C’è qualcosa di nuovo sul tema migranti, accoglienza e identità?
Lo stucchevole dibattito su buonisti accoglienti e intransigenti difensori delle frontiere chiuse non regge più: si è imposta l’evidenza che abbiamo a che fare con un problema strutturale del nostro tempo e che lo spazio per la demagogia si è assai ristretto. Tuttavia c’è una grande resistenza – culturale e psicologica prima che politica – a considerare il tema dell’immigrazione un aspetto della realtà che ci riguarda profondamente in quanto investe il nostro rapporto con il passato, con l’immagine del nostro futuro, con la nostra identità.
Il nostro futuro dipende dall’accoglienza
Anziché attardarsi a discutere se accogliere o respingere i migranti, dovremmo prima di tutto porci la domanda: noi che Paese pensiamo di essere e vogliamo essere? Se non partiamo da qui non riusciremo a trovare un equilibrio, chiamiamolo pure compromesso, tra i diversi interessi della società e dei migranti. Qui si pongono le premesse per una politica lungimirante di regolazione dei flussi migratori e di integrazione nel tessuto economico, sociale e culturale del Paese, che sia anche di indicazione per tutta l’Europa.
In un interessante libro: Accogliere, Lucio Caracciolo e Andrea Riccardi si confrontano sul significato di questo verbo che racchiude il senso di una cultura e di una civiltà e decide del modo di stare al mondo.
Nelle nostre società occidentali tese all’affermazione della libertà dell’individuo stiamo perdendo il senso della continuità storica, immersi in un “tempo zero”; ma il rifiuto della storia è una forma del rifiuto dell’altro e viceversa: se possiamo cancellare il passato o adattarlo alle contingenze del presente e ci appiattiamo su un’identità unica, vedi la cancel culture soprattutto in America, pensandoci autosufficienti, perché mai dovremmo accogliere qualcun altro?
L’accoglienza è un valore che accompagna la storia italiana e la nostra cultura, dall’Impero romano alla Chiesa cattolica universale. Se ne perdiamo la memoria perdiamo noi stessi e le nostre peculiarità culturali; decostruendo la cultura del passato in nome della libertà individuale di costruire tutto da zero, rimarremmo imprigionati in un eterno presente.
Qual è, dunque, il senso dell’accogliere, si chiedono i due autori? “Innanzitutto accoglierci all’interno delle nostre comunità, rompendo le barriere costruite in questi anni da localismi e separatismi. Se siamo più accoglienti, dunque solidali, fra noi stessi, possiamo esserlo anche verso lo straniero”.
Il valore dell’accoglienza nella cultura italiana
Ed è proprio il richiamo alla continuità storica del valore dell’accoglienza nella nostra cultura che rivela l’inconsistenza della tesi del Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, secondo il quale per incrementare la natalità bisognerebbe tutelare la cultura e la presunta “etnia” italiana.
Il nostro futuro dipende dai nostri figli e da quelli degli stranieri che aspirano a vivere da noi. Se li accogliamo, cioè investiamo sulla loro crescita – come sostengono gli autori del libro citato – “porremo le premesse per contribuire a costruire un senso nuovo della comunità, alimentato dalla profondità storica della nazione”.
Luciana Scarcia
12 maggio 2023
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