La Difesa Europea: intervista a Riccardo Mattei

Condomino bombardato Ucraina (Foto di Алесь Усцінаў)

A meno di 15 giorni dalle Elezioni europee i candidati al Parlamento si confrontano, ormai quotidianamente, sui temi più importanti per il futuro dell’UE. Uno dei più spinosi è la Difesa europea, tornata tragicamente importante in questi ultimi due anni quando, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’UE si è ritrovata con una guerra alle porte, dopo un periodo di pace durato oltre settant’anni. Non minore preoccupazione generano la situazione in Medioriente, le tensioni nel Mar Rosso, le prossime elezioni statunitense, i rapporti problematici con la Cina: tutti fattori che hanno portato l’UE ad interrogarsi sull’opportunità di riconsiderare i propri sistemi di difesa e di ipotizzare, per la prima volta, l’eventualità di organizzare una difesa comune a tutti gli Stati membri.

La Difesa Europea: i programmi degli eurogruppi

Scorrendo i programmi elettorali dei maggiori gruppi europei, emerge la centralità del tema, nodo cruciale anche durante l’ultimo dibattito elettorale prima del voto del 6-9 giugno, organizzato il 23 maggio scorso dall’Unione europea di radiodiffusione (Ebu) al Parlamento Ue, durante il quale si sono confrontati 5 candidati appartenenti ad altrettante famiglie politiche europee – Ursula von der Leyen per i popolari, Nicolas Schmit per i socialdemocratici,Terry Reintke per i Verdi europei, Sandro Gozi per i liberali di Renew Europe Now e Walter Baier per la Sinistra – mentre erano assenti (perché hanno scelto di non partecipare al sistema degli Spitzenkandidat): le destre conservatrici ed estreme di Ecr e di Identità e Democrazia (Id).
Diversi i temi toccati: economia e lavoro; difesa e sicurezza; clima e ambiente; democrazia e leadership; migrazione e frontiere; innovazione e tecnologia.
Su difesa e sicurezza, tutti sono stati concordi nell’affermare che la Pace sia in pericolo e che sia necessario tutelarla ma sulle modalità per raggiungerla ognuno ha esposto una ricetta differente. Chi vuole l’esercito europeo, chi invece punta tutto sulla diplomazia. Chi chiede l’immediato stop all’invio di armi e chi invece mira ad aumentare la spesa militare.

  • Il Ppe (Partito Popolare europeo) Il Pse (Partito Socialista europeo) Renew ( gruppo dei liberali europei) e Ecr, dei Conservatori e dei Riformisti (non presenti) concordano tutti sulla necessità di aumentare gli  investimenti destinati alle industrie europee della difesa, con qualche distinguo:
  • Il Ppe è l’ unico a mirare alla creazione di un esercito comune; afferma, nel proprio manifesto elettorale, di aver già intrapreso i primi passi verso una politica di difesa comune. In questa direzione l’Ue ha già finanziato programmi per il rafforzamento dell’industria di difesa europea. Promuove, inoltre, lo scudo di difesa aerea europeo, proposto dai primi ministri di Grecia e Polonia,  come un programma d’interesse europeo.
  • Renew, il gruppo dei liberali, afferma che “ l’Unione europea deve essere collettivamente preparata a proteggere la pace nel continente.” Per raggiungere questi obiettivi, secondo il gruppo dei liberali, è fondamentale investire maggiormente nella produzione europea. Servirebbero, secondo i liberati, 100 miliardi di euro. ma eguali investimenti vogliono per istruzione e cultura”. 
  • Il PSe (Partito Socialisti europei) afferma che la Nato rimane un partner affidabile e, secondo quanto si legge nel manifesto ,  bisogna incoraggiare una maggiore cooperazione e coordinazione tra le truppe del patto atlantico e quelle degli Stati membri.
  • Per Ecr, l’eurogruppo dei Conservatori e dei Riformisti, non presenti al dibattito, la difesa è “La priorità” come emerge dall’ elenco delle dieci priorità elettorali. il primo passo per rilanciare il sistema di difesa europeo è finanziare le aziende del settore per produrre nell’Ue. Si legge nel manifesto  che l’Unione deve continuare a fornire materiale bellico a Kiev. Per questo motivo è necessario rinforzare la collaborazione con la Nato e spingere i Paesi a spendere maggiormente per la difesa. Secondo l’Ecr l’esercito europeo è una riforma inutile che porterebbe più danni che benefici.
  • Sul fronte opposto:
  • I Verdi , chiedono i tavoli internazionali, ricordando che la Pace passa anche attraverso la transizione ecologica. In quest’ottica, dicono, la transizione verde offre all’Ue la possibilità di essere il modello per gli altri Paesi sia nella decarbonizzazione sia nella ricerca della pace.”
  • la Sinistra europea chiede un immediato cessate il fuoco a Gaza. Oltre a questo, nel manifesto proposto, viene ribadita la necessità di fermare il riarmo in Europa. La Sinistra si schiera contro ogni allargamento della Nato, rilancia il concetto di sicurezza comune europea basata sul dialogo.
Dibattito SpitzenKandidaten Elezioni Europee 2024- foto di Eunews.it

