8 marzo Donne di nessun luogo: femminismi e immigrazione

Nel giorno della festa internazionale delle donne, l’8 Marzo, tra le celebrazioni e le riflessioni, indispensabili per sottolineare l’importanza di indignarsi e combattere le sempre più attuali violenze di genere e difendere i diritti civili conquistati dai movimenti femministi degli anni settanta e ottanta del secolo scorso, assume interesse parlare del tema “Donne di nessun luogo, Femminismi e immigrazione” affrontato da Alessandra Gissi, docente di Storia contemporanea all’Università di Napoli “L’Orientale”, durante il convegno “La Questione Migratoria” il PCI e le sinistre nell’Italia del novecento” svoltosi il 23 febbraio, presso la Fondazione Gramsci, a Roma.

Femminismi e Immigrazione: il mancato incontro

“Pensare a quale sia stato e quale sia oggi in Italia il rapporto tra femminismi e immigrazione femminile non è semplice perché le diverse esperienze sono poco visibili e spesso poco note anche le une alle altre.” Ha detto Alessandra Gissi, citando Franca Balsamo, docente di sociologia dell’Università di Torino. 
La dimensione politica dell’immigrazione femminile è difficile da rintracciare nella produzione femminista. Quest’ultima presta molta più attenzione, soprattutto alle migrazioni interne ed europee.

“Chi sono le donne immigrate? Sono donne di cui non si conosce più il nome. Da loro «al paese», erano identificate grazie all’appartenenza ad un gruppo. Qui, altro non sono se non un’etnia: «la mia domestica portoghese»,«la pulitrice marocchina», ecc. Sono donne di nessun luogo che non hanno più storia. Il passato è rimasto al paese. Occorre, vada come vada, incominciare una nuova esistenza: è una vita in transito.” Così , ci dice ancora Gissi, citando un articolo di Ruth Padrun, Donne immigrate nostre sorelle (Padrun, 1979). Si tratta di un contributo del gruppo «Donne Europee parlano dell’Europa» e riguarda particolarmente le immigrate nordafricane in Francia. “

Femminismo e Immigrazione: donne di nessun luogo

Perché donne di nessun luogo? Perché è Il luogo dove si lavora  che determina ciò che consideriamo o non consideriamo lavoro. In questo caso specifico parliamo della casa come luogo di lavoro. Saranno i femminismi  a rivalutare il lavoro domestico, “ Tuttavia “ fa notare la Gissi “, quando questo tipo di lavoro viene svolto, in modo salariato, da altre donne il lavoro domestico sfugge dalla messa a fuoco.” La casa, che nell’elaborazione teorica e nella pratica femminista  diventa un agone politico, si riafferma come «privata» quando riguarda la vita e il lavoro di domestiche straniere.

Le donne immigrate corrono così il rischio di essere vittime di una doppia discriminazione: etnica e di genere. Il pericolo per loro è di essere condannate all’invisibilità nel loro ruolo di assistenza domestica, confinate in un ambito strettamente privato, reso ancora più vulnerabile dalla eventuale assenza del permesso di soggiorno.

Femminismo e Immigrazione: la separazione tra pubblico e privato e il lavoro di cura.

Nel periodo preso in considerazione, ovvero prevalentemente gli anni Settanta, i femminismi italiani sono impegnati a scardinare la separazione tra pubblico e privato e a decostruire la cosiddetta «vocazione» domestica delle donne, il suo essere «essenziale». Questo determina un’aspra discussione sul salario domestico, sul rapporto tra produzione e riproduzione, sulla riorganizzazione del lavoro di cura nelle relazioni affettive ed economiche.

Si mette in discussione quel destino enunciato nella formulazione dell’articolo 37 della Costituzione del 1948, relativo ai diritti individuali delle donne e al rapporto fra lavoro e famiglia.
Secondo l’articolo 37, infatti, «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di diritti, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione». “ Non si può non notare come l’aggettivo «essenziale» rimandi a una necessità e contemporaneamente un’essenza.” fa notare Alessandra Gissi.
“l’8 marzo 1972 le femministe romane celebrano per la prima volta in piazza la Giornata internazionale delle donne, scontrandosi anche con la polizia, circola un volantino firmato dai Gruppi femministi romani, con un incipit particolarmente significativo: ”La donna è ancora schiava! 90 o 40 ore settimanali di lavoro in casa non pagato e la donna è casalinga comunque”.
“È una critica alla rigida dicotomia secondo la quale nella sfera pubblica risiede la dimensione produttiva del lavoro, mentre nella sfera privata quella riproduttiva. La riproduzione sociale non viene considerata “lavoro” ma vista unicamente come cura del sé e destino biologico.”

