CPR: tutto quello che non si fa

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“Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione”, é il titolo del Decreto-Legge n. 124, contenente anche le nuove norme sui Centri di Permanenza per il Rimpatrio(CPR), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19 settembre 2023.
Le innovazioni contenute riguardano in particolar modo l’innalzamento a 18 mesi del tempo massimo di trattenimento, nei CPR, dei destinatari di un provvedimento di allontanamento, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dal territorio dello Stato. Il periodo di trattenimento attuale è di tre mesi, a cui, in casi particolari, possono essere aggiunti 45 giorni. L’intenzione del governo è di realizzarne un CPR per regione, 12 regioni ne sono ad oggi sprovviste.

CPR: non sono destinati a chi ha commesso reati  

Sia gli attuali CPR, che i CPT e i CIE del passato, hanno lo stesso scopo giuridico, ossia quello di trattenere i soggetti sprovvisti di un titolo di soggiorno valido in attesa di rimpatrio, identificandoli e successivamente rimpatriandoli presso il Paese terzo di origine.
Per sgombrare il campo dagli equivoci frequenti in cui sono incorsi, volontariamente o involontariamente, anche giornalisti e politici, è importante sottolineare che non finiscono nei CPR gli stranieri che hanno commesso furti, rapine o aggressioni, come dice chiaramente la legge (decreto legislativo 286/98, art. 14) ma quelli che si trovano in Italia senza un permesso di soggiorno, e che per questo devono essere allontanati dal territorio nazionale. Neppure il cosiddetto «reato di immigrazione clandestina», introdotto dal governo Berlusconi nel 2009, viene punito con la reclusione nei CPR: la norma prevede una sanzione pecuniaria di alcune migliaia di euro.
Gli stranieri nei CPR sono:
• I detenuti stranieri che hanno finito di scontare la condanna penale ed ai quali, nel frattempo, è scaduto il permesso di soggiorno. Questi vengono prelevati dall’istituto penitenziario, dalle forze dell’Ordine a scadenza della pena, e portati al CPR, in attesa di risolvere gli impedimenti che ne ostacolano il rimpatrio.
• Gli stranieri fermati per controlli in strada e poi convocati in Questura, che si trovino nell’impossibilità di regolarizzare la propria posizione per mancanza di permesso di soggiorno o per permesso di soggiorno scaduto e non più rinnovabile.
• I cittadini europei non comunitari, non in possesso di permesso di soggiorno valido.
• I richiedenti asilo che hanno formulato domanda all’interno del CPR.. Circostanza non così remota come si potrebbe pensare, in quanto la normativa consente la possibilità di richiedere la protezione internazionale anche in carcere, all’interno dei CPR e persino sull’aereo che li sta riportando nel paese d’origine.
I CPR sono dunque luoghi di trattenimento e detenzione amministrativa del cittadino straniero irregolare, in attesa di esecuzione del provvedimento di espulsione, a seguito di un ordine di rimpatrio, per ovviare al pericolo di fuga, cioè alla possibilità che si allontani facendo perdere le sue tracce.

CPR: irregolari non vuol dire criminali

L’irregolarità, a sua volta, non ha nulla a che fare con la criminalità: molti stranieri diventano irregolari per banali motivi burocratici, ad esempio perché hanno perso il lavoro- o perché si sono visti rifiutare la domanda di asilo, o – ancora – perché sono arrivati in Italia con un visto turistico, che, sempre secondo il Testo Unico sull’Immigrazione, non può essere trasformato in un permesso per insediamento stabile.
Pertanto, vengono trattenuti negli stessi spazi pluripregiudicati e cittadini di paesi terzi che non hanno commesso alcun reato. Prolungare il trattenimento è una misura simbolica che non incide sui rimpatri effettivi che si riescono a fare nel corso di un anno, già nel 2011 il ministro dell’Interno Maroni aveva fatto la stessa cosa, portando il massimo a 18 mesi ma le percentuali dei rimpatri non cambiarono, dice il Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, “Ruotano sempre intorno al 50 % delle persone transitate, perché una persona o viene espulsa nelle prime settimane o non succede più”.
É bene, inoltre, chiarire che i CPR, non vanno confusi con i nuovi centri di trattenimento per i richiedenti la protezione internazionale provenienti da Paesi sicuri, per l’esame veloce delle richieste di protezione internazionale. Questi sono stati previsti dal Decreto legge n.20 del 2013, e resi effettivi dal Decreto interministeriale, in data 14 settembre 2023, del Ministro dell’interno, del Ministro della giustizia e del Ministro dell’economia e delle finanze, con il quale è stato determinato l’importo degli ormai famosi 4938 euro, da versare con fidejussione bancaria o polizza assicurativa, per la prestazione di idonea garanzia finanziaria, prevista dall’art. 6-bis, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.142.

