Iran, la rivolta delle giovani: “Donna, vita e libertà”

Ai giovani in rivolta in Iran serve l’aiuto della Comunità internazionale: “Donna, vita e libertà” è diventato ormai il grido di rivolta che risuona in tutte le piazze dell’Iran unite da Nord a Sud.

Iran, la rivolta delle giovani: coinvolge la diaspora

Un grido per la prima volta pronunciato insieme in un’unica voce da donne e uomini: figli, mariti, fratelli.

La “prudenza” con la quale la generazione precedente a questa, cresciuta con i social, aveva imparato a muoversi per convivere con le tante quanto incomprensibili restrizioni, imposte dal regime della Repubblica Islamica, sembra essere scomparsa tutta d’un colpo.
“Andare in piazza a protestare non solo contro il velo, ma per rivendicare la nostra libertà, i nostri diritti, a costo di essere arrestati o di rimetterci la vita, spiega Pega, è un sacrificio che i giovani del movimento sono disposti a fare. Questa non è una semplice protesta come quelle che ci sono state in passato per il caro benzina (quando furono uccise nelle strade 1500 persone ndr.) o per motivi economici, è una rivoluzione e non si può più aspettare che altre persone si muovano al nostro posto”.

Quello che da la forza a Pega per alzare la voce nelle piazze di Roma, nonostante le possibili ritorsioni nei confronti della sua famiglia rimasta in Iran, è che per la prima volta il movimento sta riuscendo a coinvolgere gli iraniani residenti in tutti i paesi del mondo, dal Canada all’Australia, agli stessi cittadini europei. Anche se per ora a livello politico, sia internazionale che europeo, si è mosso ben poco.

Iran, la rivolta delle giovani: partecipano anche gli uomini

L’altro fatto positivo è che la protesta coinvolge anche i maschi di questa generazione che va dai 18 ai 30 anni. L’assassinio di Mahsa Amini, dunque, è stata solo la miccia che ha acceso il fuoco che covava da tempo sotto alla cenere.

“I ragazzi della mia generazione nata con i social media – dice Alì, 30 anni, che qui a Roma partecipa attivamente alle piazze della protesta – sono informati, hanno potuto leggere libri mai pubblicati nel nostro paese, vivono collegati attraverso internet al mondo che esiste al di fuori dell’Iran e non sono più disposti a rinunciare a quello che ritengono un loro diritto di nascita: vivere liberi. Mia moglie, mia madre, mia sorella – aggiunge – devono avere gli stessi diritti che ho io come uomo. È intollerabile che ancora oggi, secondo la legge islamica, mia moglie per uscire di casa debba avere il mio permesso scritto, cosi’ come non ha senso che un ragazzo abbia la libertà di vestirsi come vuole per uscire in strada e una ragazza debba rispettare tutta una serie di obblighi “morali”.

Se il permesso scritto per uscire generalmente è una norma che non viene più rispettata, all’interno delle proprie case, l’obbligo del velo è una regola che è stato impossibile aggirare fino ad oggi.

Ma oggi nelle piazze le coraggiosissime ragazze persiane in questi giorni tolgono il velo e manifestano apertamente contro la guida suprema Khamenei, vero artefice della dittatura religiosa che da 44 anni resiste in Iran.

È la repressione di questi aneliti di libertà viene combattuta con una violenza inaudita dalla polizia del regime. Le giovanissime donne che sfidano il regime vengono arrestate dalla polizia e poi torturate, stuprate e assassinate.

Le ragazze vittime di questa vera e propria guerra, come Mahsa Amini, sono solo la punta dell’iceberg di una eliminazione sistematica degli oppositori del regime. Un regime che come reazione spara sulle folle dei manifestanti, anche se composte da mamme con bambini. “ Mio fratello che fa il medico in un ospedale di Tehran, racconta Alì, ha avuto l’ordine di non prestare soccorso ai manifestanti che arrivano feriti, magari in fin di vita. I medici possono intervenire solo dopo l’arrivo della polizia che deve procedere alla loro identificazione per poi poterli arrestare, comportandosi diversamente il medico perderebbe il posto”. Le proteste si svolgono in tutte le piazze dai più sperduti paesi dell’Iran ai quartieri di una grande città come Tehran “per evitarle bisogna restare chiusi in casa, non andare per strada – confessa un’insegnante che vuole restare anonima – ma i video di quello che succede fuori, di come si comporta la polizia contro gente inerme li vediamo tutti ed è davvero da non credere, vedere come a Zahedan siano state uccise 66 persone tra i quali alcuni bambini che erano appena usciti dopo la preghiera in moschea”.

Iran la rivolta delle giovani: imparare da loro

Faribah Karimi, pittrice che da 13 anni ha lasciato l’Iran per vivere a Roma, appartiene alla stessa generazione dell’insegnante, generazione nata dopo la rivoluzione e cresciuta durante i difficili anni della guerra Iran/Iraq. Karimi è convinta che “noi dobbiamo imparare da questi giovani a lottare, a partecipare, a non avere più paura. Loro non hanno più alcun collegamento con la rivoluzione khomeinista, non la conoscono, vivono in un mondo globale e vogliono essere come i loro coetanei di altri paesi. Noi dobbiamo sostenerli e lasciare andare la prudenza. Certo, ci tiene a sottolineare Faribah, ci deve aiutare la Comunita Internazionale. Quando si decideranno a intervenire i cosiddetti paesi civili di fronte a una storia che va avanti da 43 anni? Di fronte ai bagni di sangue di questi giorni?”

Iran la rivolta delle giovani: motore del cambiamento

Per Sueila dell’associazione culturale italo – iraniana “Se l’Iran diventerà un paese libero sarà per mano delle donne che sono molto diverse dallo stereotipo che le vuole vittime e sottomesse agli uomini. Sono invece forti e coraggiose, il vero motore del cambiamento. Mahsa non morirà mai perché il suo nome rimarrà un’icona, un simbolo della storia dell’Iran, ma i politici di tutto il mondo dovranno ricordarsi di lei prima di stringere la mano a un politico iraniano”.

Il pensiero di Sueila va alla blogger Alessia Piperno dal 28 settembre in carcere a Tehran. “Comprendo quello che sta vivendo in questo momento, sappiamo quanto sia difficile per una donna iraniana vivere in carcere e possiamo immaginare come per Alessia sia ancora più difficoltoso essere reclusa in un carcere iraniano. Spero che al più presto possa tornare a casa”.
                                  Francesca Cusumano
                                    (7 ottobre 2022)

Leggi anche: