«Il mese di Ramadan è un’opportunità per educare se stessi a una morale virtuosa ed evitare la corruzione»: questo passaggio della khutba, il discorso ai fedeli, dell’Imam della Grande Moschea di Roma è forse quello che meglio riassume il significato che ricopre nell’Islam il mese del digiuno, iniziato il 22 marzo. Il mese di Ramadan ogni anno cade in un periodo diverso a seconda delle fasi lunari, durante questi trenta giorni i fedeli si astengono da cibo e bevande dall’alba al tramonto. Si tratta di uno dei cinque Pilastri dell’Islam, e commemora la prima rivelazione del Corano al profeta Maometto.
Che cosa significa vivere questo momento fondamentale della vita e della fede islamica a Roma nel 2023? Il primo venerdì di Ramadan è uno dei giorni in cui la Grande Moschea della Capitale riunisce più fedeli: il luogo di culto accoglie infatti migliaia di persone, e in giorni come questo la partecipazione è vasta. La Grande Moschea di Roma, aperta dal 1995, è stata la più grande d’Europa, fino a quando non è stata inaugurata quella di Mosca, da Putin, nel 2015.
La sagoma della Grande Moschea domina la vista sulla zona a nord della città: prendendo parte alle celebrazioni del primo venerdì di Ramadan si percepisce quanto ancora nel Paese i precetti dell’Islam siano tuttora poco compresi. È bastato parlarne con Anis, giovane fedele della comunità.
Nato in Italia e di origine marocchina, per Anis la pratica del digiuno dall’alba al tramonto durante il mese sacro è un’occasione di purificazione e di allenamento mentale e fisico: «In pochi capiscono come la pratica dei precetti del Ramadan favoriscano la connessione mente-corpo». Ma soprattutto, Anis spiega l’importanza sociale del quarto pilastro dell’Islam: «Durante questo mese è quasi come se il mondo rallentasse: noi fedeli percepiamo un forte senso di comunità e di vicinanza a chi ha più bisogno».
In effetti uno degli auguri che ci si scambia all’inizio del mese è Ramadan kareem, ovvero “che il mese di Ramadan sia generoso”.In questo augurio si racchiude il senso del mese del digiuno: non solo un precetto religioso, ma un momento di comunità. E questo assume un senso particolare in un ambiente come la Grande Moschea di Roma, che riunisce fedeli nati in Italia e provenienti da tutto il mondo. Ne parla anche Shah, nato in Bangladesh e in Italia da dodici anni: «Vivo in un’altra zona di Roma, e normalmente non riesco a recarmi alla Grande Moschea per la preghiera del venerdì. Rispettare il Ramadan mi fa sentire più vicino alla mia famiglia anche se vivo in un altro paese».
Ma anche per Shah il mese del digiuno è un momento di partecipazione e di comunità. Questo avviene in occasione dell’Iftar, il pasto consumato dopo il tramonto che interrompe il digiuno diurno, spesso organizzato in condivisione con altri fedeli.«Il lavoro che faccio non mi permette di partecipare a Iftar tutti i giorni, ma quando posso lo faccio presso la Moschea della mia zona con altri fedeli da altri paesi. Nessuno viene lasciato da solo: durante il mese di Ramadan anche io quando posso aiuto chi ha più bisogno.»
Questo significato del mese di Ramdan lo ricorda anche un passaggio del discorso dell’imam: «La perfezione della fede richiede buone maniere e gentilezza verso tutte le persone». È questo forse l’aspetto del quarto pilastro dell’Islam che troppo spesso viene trascurato dagli osservatori esterni, ma che costituirebbe un’occasione per il dialogo interculturale.
Carlo Comensoli
(28 marzo 2023)
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