È illegittimo negare il diritto alla residenza ai detenuti stranieri senza permesso di soggiorno, che devono essere iscritti nel registro dei residenti dei Comuni in cui sono trattenuti in reclusione. È questo il parere del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, inviato in questi giorni:
- al Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria;
- al Presidente dell’Anci;
- ai Presidenti di tutte le Giunte regionali e delle Giunte provinciali delle Province autonome;
- ai Direttori degli Istituti detentivi e delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza);
- ai Sindaci e gli Assessori regionali competenti in tema di tutela della salute.
Ma cosa significa in concreto per un detenuto straniero non essere iscritto all’anagrafe?
Residenza: stessi diritti anche per gli invisibili
Senza iscrizione anagrafica per il cittadino straniero privato della libertà personale non è possibile:
- accedere a misure non detentive e programmi di reinserimento sociale;
- procedere con percorsi di continuità terapeutica già intrapresi in custodia, una volta scontata la pena;
- fruire di programmi residenziali di accompagnamento e supporto;
- avviare percorsi di regolarizzazione chiedendo, per esempio, il riconoscimento della protezione speciale.
La mancata iscrizione anagrafica, nei fatti, comporta la privazione di molti diritti fondamentali e una condizione di sostanziale estraneità e isolamento nei confronti del territorio in cui si vive. La residenza, banalmente, è un requisito da possedere per richiedere la carta d’identità o qualsiasi altra documentazione identificativa.
L’invisibilità anagrafica ha un impatto particolare sui cittadini stranieri senza permesso di soggiorno privati della libertà personale, trattenuti cioè in custodia presso istituti penitenziali o Rems, cui viene di fatto preclusa qualsiasi possibilità di reinserimento sociale al termine della pena.
Quello dell’iscrizione anagrafica, d’altronde, è un problema comune a svariate categorie di persone, o meglio di invisibili:
- abitanti di immobili occupati;
- senza fissa dimora e infine;
- cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno.
Residenza: un requisito per il reinserimento sociale
Secondo l’ordinamento italiano, qualsiasi cittadino – italiano o straniero – che viene sottoposto a privazione di libertà da un giudice penale è, di fatto, automaticamente autorizzato a permanere sul territorio italiano per scontare la pena. Questo vale anche per i cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno, non iscritti cioè ad alcuna anagrafe territoriale, sancendo sulla carta un’equiparazione nel trattamento nei confronti di tutti gli altri detenuti.
Nei fatti, tuttavia, ai detenuti stranieri privi di permesso di soggiorno la mancata iscrizione anagrafica finisce per precludere la possibilità di elaborare e realizzare progetti di vita fuori dalla realtà penitenziaria, unico momento di visibilità sociale sperimentabile dal cittadino straniero cosiddetto “irregolare”.
Si tratta, come riconosciuto dal Garante, di una grave disparità di trattamento lesiva della dignità della persona, che può essere sanata soltanto garantendo al detenuto straniero privo di permesso di soggiorno il diritto all’iscrizione anagrafica presso il Comune in cui sta scontando la pena.
Un diritto già sancito ma non applicato
L’art. 45.4 dell’Ordinamento penitenziario italiano, d’altro canto, già prevede questa possibilità, ma lascia tuttavia all’amministrazione penitenziaria ampio margine di discrezionalità nella sua attuazione:
Il detenuto o l’internato privo di residenza anagrafica è iscritto, su segnalazione del direttore, nei registri della popolazione residente del comune dove è ubicata la struttura. Al condannato è richiesto di optare tra il mantenimento della precedente residenza anagrafica e quella presso la struttura ove è detenuto o internato. L’opzione può essere in ogni tempo modificata.
Già all’art.1.2 dello stesso Ordinamento, inoltre, il reinserimento sociale viene esplicitamente indicato come uno dei fini cui tende il trattamento penitenziario:
Il trattamento [penitenziario] tende, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale ed è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni degli interessati.
Proprio per ridurre quanto più possibile il margine di discrezionalità nel riconoscimento del diritto fondamentale alla residenza, presupposto di qualsiasi progetto di reinserimento sociale, è necessario che Enti locali e direzioni penitenziarie collaborino attivamente, sancendo la fine di questa condotta fortemente lesiva della dignità sociale dei detenuti stranieri. La battaglia per il diritto alla residenza, infatti, va combattuta su molti livelli, dall’ambito locale a quello nazionale, e non può fermarsi fuori dalle mura di un carcere.
Silvia Proietti
(24 gennaio 2023)
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