Si è svolta a Roma, dal primo al tre luglio scorsi, la seconda edizione della “Settimana della cultura somala”. L’evento è stato ideato e organizzato da Zakaria Mohamed Ali, per l’Associazione Somaliyey Toosa.
In questi giorni, infatti, i frequentatori dei giardini di Villa Borghese si sono potuti imbattere nella tipica capanna somala, l’aqal, dimora costituita da rami flessibili che i nomadi della savana trasportavano con sé nei loro spostamenti stagionali. Quanto questo manufatto – che oggi definiremmo ecosostenibile – sia adatto al clima romano, solo Mustafa può saperlo, che lo ha riprodotto fedele all’originale, e ne è stato custode, giorno e notte, nell’arco della manifestazione.
Sotto l’ombra di un grande albero
L’edizione di quest’anno è stata maggiormente incentrata sull’aspetto letterario-culturale, essendo la comunità italo-somala molto attiva sotto questo profilo, con eccellenti risultati che spiccano nel panorama nazionale.
D’altronde, la Somalia è da sempre una terra che ha fatto del racconto “sotto l’ombra di un grande albero” il cardine della propria cultura. Sistema privilegiato di trasmissione della sua storia, la tradizione orale di questo Paese ha coltivato nei secoli una narrazione, di generazione in generazione, intrisa di forza poetica e nostalgia elegiaca.
La letteratura italo-somala come Testimonianza
È il primo luglio il giorno in cui viene celebrata l’indipendenza della Somalia, fasaxa dadweynaha in lingua somala. La data commemora l’unione, nel 1960, della colonia italiana e dell’ex stato britannico della Somaliland. Ad aprire questa giornata è la presentazione del romanzo illustrato della poetessa Rahma Nur “Il figlio del sole e della tempesta”.
La storia racconta la vicenda di Hassan, un ragazzo che rischia di essere portato via dagli integralisti, e della sua famiglia che cerca di proteggerlo mandandolo in Italia, il paese che anni prima ha colonizzato la Somalia e che, però, mantiene le porte chiuse alla sua diaspora.
La letteratura italo-somala come Memoria
Dopo questo primo intervento, segue la presentazione del testo “Timira. Romanzo meticcio”, scritto a quattro mani da Wu Ming 2 e Antar Mohamed Marincola.
Il titolo deriva dal nome somalo utilizzato da Isabella Marincola, Timira Hassan. Nel 1935 quasi la metà dei residenti di Mogadiscio, capoluogo amministrativo dell’ Africa Orientale Italiana, era italiana o meticcia. Il romanzo narra la storia vera di Isabella Marincola, madre dell’autore e sorella del partigiano medaglia d’oro Giorgio Marincola. Nel testo si fondono memoria, invenzione letteraria, documenti d’archivio e approfondimenti storici frutto di un ampio lavoro di ricerca.
La letteratura italo-somala come Ponte tra le razze
Proposta tra i dodici candidati al Premio Strega 2023, Igiaba Scego, con il romanzo autobiografico “Cassandra a Mogadiscio”, rappresenta uno degli esempi più rilevanti della cultura italo-somala.
Il libro è basato su diversi momenti della storia della famiglia dell’autrice: dagli anni dell’occupazione italiana fino alle umiliazioni della vita da immigrati nella Roma degli anni ’90, da lei vissuti in prima persona con gli occhi di un’adolescente senza radici. Come una moderna Cassandra, l’autrice antepone la possibilità del perdono e della fratellanza al risentimento, cauterizzando così la profonda ferita procurata dalle ingiustizie subite, in un parallelismo tra la quotidianità della giovane immigrata e la Storia del proprio Paese d’origine.
Somaliland, terra di perpetua conquista
La Somalia entrò nelle mire espansionistiche della politica estera italiana a cominciare dalla fine del XIX secolo. Solo nel 1908, sotto il Regno d’Italia, la parte a sud del Corno d’Africa passò da protettorato a colonia, conosciuta nel mondo come Italian Somaliland. Ritenuta pedina strategica per le dinamiche geopolitiche di un impero, fu inclusa nel progetto fascista di dar vita all’Africa Orientale Italiana, insieme all’Etiopia e l’Eritrea, dal 1936 fino al 1941, anno in cui l’impero britannico riprese possesso del territorio.
Nel periodo post-coloniale – successivo al 1960 – continue rivoluzioni e guerre civili intestine, dovute ai movimenti secessionisti delle varie tribù locali, hanno inciso nel determinare uno stato di arretratezza della Somalia. Situazione che purtroppo permane a tutt’oggi, rendendo questo Paese vulnerabile agli interessi commerciali dei grandi attori internazionali.
Il folklore somalo nel cuore di Roma
Nel corso della manifestazione non sono tuttavia mancati i riferimenti all’aspetto più squisitamente folclorico della popolazione somala. La stessa aqal è stata adibita al suo interno come sorta di camera del folklore: una serie di suppellettili, prevalentemente sculture in legno, a rappresentare i vari simboli che caratterizzano il territorio. Dalle riproduzioni della fauna peculiare del Corno d’Africa, alle lanterne in ebano, passando per le campane per cammelli e i tessuti dai colori sgargianti.
Agli astanti è stato inoltre offerto il cibo tipico di quelle terre: mentre è in corso la discussione sul colonialismo italiano in Somalia del prof. africanista Alessandro Triulzi, una donna macera nell’olio i chicchi di caffè tostati che andranno come ingrediente in uno dei piatti più conosciuti, l’odkac.
Una donna mostra il mehndi, tatuaggio temporaneo eseguito con henné naturale (dalla pianta della lawsonia inermis) dipinto sulle proprie mani. Un’usanza tipica del Nordafrica che coinvolge le donne di tutta la famiglia.
Le donne della somalia
Avvolte nel tradizionale baati – un abito in cotone, lungo fino alla caviglia, caratterizzato da un’ampia gamma di colori e motivi decorativi – le donne somale accolgono i partecipanti con cordialità. La lontananza dalla loro terra, la loro condizione di immigrate in una paese straniero che spesso si rivela carente nell’accoglienza, non intacca il loro sorriso. Un sorriso che non lascia indifferenti. D’altronde, la bellezza dei lineamenti delle donne della Somalia è riconosciuta nel continente africano. Wisdom, un giovane avvocato liberiano, lo conferma.
Fabrizio Santomauro
(10 luglio 2023)
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