Femminismi e Immigrazione: le donne straniere in Italia

Il rapporto del Censis del 1979 sull’immigrazione straniera, dice che ci sono circa centomila straniere in Italia. I numeri dell’INPS e del Ministero dell’Interno sono diversi ma sono sottostimati. Un flusso che ha in parte a che fare con i nuovi assetti post coloniali, molte arrivano dalle ex colonie italiane ma l’Italia ha la caratteristica di avere provenienze molto frammentate, molto diverse. Vengono dalla Spagna, dal Centro America, dalle Filippine, dall’Isola di Capoverde, dalla Somalia e dall’Eritrea.

Secondo le statistiche, per alcuni gruppi i Paesi di provenienza sono chiaramente identificabili, perché particolarmente numerosi, mentre per altri è più difficile giungere a una qualche stima. Sarebbero concentrate particolarmente a Venezia, Milano, Roma, Varese, Brescia. Vi sono inoltre, secondo le stesse fonti, circa 7.000 filippine a Roma, Ancona, Milano, Napoli, Torino, Lecce, Bari, Rieti.

 La componente femminile assume rilievo nella prima immigrazione in Italia, sia dal punto di vista numerico sia perché costituisce una vera e propria avanguardia.

Femminismo e Immigrazione: Le straniere invisibili

 

“Lungamente si è detto che queste donne non erano visibili, per questo non venivano studiate, perché non occupavano gli spazi pubblici. Non è proprio così perché, per certi aspetti nella società, così come sulla stampa, si parlava molto delle “colf “straniere.”

C’è però, come già detto, un’enorme fatica dei femministi a vedere la questione dell’immigrazione e di quel settore specifico che è il lavoro domestico. Proprio in quegli anni settanta in cui il femminismo propone una politicizzazione del privato in generale, quindi dei corpi e della sessualità ma anche degli spazi privati e di quello che avviene negli spazi più privati.

Sempre più numerose, le straniere, già a partire dalla fine degli anni ottanta, hanno assunto un ruolo fondamentale nei rapporti di genere nel nostro paese, fanno da sponda alle famiglie, surrogano in parte alle funzioni di mogli, compagne e figlie diventate, anche grazie al femminismo, più “autonome” e impegnate nel mondo del lavoro e delle relazioni amicali, Eppure, nonostante siano così strutturalmente fondamentali, sembrano quasi totalmente invisibili a gran parte delle prospettive teoriche del femminismo italiano.

I femminismi italiani sono occupati in altre questioni, una di queste è rappresentata dalla  questione generazionale, la trasmissione del femminismo alle nuove generazioni che, avendo goduto dei risultati della politica dei movimenti femministi degli anni settanta, si sono allontanate sempre più da quella visione e non sentono nessuna urgenza o curiosità per la storia del femminismo.

Femminismi e Immigrazione : i motivi del mancato incontro 

Alessandra Gissi individua quindi 2 questioni su cui continuare a ragionare, per individuare le cause di questo mancato rapporto tra femminismi e lavoratrici domestiche migranti: 

– la prima è relativa al ruolo egemonico che ha in Italia il femminismo della differenza. “Qualsiasi approccio intersezionale”, dice “viene depotenziato. Fare un’intersezione tra classe e razza risulta molto difficoltoso.”
– la seconda è molto legata a cosa riteniamo sia lavoro.

Il femminismo tenta un’operazione di sabotaggio, delle categorie centrali, a sinistra, di che cosa sia lavoro ma non riesce a operare un ribaltamento della definizione di lavoro. Per cui di fatto il lavoro operato in una situazione di privatezza resta uno spazio di eccezione. La visione della casa come  spazio d’eccezione è un nucleo così duro che non riesce ad essere scalfito, soprattutto quando riguarda le donne immigrate.  Nel loro caso questo spazio di eccezione si riconferma

Femminismi e Immigrazione: le tutele del lavoro domestico

“Il divieto di contrattazione collettiva nel lavoro domestico, ereditato dal fascismo, viene abolito dalla Corte Costituzionale solo nel 1969” dice ancora Beatrice Busi nel saggio già citato “ fino ad allora da parte democristiana si voleva evitare il rischio di estendere la lotta di classe e le tensioni sindacali nella sfera privata familiare, e da parte della sinistra storica si adduceva la difficoltà di superare l’isolamento delle lavoratrici domestiche per organizzarle sindacalmente.” Solo nel 1974 viene stipulato il primo contratto nazionale di lavoro e si sviluppa la valorizzazione del ruolo sociale delle lavoratrici domestiche.