La questione della Difesa si trova, nella quasi totalità dei casi, anche in cima ai programmi dei partiti politici italiani che si preparano al voto, mostrando quanto la guerra e le armi o al contrario la ricerca della pace e lo stop al riarmo siano oggi l’assoluta priorità a livello continentale di tutti i partiti.

Il concetto di resilienza come difesa delle democrazie occidentali

PiuCulture ha affrontato l’argomento di una Difesa europea parlandone con Riccardo Mattei, Viceprefetto del Ministero dell’Interno, in servizio presso la Rappresentanza Permanente NATO a Bruxelles

Viceprefetto Mattei, qual è il ruolo dei rappresentati dello Stato italiano all’interno del Consiglio Atlantico, di cosa si occupa il suo ufficio?

Il Consiglio Atlantico della NATO  è un alleanza di difesa  che nel tempo si è molto evoluta: da alleanza puramente di difesa tecnica ha ampliato i suoi orizzonti e la sua missione. Io mi occupo della frontiera più innovativa dell’Alleanza, poiché oltre all’aspetto puramente militare, cioè la difesa tecnica dei paesi alleati, c’è un tema più nuovo che riguarda il rafforzamento dei singoli alleati nella loro capacità di far fronte a crisi e minacce di qualsiasi tipo, che possano mettere in crisi la loro tenuta democratica.  I Paesi devono essere in grado di far fronte, ad esempio, ad una crisi pandemica come quella che abbiamo avuto, devono saper affrontare crisi energetiche, crisi negli approvvigionamenti di acqua e cibo, crisi nella gestione di incidenti di massa, attacchi cinetici e cibernetici.
“Siamo passati – continua Mattei – dalla visione che si aveva della difesa alla fine degli anni ‘40 del Novecento, periodo in cui è nata l’Alleanza NATO, quando la minaccia era rappresentata dall’aggressione dell’esercito di un paese che ne invadeva un altro, ad una situazione in cui più attori sia statali che para-statali possono mettere in crisi la capacità di funzionare delle strutture fondamentali della vita democratica di un paese. Quindi è una nuova prospettiva, molto più ampia e più consona per chi, come me, non ha una formazione militare ma è chiamato ad interpretare le esigenze dei tempi.”
“Mi occupo  di questo macro tema che, da tempo, ha il nome di Resilienza.” Continua il viceprefetto “Lavoro all’interno de Il comitato Resilienza (Resilience Comitee), un organo consultivo senior della NATO all’interno del quale rappresento la posizione italiana. la parola “Resilienza” è un termine di cui, in Italia, si è spesso abusato, specie dopo la Pandemia, si usa un po’ genericamente, ad esempio il PNRR è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tutti i Mass Media hanno usato e abusato di questo concetto, per la Nato invece Resilienza ha un significato tecnico.
Resiliente è quel paese che rispetta sette requisiti di base, tra i quali ad esempio:

  • la continuità di governo,
  • la tenuta del sistema di approvvigionamento elettrico o energetico,
  • le catene di approvvigionamento di cibo e di acqua,
  • la tenuta del sistema sanitario e altri contesti.