CPR: Anomalia del sistema democratico

E’ stato detto sin dall’inizio dalla loro istituzione che i CPR rappresentano un’anomalia del sistema liberale e democratico, in quanto sono luoghi di detenzione senza controllo dell’autorità giudiziaria ma affidati interamente alla polizia e al Ministero dell’Interno e risultano privi di quel sistema di contrappesi e garanzie che è presente invece negli istituti penali.
Ciò comporta che molto spesso divengono luoghi dove si commettono soprusi e dove non sembrano rispettate le garanzie stabilite dall’art.13 della Costituzione che richiede espressamente come ogni misura limitativa della libertà personale debba avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria. Da decenni ormai si denunciano, da parte della società civile e delle Associazioni umanitarie, i soprusi e le violenze all’interno dei Centri, solo per citarne alcuni il  volume «Dietro le mura. Abusi, violenze e diritti negati nei Cpr d’Italia» della campagna LasciateCIEntrare (2022); il  rapporto della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD)  Rapporto «Buchi Neri. La detenzione senza reato nei CPR».   Il Garante nazionale osserva inoltre che, in Italia, la scelta del trattenimento – di natura essenzialmente detentiva – viene portata avanti anche indipendentemente dalla valutazione dell’effettiva possibilità di allontanamento entro lo scadere dei termini di restrizione. Ciò significa che circa la metà delle persone trattenute, per la precisione il 50,6%, ha avuto un periodo di trattenimento detentivo nei CPR senza il perseguimento dello scopo per cui esso era legalmente previsto, cioè l’espulsione dal territorio e spesso senza che tale scopo fosse già ipotizzabile all’inizio del trattenimento stesso, come nel caso degli stranieri i cui paesi d’origini non hanno sottoscritto un accordo per il rimpatrio con lo Stato italiano. Ciò comporta un’ innegabile violazione del principio secondo cui la privazione della libertà, bene definito “inviolabile” dalla Carta costituzionale, possa attuarsi solo nella prospettiva di una chiara finalità legalmente prevista e sotto riserva di giurisdizione.  L’esiguo quadro normativo non offre sufficienti tutele e garanzie per assicurare il pieno e assoluto rispetto della dignità della persona; l’art.14, comma 2, del Testo Unico dell’ Immigrazione, così come modificato dal d.l. n.130/2020, si limita ad affermare che lo straniero è trattenuto nel Centro “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza, il pieno rispetto della sua dignità e la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno”.

CPR: assistenza sanitaria non è fornita dal Servizio Sanitario Nazionale


Gli aspetti più rilevanti della vita all’interno dei Centri sono indicati nel decreto del Ministero dell’Interno n.12700 del 20 ottobre 2014, c.d. Regolamento Unico CIE.. A distanza di 8 anni, 19 maggio 2022, la Ministra dell’Interno, Lamorgese, ha adottato, con Decreto, la Direttiva recante “Criteri per l’organizzazione e la gestione dei centri di permanenza per i rimpatri previsti dall’art.14 del d.lgs. n.286/1998 e successive modificazioni”, che ha soppiantato il vecchio Regolamento Unico CIE.
La nuova direttiva, però, non produce novità rilevanti rispetto al passato e soprattutto non intacca uno dei problemi principali di questi luoghi : il fatto che l’assistenza sanitaria non sia affidata al Servizio Sanitario Nazionale (come avviene per gli istituti penitenziari) ma agli enti gestori. Si tratta di una privatizzazione del servizio che, nel corso del tempo, è stata duramente contestata dalla società civile e le cui problematiche sono state evidenziate dalla stessa Commissione De Mistura nel 2007, dal Comitato Nazionale della Bioetica nel 2013, dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. L’affidamento dell’assistenza sanitaria quasi completamente ai privati ha portato a gravi violazioni del diritto alla salute delle persone detenute nei CPR, portati più volte alla luce dalle visite effettuate dal Garante e dalle altre associazioni umanitarie entrate nelle strutture.
A seguito di accordi d’intesa fra Prefettura e SSN, i medici del SSN devono necessariamente eseguire uno screening iniziale delle condizioni psicofisiche del soggetto per verificare l’idoneità ad essere trattenuto in queste strutture. Successivamente gli stranieri vengono seguiti dal medico del centro che è presente saltuariamente, mentre invece esiste un presidio infermieristico h.24. Tuttavia, il personale medico sanitario è stato ridotto notevolmente negli ultimi anni, così come la presenza di figure specialistiche come assistenti sociali e psicologi.
Ma qui si apre un altro capitolo inerente all’osservanza, da parte degli Enti gestori che hanno vinto la gara per l’appalto delle forniture di beni, del Capitolato ministeriale che disciplina il funzionamento dei CPR.

