per meriti sportivi
I “particolari meriti” rientrano nella fattispecie prevista dalla legge 91/92 per l’acquisizione della cittadinanza italiana. Uno dei casi recenti più noti è stato quello del giovanissimo Rami Shehata, tredicenne di origine egiziana. Nel 2019, lo studente di San Donato Milanese ha evitato una strage, aiutando i compagni a fuggire dallo scuolabus “sequestrato” in corsa dall’autista del mezzo.
Relativamente più facile, visto che gli atti eroici non sono fortunatamente all’ordine del giorno, è passare per altri meriti. Non è un mistero che lo sport possa fungere da collante sociale o come scintillante biglietto da visita agli occhi del resto del mondo, almeno quando si vince. È stato sfruttato dalle dittature, ma torna molto utile anche in democrazia e nella diplomazia.
Ius soli sportivo
Così, circa un anno fa, il presidente del CONI Giovanni Malagò, in preda all’entusiasmo post-Olimpiadi, ha esaltato la necessità di uno ius soli sportivo. Ovvero, l’agevolazione dell’ottenimento della cittadinanza per gli sportivi nati in Italia da genitori stranieri.
Dal 2016, grazie alla legge n.12, i minori stranieri di almeno dieci anni e regolarmente residenti in Italia, possono essere tesserati presso qualsiasi federazione, esattamente come qualsiasi coetaneo italiano. Questo però non porta ancora alla cittadinanza, per cui serve la regolare trafila.
Dibattito mistificato
Un simbolo dell’approssimazione del dibattito è stato, suo malgrado, Marcell Jacobs, italo-americano ma in gara con gli Azzurri. Texano di nascita, Jacobs corre con l’Italia grazie… allo ius sanguinis, la madre è infatti veneta. Ma non avendo una pigmentazione propriamente caucasoide, Jacobs viene scambiato, dal nome e dal primo impatto visivo, per figlio di migranti.
Più o meno la stessa sorte di Mario Balotelli qualche anno fa. Italiano per adozione e dunque estraneo al tipo di difficoltà burocratiche che riscontrano le seconde generazioni, eppure spesso usato come metro di riferimento.
Critiche
Le critiche non sono state rivolte, ovviamente, a chi avrebbe o avrà benefici da certe misure e deroghe. Come ad esempio i ragazzi del Tam Tam, squadra giovanile di basket di Castel Volturno simbolo di integrazione e inclusione. Non molto tempo fa, la società ha avuto una discreta attenzione mediatica per l’ampliamento del numero di extracomunitari tesserabili rispetto alle altre compagini – recentemente è stato realizzato anche un film.
Né si biasimano più del dovuto i vertici sportivi, che si muovono nel loro ambito, anche se le aperture possono sembrare ambigue. Difficile capire dove finisca la lungimiranza sui diritti (almeno rispetto alla politica) e inizi un utilitarismo che di fatto aumenta le diseguaglianze.
Il problema è sociale nel suo insieme. Implicitamente, magari anche in buona fede, si considera la cittadinanza non come un diritto normalissimo, ma come un privilegio, concesso a chi possiede il DNA corretto oppure a chi può regalare medaglie all’Italia.
Risposte politiche
Il Parlamento uscente, in estate, ha sprecato l’opportunità di arrivare se non al superamento dello ius sanguinis, almeno a una discussione in materia. Anche se nelle versioni edulcorate di ius scholae e ius culturae.
Né la questione sarà nell’agenda del nuovo esecutivo, su cui il commento è, per dirla alla Karl Kraus, “non mi viene in mente niente”.
Gabriele Santoro
(28 settembre 2022)