“Chi ci dà ancora la forza di vivere da Europei?”, questa l’ultima battuta di un’accorata lettera che Maria Romana De Gasperi, Mara, primogenita di Alcide De Gasperi, scrive al padre. La frase è anche la chiave di lettura di, “De Gasperi: l’Europa brucia”. Lo spettacolo ha debuttato l’8 febbraio al Teatro Duse di Genova ed è ora in programma a Roma, ultima tappa del tour, al Teatro Vascello fino al 24 marzo. Interpretato da Paolo Pierobon, Giovanni Crippa, Emiliano Masala, Livia Rossi e Francesco Maruccia, diretto da Carmelo Rifici e scritto da Angela Demattè, ripercorre le tappe dell’attività politica di De Gasperi dal 1944 fino alla morte, il 19 agosto 1954.
De Gasperi, l’uomo e il politico
Un atto unico, per un’ora e mezzo lo spettatore resta incollato con lo sguardo sul palcoscenico. Ci vuole coraggio e perizia per catturare l’attenzione della platea trattando un tema complicato e difficile come può essere il travaglio dell’uomo De Gasperi, colui che ha traghettato l’Italia fuori dal pantano del dopoguerra. De Gasperi è interpretato in modo magistrale da Paolo Pierobon, intorno a lui ruotano gli altri interpreti: Mara la figlia primogenita e sua segretaria, Togliatti, Dunn, l’ambasciatore americano, fino al comune cittadino, l’abitante di una Matera che, nel giro di pochi anni, si ritrova ad abitare una vita più confortevole ma che gli è estranea e che reclama a gran voce la sua “capretta”.
Gli attori si muovono e parlano sempre nello stesso ambiente: una camera spoglia, una sedia una scrivania, un campo di bocce, a sottolineare che vita pubblica e privata di De Gasperi sono un tutt’uno. Sullo sfondo, una bandiera, la sola cosa che cambia nel corso dello spettacolo, da nera a rossa, quando De Gasperi si incontra con Togliatti, a bianca.
Il silenzio degli spettatori è un tutt’uno con il palcoscenico: ogni parola, ogni dettaglio è importante (il cappotto che De Gasperi si fa prestare dall’onorevole Piccioni per andare in America perché il suo è consumato), perderne uno significa perdere il senso di ciò che si racconta. Gli attori riescono a restituire puntualmente il percorso intimo dei protagonisti, ne interpretano i dubbi, le aspettative, financo i sogni ma anche le delusioni, la capacità di saper aspettare, i piccoli cedimenti che li rendono umani. I personaggi politici diventano uomini comuni, interpreti, ognuno a suo modo, della realtà del dopoguerra e fanno rivivere allo spettatore il periodo storico in cui la storia si dipana.
La prima scena vede De Gasperi insieme alla figlia. I due preparano la partenza per l’America, la Nazione che ha liberato l’Europa dal nazifascismo. Il discorso politico con la figlia si alterna a lievi considerazioni sull’imminente matrimonio di Mara. Ed è a questa che viene affidato il ruolo della sibilla, Mara teme un’alleanza troppo stretta con gli Stati Uniti e auspica un’Europa Unita, chiede, “Perché non possiamo avere un sogno nostro? Un sogno europeo, insieme a Francesi e Tedeschi?”. De Gasperi non ha dubbi: “Ancora non è il momento, ora dobbiamo fare da noi”.
Il sostegno economico dell’America, il piano Marshall
L'ambasciatore Dunn interpretato da Giovanni Crippa
L’Italia è uscita dalla guerra umiliata e povera. Il politico De Gasperi, Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri dal 1945 al 1953, ha due obiettivi: chiedere il sostegno economico dell’America, entrare nella Nato e, contemporaneamente, procedere ad un accordo fra gli Stati europei che metta definitivamente al bando il rischio di una nuova guerra. L’uomo De Gasperi, ossessionato dall’umiltà e dalla compostezza, tesse la sua trama mediando tra Germania e Francia, divise da quasi un secolo di guerre. Mentre gli Alleati e, in particolare, gli Inglesi premono per una soluzione finale del problema comunista (tagliare la gola a Stalin), Pierobon ci restituisce un De Gasperi pacato, misurato, attento osservatore convinto che il solo modo per indebolire la forza dell’ideologia comunista sia quello di garantire un adeguato livello di benessere e di democrazia al popolo.