“Queste disposizioni non limitano l’afflusso e tanto meno la clandestinità. Sul finire degli anni Settanta, la questura di Palermo sostiene, ad esempio, di aver concesso trecento permessi di soggiorno a domestiche, ma le presenze reali dovrebbero essere più di 1.500. Solo la metà sarebbe regolarmente in possesso di visti di soggiorno.” Riprende la Gissi nell’articolo già citato “Migrazioni femminili e neofemminismo: una prospettiva storica” inserito nel saggio della Busi. La condizione di clandestinità non impedisce ma rende ovviamente più difficile una tutela legale delle interessate anche in sede contrattuale e le espone al continuo rischio dell’espulsione.”

Femminismi e Immigrazione: gli anni della visibilità

Già dal 1990, alla Casa della donna, il femminismo torinese realizza i primi incontri con donne immigrate intellettuali e di ceto medio.. È grazie, in particolare, a figure come quella di Maria Teresa Battaglino (Italia), Sued Benkdim (Marocco), Giovanna (Somalia), che nasce l’esperienza di AlmaTerra.

“Dal 1995, anno del convegno internazionale “Migranti e Native” (Torino, 1995), fino ai recenti convegni di Paestum (2012, 2013) non ricordo conferenze o luoghi di incontro di ampio respiro: sembrerebbe che solo le piazze (da “Usciamo dal silenzio”, Milano 2006, a Roma 2007,  a “Se non ora quando”, 2011), abbiano visto, perlomeno nell’ultimo decennio, la compresenza di femministe italiane e “straniere”, scrive ancora Franca Balsamo.

Femminismi e Immigrazione : i nuovi femminismi

Arriverà anche una nuova generazione di femministe che ha studiato nelle università europee e che lavorano nelle università e soprattutto fuori, alla decostruzione dei concetti di identità e di genere, scardinando quella differenza binaria del sesso che era stata alla base del femminismo degli anni settanta per arrivare a un’idea complessa di “genere” che contiene la costruzione di identità mobili, transessuali, queer.”  afferma, Franca Balsamo.

“Alcune femministe, più emancipazioniste, si erano impegnate in quegli stessi anni (ottanta e novanta) nel cosiddetto mainstreeming, sotto l’orientamento di raccomandazioni, linee guida, indirizzi o risoluzioni provenienti dalle Conferenze mondiali delle donne (da Nairobi 1985 a Pechino 1995) e da un’Europa in cui le donne incominciavano ad assumere ruoli sempre più significativi negli organismi internazionali.

 Questo femminismo costruisce ovunque, nei luoghi di lavoro e nelle amministrazioni locali e nazionali, organismi di parità: commissioni, comitati ecc. che mirano a realizzare sul piano concreto gli obiettivi della “parità di opportunità” con esiti che saranno, in definitiva utili all’incontro con le “straniere”.

Nel frattempo, in concomitanza con l’avvento della globalizzazione e del neoliberismo, montava un’onda di violenza contro le donne così intensa e diffusa su tutto il territorio da sembrare una vera e propria “guerra” ,a più o meno bassa intensità, rimasta per un certo tempo nascosta tra le mura domestiche ma poi visibilissima nelle case come nei media: dalla “guerra mediatica” che si gioca sull’immagine del corpo femminile, che si tende a mercificare, alla valanga della violenza domestica che assume le forme di un vero e proprio femminicidio. Le femministe trovano nuove energie che le compattano e le impegnano su questo fronte. 

Ora molte immigrate “straniere” manifestano insieme a una nuova generazione di femministe italiane. Sono visibili in prima fila in piazza per denunciare insieme la strumentalizzazione “razzista” del discorso sulla violenza contro le donne, quando la sicurezza delle città viene vista come questione che avrebbe a che fare con l’immigrazione. Lo slogan condiviso è esplicito: “L’unica sicurezza: le donne del mondo che si organizzano”.

Ma questa è storia di oggi.
Oggi le donne scendono in piazza in 39 città in tutta Italia, da nord a sud e nelle isole. Per la prima volta, la mobilitazione indetta dal movimento NonUnaDiMeno incontra le istanze delle attiviste con disabilità: da Sud a Nord, per la prima volta le manifestazioni si dotano di strumenti per diventare accessibili. L’inclusività, non solo razziale, è divenuto finalmente un tema politico.

Nadia Luminati
(8 marzo 2024)

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