I costi: l’affare CPR

Per mantenere queste strutture lo Stato spende 100 euro al giorno a persona, l’equivalente del costo necessario per ospitare un anziano in una RSA [Rapporto CILD, Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR, 2021, pag. 44] (Link). A fronte di cifre così rilevanti, gli stranieri effettivamente rimpatriati sono circa la metà di quelli detenuti. In altre parole, si sprecano ingenti risorse pubbliche e per di più non si riesce neppure ad allontanarle dall’Italia:
Nella legge di bilancio 2023 sono aumentati i fondi dedicati all’ampliamento della rete nazionale di centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Parliamo di un incremento di oltre 5 milioni di euro per il 2023, rispetto alle previsioni fatte dalla legge di bilancio del 2022.
Sono 56 i milioni di euro previsti complessivamente, nel periodo 2021-2023, dagli appalti per affidare la gestione dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) ai soggetti privati. Costi da cui sono esclusi quelli relativi alla manutenzione delle strutture e del personale di polizia. Cifre che fanno della detenzione amministrativa una filiera molto remunerativa che, non a caso, ha attratto negli ultimi anni gli interessi economici di grandi multinazionali e cooperative.
Ad illustrare questa situazione è stata la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili,CILD, che ha presentato un nuovo rapporto sul tema, intitolato “L’affare CPR. Il profitto sulla pelle delle persone migrantiall’interno del quale grande attenzione è stata dedicata alle multinazionali Gepsa e ORS, alla società Engel s.r.l. e alle Cooperative Edeco-Ekene e Badia Grande che hanno contribuito, negli anni recenti, a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia.

Sull’intenzione del governo di raddoppiare i centri esprimono perplessità anche gli addetti ai lavori del comparto sicurezza,  i quali già oggi fanno fatica a gestire le problematiche che continuamente sorgono nei Centri, con il limite di 6 mesi.
Pietro Colapietro, segretario generale del sindacato di polizia Siulp-Cgil, intervistato da “Collettiva”  i CPR sono bombe sociali spiega la realtà dei CPR, strutture detentive che definisce anomale, una realtà drammatica per i migranti, che implicano difficoltà di gestione e problemi di incolumità per i migranti stessi come per le forze di polizia che vi operano. Al momento i centri sono nove, ma con le nuove disposizioni ne sarà istituito uno per regione: “Quali uomini e quali mezzi avranno a disposizione, vista la carenza di organico che già oggi interessa le principali città italiane?”, si chiede Colapietro.
“Le promesse del governo sulle assunzioni sono di là da venire, perché nessuna risorsa è stata prevista per le assunzioni straordinarie. Quelle ordinarie non compensano i pensionamenti. Come la risolviamo?”.

CPR come luoghi senza tempo

I Cpr sono pensati come centri di permanenza temporanea, in linea teorica di breve durata, e quindi non dispongono dei percorsi educativi e ricreativi delle altre strutture detentive, ma ne ricordano l’impianto. I dispositivi di contenimento dei settori in cui si trovano ristretti i migranti risultano essere dei recinti – assimilabili a grandi gabbie – che racchiudono spazi di dimensioni inadeguate ed eccessivamente oppressivi. Alcuni sono ex carceri, come Macomer e non differiscono in nulla da una prigione: hanno stanzette anguste, per due persone, e gli stranieri passano la maggior parte del loro tempo nelle stanze dove consumano anche i pasti e nel cortile esterno, per i momenti in cui socializzano tra di loro e giocano a pallone, due volte a settimana: Non posseggono nemmeno un cellulare in quanto la Questura di Nuoro non lo consente, possono usare solo il cellulare in dotazione alla struttura.
Più fortunati sono gli stranieri che finiscono nei Cpr che una volta erano C.A.R.A. cioè centri di accoglienza governativi, come quello di Gradisca d’Isonzo, strano a dirsi, dove hanno a disposizione un televisore, vivono in camerate da 6 persone e hanno  la possibilità di guardare il loro cellulare, anche se non possono usarne la telecamera.
La mancanza di attività interne ed esterne rende le giornate infinite e genera grande disagio tra le persone rinchiuse, tanto che spesso gli ex carcerati presenti dichiarano di avere nostalgia del luogo di pena da cui provengono, dove almeno svolgevano dei lavoretti o partecipavano a delle attività. Da qui gli atti di protesta, di autolesionismo e il consumo di psicofarmaci, distribuiti di buon grado dal personale medico della struttura.
D’altro canto, questi centri non hanno come finalità l’inclusione dei detenuti, i quali, una volta usciti, al termine del periodo previsto, sono comunque “irregolari”. Se non vengono rimpatriati, escono con in tasca un foglio di via che teoricamente gli impone di allontanarsi dal territorio, il più delle volte senza alcuna possibilità di poter ottemperare all’ordine del Questore, per mancanza di mezzi economici,  quindi esposti all’illegalità e alla criminalità.
Alcuni, come raccontano gli operatori, sono talmente spaesati e in difficoltà, quando escono, che tornano, a distanza di qualche mese, e chiedono di rientrare nel CPR perché non sanno dove andare e come sopravvivere.

