Refugees Live Fashion: sfilano gli abiti e le speranze dei rifugiati

Nella prestigiosa cornice della Sala Alessandrina, sede del Museo Nazionale di Storia dell’Arte Sanitaria, complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, il 1 dicembre, si è svolta la capsule collection “Linee”, realizzata grazie ai corsi organizzati dall’équipe multidisciplinare del Centro SaMiFo, Centro di Salute per Migranti Forzati, della ASL Roma 1. Il tutto nell’ambito del progetto europeo LGNET2, coordinato dal Ministero dell’Interno, Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, in collaborazione con ANCI e finanziato dal FAMI, per migliorare le performance in ambito di politiche di inclusione a Roma, anche alla luce dei numerosi conflitti bellici che hanno notevolmente incrementato il numero dei rifugiati nel nostro paese.

Refugees Live Fashion: la sfilata di moda

Gli abiti che hanno sfilato, indossati da impeccabili modelle, sono stati realizzati da otto allievi – per lo più donne – tutti rifugiati politici e migranti forzati che, una volta arrivati in Italia, hanno avuto l’opportunità di ricevere una formazione professionale riqualificante in un settore come quello della moda frequentando, sotto la supervisione attenta della direttrice Maria Maiani e dei docenti, il corso della MAM- Maiani Accademia d’Alta Moda.
I tessuti utilizzati: lana, cotone, neoprene, sono impreziositi da lavorazioni tutte eseguite rigorosamente a mano, le linee essenziali ma versatili, i colori predominanti: arancio, verde oliva e salvia con sfumature di nocciola; le creazioni sembrano narrare molto dei loro stilisti, dei paesaggi, dei colori e dei ricordi dei loro paesi di provenienza.

La sfilata ha rappresentato il momento conclusivo di un percorso formativo iniziato solo 6 mesi prima, che ha consentito agli allievi di realizzare capi con lavorazione d’Alta Moda, nonostante l’inesperienza iniziale e le difficoltà linguistiche, come ha raccontato la direttrice dell’Accademia, Maria Maiani, da sempre impegnata nella formazione di “utenze speciali”, al microfono di Giancarlo Santone, medico psichiatra, fondatore e coordinatore del SaMiFo, nonché orgoglioso presentatore dell’evento.

Gli stilisti, in gran parte donne, provengono dal sud come dall’est del mondo. Ci sono Liza Mahmuda Akter e la cugina Ferdose che vengono dal Bangladesh, Clarice Makwal Mayindu dalla Repubblica democratica del Congo, Sakina Hosseini e Sakina Gawhari dall’Afghanistan, Maryana Hussein Alshami, la più giovane, che viene dalla Giordania, Anna Krysenko dalla Russia, Aminul Aslam, ancora dal Bangladesh. Rifugiati e rifugiate hanno raccontato le proprie storie e culture attraverso abiti e gioielli, perché insieme agli abiti hanno sfilato anche i gioielli realizzati tramite un altro Ente formatore OTP – Officine di Talenti Preziosi.

Refugees live Fashion: i corsi di formazione

Oltre alla MAM, gli altri enti formatori impegnati nel progetto LGNET2, che coinvolge 18 comuni italiani e vede come capofila Roma Capitale, sono stati OTP – Officine di Talenti Preziosi, Blu Media, A Tavola con lo Chef, Infor-Elea e Ambiente Lavori che, insieme al team del Centro SaMiFo della ASL Roma 1, hanno realizzato cinque corsi di formazione in: informatica-multimediale, cucina/ristorazione, gioiello etico, moda e manutenzione del verde/agricoltura sociale.
Ogni ente formatore, tramite i propri presidenti e docenti, ha illustrato alla platea presente le competenze trasmesse e ha raccontato le difficoltà incontrate ma anche le soddisfazioni nate nell’incontro con i rifugiati.
In totale sono state 34 le persone formate: 8 hanno frequentato l’Accademia Maiani d’Alta Moda, 6 hanno seguito il corso di informatica e multimediale, 5 la formazione in ristorazione e cucina , 5 l’Agricoltura sociale e la manutenzione del verde e  10 il laboratorio di design e realizzazione gioielli ed accessori etici, dal titolo “Immigrazione e auto- imprenditorialità: un gioiello in-clusivo”.
Provengono da paesi in guerra come la Russia, l’Ucraina e la Palestina ma anche da regimi autoritari e repressivi come l’Iran, l’Afghanistan e poi dalla Cina, dal Bangladesh, dalla Nigeria, dalla Repubblica democratica del Congo, dal Burkina Faso, dal Camerun e dalla Costa d’Avorio.
Le scuole, selezionate con procedura pubblica, hanno rilasciato agli allievi degli attestati, consegnati al termine della manifestazione, che certificano le competenze specifiche acquisite.