Per ciascuno di questi ambiti, occorre che i paesi membri assicurino la capacità di far fronte a crisi importanti. Un Paese che, ad esempio, ha il sistema energetico in crisi è un paese che se scoppia una guerra non riesce a far fronte alle esigenze militari. C’è un interconnessione tra piano militare e piano civile che è il contesto all’interno del quale opera il Comitato Resilienza.”
La resilienza è essenzialmente una competenza nazionale, ciascun paese deve essere capace di far fronte a queste crisi civili che possono minacciare la propria stabilità democratica. L’Alleanza però ha la funzione di permettere la condivisione delle esperienze, cioè consente di far capire a ciascun paese come gli altri stanno affrontando alcuni temi centrali strategici, di identificare alcuni obiettivi comuni: ciascun paese analizza le criticità e decide su quali piani intende lavorare, su questi piani fissa degli obiettivi, poi ci si confronta  sugli avanzamenti e il raggiungimento di questi obiettivi. Ci sono dei Macro obiettivi condivisi a livello dell’Alleanza. Ad esempio ciascun paese deve saper far fronte a crisi derivanti da incidenti di massa, da catastrofi, ma ciascun paese decide come farlo.”
“In questo periodo storico in cui tutti gli addetti ai lavori, diplomatici, analisti, tecnici, hanno la percezione che lo scenario di crisi sia diventato più complesso, più liquido da interpretare perché meno tradizionale, c’è una percezione di insicurezza che deriva dalla vulnerabilità delle nostre infrastrutture, dalla vulnerabilità delle reti telematiche, dalle vulnerabilità di approvvigionamento energetico – pensiamo alle infrastrutture sottomarine, ad esempio- sono infrastrutture  dove  passano i nostri dati, passa il gas, il petrolio, in qualche modo passa, l’energia della nostra democrazia” aggiunge Mattei, usando una metafora molto convincente. “La minaccia possibile alla nostra quotidianità è un orizzonte d’insicurezza molto più vasto e spaventoso rispetto  a quello rappresentato da una guerra tradizionale quindi un’Alleanza come la nostra, che è un’alleanza di difesa dei valori del mondo occidentale, si deve dotare di meccanismi di difesa adeguati a fronteggiarle.
Poi, riflettendo “ Nel giro di un paio di generazioni molto probabilmente non saremo più il centro del mondo, resteremo però un baluardo della difesa dei livelli più avanzati delle democrazie, un baluardo della tutela dei diritti delle persone, un baluardo nella tutela alla difesa della dignità delle persone. Se il criterio di valutazione della nostra importanza strategica diverrà quello meramente economico oppure legato alla forza degli strumenti di difesa, penso di poter dire che il mondo occidentale non occuperà più un posto centrale nel mondo. L’Asia lo diventerà sempre di più, l’Africa auspicabilmente diventerà una nuova potenza, se non altro per la forza demografica che la contraddistingue. Quindi, in questa prospettiva c’è la percezione  di una fragilità che occorre rafforzare, rafforzando i suoi baluardi. La Nato è uno di questi baluardi. Un luogo in cui il mondo occidentale costruisce la sua idealità strategica, si confronta, un po’ al di fuori dei suoi interessi meramente economici e si interroga sulla sua sopravvivenza.”

Pensa che sia importante, a questo proposito, la realizzazione di una comune difesa europea?   

