“Donne tra carcere e resistenza”: attiviste afghane e iraniane

”Donne tra carcere e resistenza” è l’incontro che si è tenuto alla Casa Internazionale delle Donne , in via della Lungara a Trastevere, il 27 novembre che ha visto riunite, intorno allo stesso tavolo, alcune rappresentanti della attiviste afghane ed iraniane che lottano in difesa dei loro diritti civili, calpestati e in molti casi cancellati dai regimi totalitari dei loro paesi.

Donne tra carcere e Resistenza: attiviste da Iran e Afghanistan

L’obiettivo dell’incontro è stato far luce sulle forme di resistenza messe in campo dalle donne afghane e iraniane, tramite le testimonianze delle attiviste presenti Sedigha Moshtag afghana, Zahra Toufigh iraniana, Parisa Nazari di Woman Life fredom, ma anche mediante i filmati e le testimonianze delle attiviste che sono rimaste nei loro paesi, accusate di essere traditrici della loro religioni e spie dei paesi occidentali, che combattono con impegno e coraggio contro i loro regimi politici, nonostante le minacce subite e la detenzione disumana, cui sono sottoposte.
Ospite dell’incontro anche Livia Turco, ex parlamentare e presidente della Fondazione Nilde Jotti che ha ricordato il lavoro della fondazione, finalizzato non solo a far conoscere la vita e il ruolo sociale e politico della prima presidente donna della Camera del parlamento italiano e delle donne costituenti, ma anche la ricerca continuativa di dialogo con tutte le culture, per contribuire alla costruzione di una Unione europea di popoli che dialoghi con gli altri popoli.

Donne tra carcere e resistenza: storie e video delle attiviste

Si è, dunque, fortemente voluto rinnovare l’attenzione sulla condizione femminile in quei paesi dove più è privata dei propri diritti umani e civili, tramite i racconti delle violenze subite dalle attiviste, detenute per il loro impegno politico, e tramite le letture di testi come “Diari dal carcere” della giornalista Sepideh Gholian, iraniana, (condannata a 18 anni di carcere per aver pubblicato un reportage giornalistico sulla protesta dei lavoratori di uno zuccherificio) che racconta la quotidianità della vita nella sezione femminile del carcere di Sepidar. Sono stati portati in visione, inoltre, video che hanno raccontato le storie di coraggiose donne afghane, illustrati da Sedigha Moshtag, che fa parte dell’Afghanistan Women’s Political Participation Network – ed è riuscita a sfuggire alla vendetta dei Talebani grazie alla Rete Umanitaria della società civile, fondata dalla giornalista del Tg1 Maria Grazia Mazzola, che insieme ad altre associazioni è riuscita a portare in Italia più di 70 attivisti.
Com’è noto dall’agosto del 2021, con il crollo del governo sostenuto dagli Stati Uniti ed il ritorno al potere dei Talebani, il regime teocratico ha privato le donne della partecipazione alla vita sociale, culturale e politica e le ha relegate in casa, negandogli la possibilità di istruirsi, di viaggiare e di lavorare in molti ambiti, compreso per le Ong.
Racconta ,Sedigha, che solo le donne si sono opposte fin dall’inizio alle limitazioni dei diritti imposti dal regime della sharia e per le loro proteste hanno subito violenze di ogni genere, molte delle quali non vengono nemmeno raccontate per vergogna. Molte di loro subiscono stupri e intimidazioni e spesso vengono minacciate ed incarcerate anche le loro famiglie.

cartello manifestazioneLa “Giornata internazionale della violenza contro le donne”

Come detto in apertura da Maura Cossutta, presidente della Casa Internazionale delle donne di Roma, ” è importante che l’incontro si sia tenuto a ridosso della giornata internazionale della violenza contro le donne” celebrata in tutto il mondo il 25 novembre,” perché mette al centro il tema della violenza, fenomeno sistemico non solo nella cultura del patriarcato. La violenza di genere, subita dalle donne è strettamente legata alla disparità di genere” la conseguenza ultima della disparità di genere nei diversi ambiti della vita sociale, politica ed economica, sfocia nella violenza di genere, di qui la necessità di contrastare la violenza di genere e lottare contro tutte le guerre, che sono il frutto del patriarcato, diffondendo la cultura della pace.
Mai come quest’anno, è stato detto in questi giorni da più voci, si è vista una partecipazione così numerosa e di donne ma anche di uomini, in tutte le città del nostro paese, per la giornata internazionale della violenza contro le donne. Arrivata pochi giorni dopo il triste epilogo della storia della giovane Giulia Cecchettin, vittima dell’ennesimo “femminicidio” per mano del suo ex fidanzato, è stata un moto spontaneo e commosso di persone che hanno sfilato per le strade per testimoniare la loro presenza e la loro rabbia, per dire che no, non si può morire a vent’anni in questo modo, solo perché si difende la propria identità e autonomia, né si può essere uccise così come sono state giustiziate le 107 donne morte fino ad oggi, solo nell’ultimo anno. Dopo Giulia, solo negli ultimi giorni, scorsi sono state uccise altre due donne per mano dei loro compagni.
Maura Cossutta , durante la presentazione dell’incontro, ha definito le manifestazioni di questa giornata,” uno spartiacque” perché l’omicidio di Giulia e ancora di più le parole che ha trovato, dopo questo tragico evento, la sorella Elena, sembrano aver scosso come mai in precedenza le coscienze di tutti, pericolosamente assuefatte, in questi ultimi tempi, alla piaga della violenza contro le donne.
Richiamare la “cultura dello stupro” e la responsabilità collettiva e non solo del singolo uomo violento- che è da considerarsi un figlio del patriarcato- come ha fatto Elena Cecchettin, spiegando che “ la cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling “ ha sollecitato con forza un impegno al cambiamento da parte di tutti, uomini, donne ed istituzioni pubbliche, attivando tutti gli strumenti in nostro possesso e promuovendone di nuovi.