Refugees live fashion: il percorso formativo e la bellezza

“La bellezza, la creatività, la fantasia aiutano a curare le persone e i protagonisti, rifugiate e rifugiati provenienti da diversi paesi del mondo” ha detto nel corso della presentazione Giancarlo Santone, non nuovo ad esperienze di questo genere, esprimendo grande soddisfazione per il lavoro svolto dai rifugiati che hanno frequentato 300 ore di formazione a corso, dimostrando di saper fare lavori umili ma anche di realizzare prodotti di alta bellezza.
In realtà, da come ogni allievo ha esibito orgoglioso il proprio attestato, per le foto di rito, con gli occhi brillanti di soddisfazione ed il cuore un po’ più leggero, sembra proprio che non si possano mettere in discussione le parole di Santone.
Questi progetti sono sì di riabilitazione ma con una visione finalizzata all’integrazione e all’autonomia” racconta Santone, “sono realizzati con la speranza che i partecipanti possano spendere questa esperienza acquisita nel mondo del lavoro. Non è una speranza di adesso, sono anni che svolgiamo questi progetti e abbiamo visto che funzionano. In particolare in due attività professionalizzanti, cucina e ristorazione e manutenzione del verde, affinando nel tempo sia la selezione degli utenti, dell’Ente che degli enti dove fanno un tirocinio retribuito, siamo intorno al 50% delle persone assunte stabilizzate e rinnovate.”

Rifugees live fashion: Maryana, Liza , Sandra e Sakina

Maryana è palestinese, ma è nata in Giordania e la sua famiglia vive in Svezia. E’ la stilista più giovane ed è molto orgogliosa del vestito che è riuscita a realizzare.  “Sono arrivata solo da un anno in Italia ed al SaMiFo, tramite il centro di accoglienza che mi ha candidata per il corso di sartoria”, il desiderio di Mryana è di continuare a studiare, in particolare la lingua italiana e frequentare tutti i corsi di formazione possibili, come corso di make-up, di coiffeur. “Non ho mai vissuto in Palestina perché i miei genitori erano profughi in Giordania, dove sono nata”. Ha un volto sorridente che si rabbuia solo quando parla della guerra in Palestina e dei bambini che stanno morendo sotto le bombe a Gaza. E’ piena di speranza per il suo futuro, “mi trovo bene a Roma e il corso di moda all’accademia è stata una bellissima esperienza”.
Liza è del Bangladesh, ha tre figli ed è sposata, anche il marito è in Italia,  “appena arrivata qui ho lavorato come badante ma quando è nato il primo bambino ho dovuto smettere ed sono rimasta senza lavoro, allora sono cominciati i problemi. Vorrei continuare a lavorare nel campo della sartoria”, ha frequentato il corso dell’Accademia con la cugina ed entrambe ridono di contentezza e sono fiere dei vestiti che hanno realizzato, sembrano essersi inserite molto bene nel gruppo dei corsisti, del progetto che hanno frequentato.
Sandra è nigeriana, “sono da sette anni in Italia, sono arrivata con un barcone a Lampedusa, poi sono stata trasferita sulla terra ferma”. Viveva da un’amica vicino alla stazione Termini ma era infelice e stava male, lascia intendere, per le persone che frequentava. Sandra non vuole dire nulla di più se non che deve molto ad un’assistente sociale che l’ha trasferita in una casa famiglia. Ora  esibisce orgogliosa l’attestato di frequenza del corso di cucina/ristorazione e spera di poter cominciare a lavorare in un ristorante dove presto comincerà un tirocinio.
Sakina è afghana, è arrivata in Italia da due anni con la figlia di 16 anni, portate entrambe in salvo dai militari italiani, dopo che i Talebani sono tornati al potere. E’ la più spaventata, non vorrebbe parlare né esporsi più di tanto perché è convinta che il regime del suo paese riesca ad individuare gli attivisti e le persone che sono fuggite per motivi politici controllando le notizie e gli articoli che compaiono sul web. “Mio marito lavorava per l’ONU ed è rimasto ucciso in un attentato, avvenuto sedici anni fa, è saltato in aria per il tritolo inserito nell’auto su cui viaggiava. La sua uccisione è avvenuta un giorno prima che nascesse nostra figlia, è stato un periodo molto travagliato”. E’ fuggita due volte dal suo paese. Sussurra che “se i Talebani sapessero che ora lavoro nel mondo della moda saremmo doppiamente in pericolo”.
Nonostante le storie dolorose che ancora segnano le loro vite, tutti i presenti trasmettono un’energia positiva, molta gratitudine per l’esperienza vissuta e la speranza che la loro formazione possa divenire, un giorno, una professione che consenta di vivere un futuro più inclusivo.
Al termine della sfilata, quando gli stilisti sono passati sulla passerella accanto alle modelle, le loro emozioni si sono mescolate a quelle del pubblico ed è stato impossibile non pensare alle difficoltà e alle sofferenze che hanno affrontato nel loro percorso di profughi. Se le esperienze fatte non riusciranno a divenire un trampolino di lancio per le loro aspirazioni future, saranno comunque un periodo della loro vita che ricorderanno con soddisfazione, perché avranno dimostrato a se stessi di essere in grado di realizzare i propri sogni.

Testo Nadia Luminati,

foto Alessandro Guarino
(2 dicembre 2023)

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