CPR: tempi di permanenza

La permanenza nei CPR dovrebbe essere breve, tuttavia in media supera i 36 giorni. Nel Cpr di Macomer, ad esempio, è circa di due mesi e mezzo.  Il 54,5% delle persone transitate è di nazionalità tunisina. (dati Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà).

Secondo le tabelle pubblicate dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale Relazione del Garante nazionale 2023
sono transitati nei, CPR, nel 2022, 6383 stranieri irregolari, di cui 57 donne. Nel complesso, appena la metà e cioè 3154. di queste persone sono state effettivamente rimpatriate.
Di queste:
• 46 si sono allontanate arbitrariamente
• 50 sono state arrestate all’interno dei centri
• 514 sono stati dimessi per altri motivi
• 869 dimessi perché non identificati nei termini
• 3154 effettivamente rimpatriati
• 122 richiedenti la protezione internazionale
• 5 sono deceduti
• 39 rilasciati a seguito di mancata convalida del trattenimento da parte dell’ autorità giudiziaria. (dati del Dipartimento della Pubblica Sicurezza)

Gli ostacoli ad effettuare i rimpatri, che tutti i governi vorrebbero incentivare, sono svariati: dalla difficoltà di organizzare materialmente il trasferimento, cioè mancanza di personale delle FF.OO. (normalmente sono previsti 2 agenti per ogni straniero accompagnato nel paese Terzo d’origine, con voli charter), alla difficoltà di reperire i documenti indispensabili per il rimpatrio ovvero ai tempi necessari affinché le autorità del paese d’origine dello straniero si decida a riconoscerli come propri cittadini e ad inviare il Nulla Osta al rimpatrio.
Questo ultimo è spesso il problema principale da affrontare giacché, anche se esiste un accordo tra Stati, le espulsioni sono viste dall’opinione pubblica di quel paese come un sopruso e un’ingiustizia, qualora si tratti di stranieri privi solo di permesso di soggiorno, in quanto gli emigrati che lavorano, se pur in nero, ed inviano soldi a casa sono una risorsa economica preziosa. Oppure, se sono cittadini considerati pericolosi perché si sono macchiati di reati penali, possono essere sgraditi al governo e perciò rifiutati.

CPR: dove verranno realizzati

Per la realizzazione dei nuovi CPR previsti dal Governo l’obiettivo è individuare edifici lontani dai centri urbani, perimetrabili e facilmente controllabili, preferibilmente vicini a un aeroporto per agevolare i rimpatri rapidi. Saranno presi in considerazione anche edifici già esistenti, compreso il patrimonio immobiliare del Ministero della Difesa e quello civile, per individuare edifici idonei a diventare CPR. I CPR sono presenti nella legislazione italiana in materia di immigrazione ormai da 25 anni. Attualmente tornati alla ribalta con il c.d. “Decreto Cutro” che all’art.10  ne ha stabilito il potenziamento. I CPR odierni sono 10,  di cui solo 9 funzionanti, il CPR di Torino è chiuso per danneggiamenti, per un totale di circa 1.300 posti teorici.
Secondo i dati forniti dal Garante dei detenuti, al mese di settembre di quest’anno, gli stranieri trattenuti in totale sono 592,su di un totale di 619 posti disponibili, di cui 587 uomini e 5 donne, tutte nel centro di Ponte Galeria a Roma, l’unico con una sezione femminile. La sola struttura sovraffollata è quella di Trapani, dove si contano 110 migranti su una capienza di 108 posti.
Come si intuisce anche dai numeri, una cosa è la loro capienza teorica altra la capienza effettiva poiché quest’ultima, oltre ad i vari interventi di strutturazione che subiscono periodicamente, è strettamente correlata alla disponibilità numerica delle forze dell’ordine impiegate all’interno del Centro. Ad esempio nel CPR di Gradisca d’Isonzo, a fronte di una capienza teorica di 150 posti, solo 90 posti sono effettivamente occupabili, per la proporzione indispensabile tra trattenuti e agenti della Pubblica Sicurezza in servizio nel Centro. 

Nadia Luminati
(4 ottobre 2023)

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