Donne tra carcere e resistenza: la salvaguardia di Lucha y Siesta

E’ doveroso ricordare, al di là delle parole di circostanza e delle promesse di rito fatte in questi giorni dalle forze politiche e dalle istituzioni, che in realtà niente è stato fatto dal governo, al di là dell’inasprimento delle pene per chi delinque, per potenziare i centri anti-violenza femminili, che spesso, per mancanza di fondi o di sostegno pubblico sono a rischio chiusura, come ad esempio a Roma sta capitando a Lucha y Siesta,   una delle esperienze nazionali più significative del contrasto nella violenza di genere, che da anni fornisce ospitalità e sostegno alle donne vittime di violenza ma che la regione Lazio sta tentando di sfrattare dall’edificio di proprietà dell’Atac che occupa da 15 anni.

Nonostante le molteplici richieste di incontro di tutta la Rete antiviolenza, alla giunta regionale, per parlare del futuro di Lucha y Siesta, la Regione Lazio comunica attraverso una mail l’inizio dello svuotamento della Casa e la richiesta di non accogliere nuove donne in fuga dalla violenza. La casa internazionale delle donne, che ha seguito fin dall’inizio la vicenda, si appella nuovamente al sindaco di Roma, Gualtieri, e alla sua giunta perché avvii un’interlocuzione con la Regione volta alla completa salvaguardia dell’esperienza.

Donne tra carcere e resistenza: il video di Narges Mohammadi

E’ stato proiettato, poi, un video di Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace 2023, attivista iraniana, vice presidente del Centro dei Difensori dei Diritti Umani. Il regime della Repubblica islamica l’ha arrestata tredici volte, condannata 5 volte e condannata ad un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate. Il 6 novembre ha iniziato uno sciopero della fame nel carcere di Evin, dove è detenuta, per protestare contro le negligenze e le brutalità del regime carcerario che non fornisce le cure mediche ai detenuti che ne hanno bisogno.
Tra le violenze subite dalle persone in lotta e imprigionate dal regime, dapprima negli anni ottanta del secolo scorso, subito dopo la rivoluzione culturale che ha riportato gli ayatollah al potere, ed oggi, dopo il rapimento e l’uccisione, nello scorso anno di Masha Amini, uccisa dalla “polizia morale” perché indossava in modo improprio l’hijab, Narges parla, nel video, di uno dei sistemi di tortura psicologica più diffuso nelle carceri iraniane, la “tortura bianca” .
Questo metodo usato dal regime carcerario, anche per più anni consecutivi, consiste nell’isolare il detenuto in un ambiente per lo più senza colori, insonorizzato, privandolo completamente di tutti i contatti umani, anche quelli con il suo carceriere, per minare la sua resistenza, annientare la sua personalità e indurlo a confessare anche colpe non commesse pur di sfuggire all’isolamento. Narges Mohammadi ha scritto recentemente un libro su questo sistema di tortura intitolato “White Torture” dove vengono raccontate le esperienze di 12 attiviste iraniane, oltre la sua, sottoposte a questo trattamento di crudeltà psicologica con lo scopo di estorcere loro confessioni o costringerle a collaborare con il governo.

Donne tra carcere e resistenza: la lettera-appello di Narges Mohammadi, premio nobel per la pace 2023

La serata alla Casa Internazionale delle donne si è conclusa con la lettura di una lettera-appello dell’attivista e giornalista iraniana, premiata dall’Accademia svedese “per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran ed i suoi sforzi per promuovere i diritti umani e la libertà di tutti.
La lettera è stata veicolata dal carcere dove ancora Narges sta scontando la sua condanna, tramite alcune persone fidate, e si rivolge ancora una volta alla società civile denunciando i crimini e le violenze inferte dal regime dello ayatollah Alì Khamenei alle donne che protestano contro la sistematica violazione dei loro diritti. Ancora una volta Narges Mohammadi fa appello alle coscienze ed alle istituzioni, affinché, l’Italia, i governi occidentali ed il Rappresentante per i diritti umani dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNHCHR)  s’impegnino per mettere in sicurezza e sostenere, anche dal punto di vista economico, gli attivisti che stanno conducendo, a costo delle loro vite, la battaglia dei diritti in difesa della libertà di tutti. Donne, Vita, Libertà.  

Nadia Luminati
(30 novembre 2023)

 

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