De Gasperi e Togliatti, l’impegno verso il popolo italiano
Il colloquio con Togliatti, nemico amico che apre la seconda scena, chiarisce i rapporti tra De Gasperi e l’allora Partito Comunista italiano, il più forte partico comunista dell’Europa occidentale. I due sono stati accumunati dalla lotta contro il fascismo e anche dal vivere con la stessa intensità l’impegno verso il popolo italiano. Il dialogo, essenziale ma coinvolgente, oscilla come al solito tra fatti privati e le divergenti considerazioni politiche sul futuro dell’Italia. Togliatti non vede di buon occhio il viaggio di De Gasperi in America e lo invita a non vendersi “per un piatto di lenticchie”. De Gasperi parte e a Cleveland, il 10 gennaio 1947, tiene il discorso davanti al Forum del World Affairs Council, grazie a cui ottiene cento milioni di dollari. È il Piano Marshall.
Nel 1948 la Democrazia Cristiana ottiene la maggioranza, la vittoria rivela anche l’abilità di De Gasperi, l’accento cade di nuovo sull’importanza delle parole, “In un Paese cattolico come l’Italia democrazia e cristianità”, dice, “sono due parole perfette”. Sullo sfondo viene issata la bandiera della trattativa, di colore bianco: De Gasperi ha vinto la partita ma non teme i comunisti italiani. Al contrario, ritiene che una sinistra forte sia utile per la realizzazione del progetto di progresso ed emancipazione dell’Italia che ha in mente fin dall’inizio, dal 1945. Proprio lui un uomo nato in Tirolo, uno che non sembra nemmeno italiano, come gli dice l’ambasciatore Dunn che lo accoglie a Washington, nel 1947 e che ritroviamo nell’agosto del ’51 a Roma.
Il progetto per un Europa integrata
De Gasperi resta fautore della cooperazione fra i popoli e crede che l’Italia debba avere il suo ruolo sulla scena internazionale. Tratta con gli Americani e si impegna nella Costituzione del Consiglio d’Europa. L’Europa non solo come cuscino fra Stati Uniti e Unione Sovietica, ma anche faro culturale, politico ed economico ed esempio di convivenza pacifica fra gli Stati.
L’uomo non cessa mai di tessere la tela del suo piano politico europeo. Nel 1950 accetta l’appello per un’Europa integrata lanciato da Roberto Schuman. La penultima scena è dedicata al colloquio fra De Gasperi e l’ambasciatore americano, nell’ agosto del 1951. I due protagonisti si fronteggiano, l’uno interpretando un americano spavaldo e sicuro di sé che urla la supremazia degli Stati Uniti e reclama il debito di riconoscenza che l’Italia ha, l’altro che mima col corpo il peso del debito contratto, della mediazione, lo spettatore fa fatica a sentire quelle poche parole che sono forse la nuova paura di De Gasperi, “Non siamo il Sud America”. Si percepisce la tensione del momento, a malapena si catturano le parole di De Gasperi che spiega ad un Mr. Dunn che non ascolta, il suo progetto di unire economicamente l’Europa. L’uomo De Gasperi finisce in una zona d’ombra. Quando la luce torna ad illuminare il personaggio, un De Gasperi affranto si appoggia alla sedia, la postura del corpo denuncia la pena e il dolore dell’uomo che teme di aver fallito.
Eppure, il progetto Europa va avanti, nel 1951 nasce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), nel 1954 De Gasperi diventa il primo presidente dell’Assemblea parlamentare della CECA. Questa volta non ha sbocciato ma ha accostato la palla al boccino, ha segnato un punto. Muore il 19 agosto 1954.
Chi ci dà, quindi, la forza per vivere ancora come europei? La domanda resta aperta ed è rivolta a tutti gli spettatori.
Livia Gorini
(21 marzo 2024)
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