MedFilm Festival 2023: la giuria Piuculture parte seconda

Shiva Boroumand: una voce chiara

Shiva Boroumand è una giovane attivista iraniana in Italia da tre anni. Si definisce una viaggiatrice, una migrante e il suo rapporto col cinema tocca proprio quest’aspetto: “per me un film aumenta di valore quando riesce a trasportarmi nella storia che racconta, permettendomi proprio di viaggiare.  Alcuni film creano in me un tale stato di empatia che per giorni mi ritrovo a ripensare ai personaggi, arrivo addirittura a sognarli di notte!”

Shiva dall’Iran all’Italia

In Iran, Shiva organizzava viaggi ecosolidali per la valorizzazione del territorio in armonia con le popolazioni locali, in Italia sta presentando un progetto imprenditoriale analogo, ad impatto sociale, “per ripopolare e riqualificare i borghi disabitati del Sud. Vorrei creare un turismo innovativo, esperienziale, integrando le famiglie di immigrati all’interno del tessuto sociale, valorizzandone le competenze e promuovendo l’intercultura”. 

Iran così lontano, così vicino

Appuntata alla maglia, Shiva ha una spilla: una scarpetta rossa con la scritta Donna Vita Libertà, lo slogan utilizzato in Iran durante le proteste che hanno seguito la morte della giovane Mahsa Amini unito al simbolo contro il femminicidio e la violenza di genere. Le stesse tematiche che tratta sulla sua pagina Instagram, dove parla di donne iraniane e afgane ma anche di madri detenute. Ha inoltre creato un progetto per vendere i lavori artigianali realizzati all’interno del carcere, chiedendo ai detenuti di allegare un messaggio, perché le loro storie potessero “uscire, volare fuori”.

Shiva: voci dal carcere

Sempre di carcere tratta il documentario che sta scrivendo, in particolare di affetto e amore, “ma quindici minuti sono troppo pochi ed io sento la responsabilità di tutte le storie che mi sono state raccontate e che ho raccolto”. Così ha iniziato a pubblicarne alcune sulla sua pagina, “per sensibilizzare la società a non avere pregiudizi. In Italia è difficile trovare pagine social dedicate all’attivismo o all’ informazione perché non hanno molto seguito, soprattutto tra i giovani”, che giudica poco coinvolti, “come profondamente addormentati”.

Dell’Iran le mancano soprattutto i rapporti umani, l’ascolto profondo, uno dei motivi per cui ama gli ambienti multiculturali, “perché le persone che incontro in questi contesti provano empatia, sono molto aperte, ma sono poche”. Shiva, in farsi, significa “una voce chiara”.

                                     

Djafarou Zakaria Alidou, dal Benin a Latina

Djafarou ha lasciato il Benin quando aveva solo sedici anni ed è arrivato in Italia nel 2016 dopo aver attraversato il deserto, l’inferno libico e il mare. In un’intervista di due anni fa su Piuculture parlava di quel lungo viaggio, iniziato da un villaggio a nord del Benin e terminato a Latina, dei tanti corsi di formazione intrapresi nel tentativo di integrarsi e di trovare un lavoro e della lunga trafila per ottenere il permesso di soggiorno e i documenti.

Il raggiungimento di una stabilità

Oggi Djafarou è uno dei sei giurati di Piuculture per la ventinovesima edizione del MedFilm Festival e, come racconta, “la mia situazione da allora è parecchio cambiata. Ora vivo in un appartamento che ho preso in affitto e lo scorso anno ho firmato un contratto a tempo indeterminato presso un internet point.  Il lavoro mi piace perché sono sempre in contatto con persone di culture e di nazionalità diverse e posso anche dare informazioni pratiche ad altri immigrati. Contemporaneamente svolgo volontariato presso la mensa della Caritas e sono diventato attivista per Refugees Welcome e Plastic Free. Ho aderito ad un gruppo di teatro, e abbiamo già portato in scena due spettacoli”.

Il Benin da dove partire, il Benin dove tornare

Dopo otto anni è anche riuscito a tornare in Benin per un paio di mesi e si è sposato, “non volevamo sposarci subito ma non c’era alta soluzione, ora spero di ottenere il ricongiungimento famigliare, ma non è facile”. Il suo sogno è di tornare a vivere nel suo paese: “vorrei essere utile alla mia famiglia e alla mia gente, portare le esperienze accumulate qui e dare il mio contributo, investire nell’agricoltura e nell’allevamento, per questo ho comprato un piccolo terreno”.

Ha anche scritto un racconto che parla di immigrazione e di integrazione, che verrà presentato questo mese. Se pensa alla sua storia, si sente fortunato: “so di avercela fatta grazie alle tante persone che mi hanno aiutato, e sono onorato di essere parte di questa giuria”.

 

Daniela Ionita, cittadinanza e diritti 

Italiani Senza Cittadinanza

Quando Daniela è arrivata a Brescia, dalla Romania, aveva solo sette anni, oggi è presidente e portavoce di Italiani Senza Cittadinanza, associazione che nel 2017 nasce a Roma “con l’idea di fare pressione sulle istituzioni e sulla politica per un cambiamento legislativo della legge 90 del 1992 sulla cittadinanza, una legge vecchia di trent’anni che a sua volta riprende quella del 1912 e che quindi non corrisponde alla realtà sociale e demografica delle nuove generazioni in Italia”.

Profughi e minoranze etniche

Per avere nuovi strumenti pratici e teorici da usare nel lavoro quotidiano che svolge, Daniela si sta specializzando, dopo una triennale in Cooperazione e Sviluppo, in Conflitti e Sicurezza.  Operatrice umanitaria, ha lavorato prima in Moldavia occupandosi dell’accoglienza dei profughi ucraini, in particolare rom, in seguito ha esteso l’intervento alla tutela dei diritti umani e legali delle persone apolidi di etnie minoritarie, “privi di riconoscimento legale in quanto profughi o rifugiati, a cui si devono includere anche le minoranze etniche, religiose e di genere” per i quali, dice, “viene spesso applicato un double standard”.

Il cinema come finestra sul mondo che cambia

Questo festival crea, secondo Daniela, un’opportunità di protagonismo per “storie, territori e persone che vengono messi in primo piano da tutti i punti di vista e riconosciuti come identità plurime e competenti” e che spesso non hanno voce. “Viene dato spazio alla vulnerabilità., non rappresentata necessariamente con toni vittimistici” ma come semplice espressione del reale.

I cambiamenti sociali, spesso non riconosciuti a livello istituzionale, sono per fortuna captati dalle espressioni artistiche e “la cultura è il mezzo migliore per rappresentare l’attuale realtà sociale e per riconoscere come la società stia cambiando e le nuove generazioni siano le protagoniste, in tutti i sensi, di questa nuova società”.

Natascia Accatino
(12 novembre 2023)

 

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