“La difesa europea, a lungo andare, si realizzerà, ma sicuramente è importante una maggiore cooperazione tra NATO e UE, queste due organizzazioni  hanno avuto finora dei cammini paralleli occupandosi di cose diverse. Prima della guerra di aggressione all’Ucraina, non c’è mai stato un vero dibattito sulla difesa comune europea. Storicamente alcuni paesi, come la Francia, erano contrari, adesso se ne riparla e lo si fa in un contesto in cui la difesa diventa una cosa più ampia, sia nella visione dell’Europa che nella visione della Nato. È molto importante che queste visioni si costruiscano sempre più in sinergia. La Nato e l’Europa stanno molto rafforzando il loro dialogo su questi temi, su quello più strettamente militare, ma anche sulla difesa civile e della Resilienza. L’Alleanza, rispetto all’Unione Europea è più larga: ne fanno parte gli Stati Uniti, il Canada, la Turchia, che sono paesi importanti nella costruzione di un sentire allargato del mondo occidentale.”

Come è possibile conciliare l’esigenza di sicurezza, avvertita da tutti i paesi dell’’UE e dell’Alleanza con l’accoglienza, intesa come capacità di non innalzare muri ai propri confini? E come non rimanere sordi alle ragioni che spingono milioni di persone ad emigrare per motivi economici, politici e sociali?

Rispondo tenendomi alle competenze dell’Alleanza, uno dei requisiti di base della resilienza è quello della capacità di far fronte a movimenti incontrollati di persone. C’è la consapevolezza che anche le persone che si muovono all’interno dell’Alleanza possano comportare dei pericoli per la sicurezza e per la tenuta democratica degli assetti dell’Alleanza nel suo complesso e dei singoli paesi alleati. Questa presa di coscienza della capacità di gestione dei movimenti delle persone è molto importante perché anche dal punto di vista dell’Alleanza ci si interroga sul fatto che il fenomeno migratorio e in generale il fenomeno degli spostamenti umani vada considerato nella globalità dei suoi aspetti.  Cioè non soltanto dal punto di vista economico o sociale ma si cerca di capire l’impatto che questi movimenti hanno sulla sicurezza e sulla tenuta democratica. Quando si parla di sicurezza e di democrazia si affrontano due argomenti molto scivolosi nella narrazione politica di un mondo tradizionalmente polarizzato tra destra e sinistra, tra persone che respingono e persone che accolgono, si rischia di restituire un’impressione di valori tra di loro contraddittori. Questa lettura del fenomeno non ci aiuta ad interpretarlo nella sua complessità. Dire che gli spostamenti umani sono anche una questione di sicurezza non significa sposare un approccio che limita i movimenti delle persone. Significa, al contrario, essere consapevoli che questi movimenti hanno un impatto anche sulla nostra sicurezza e che, anche per la tutela di queste persone, occorre essere consapevoli di tutti i rischi e gestire con oculatezza la complessità delle esigenze che derivano da questi movimenti. Questa è la visione e la funzione di un’Alleanza essenzialmente difensiva come la nostra. “

Perché, nel contesto geopolitico attuale è così difficile parlare di pace e cercare di promuovere azioni per attuarla, al posto di armare i paesi in guerra?

Non trovo sia difficile parlare di pace ma è difficile immaginare ad una pace in assenza di attori che sono disponibili a dialogare adesso, come ad esempio nel contesto della guerra tra Russia e Ucraina. La pace è l’obiettivo a cui una Alleanza difensiva come la nostra fonda la sua ragion d’essere. La Nato è inoltre un’alleanza che fa del dialogo la sua tipologia essenziale, la nostra è un’alleanza che è fatta essenzialmente di dialogo diplomatico sulla guerra, non solo di dialogo tecnico sugli impieghi militari. Come affrontare le guerre e come costruire la pace sono due facce della stessa medaglia, sono entrambi piani di lavoro paralleli della nostra missione. La pace si costruisce non solo con le idealità, ma anche con ragionamenti fattuali su chi abbia la forza di imporre il proprio predominio sul mondo e di come questo dominio debba essere in qualche modo limitato quando contrasta con la libertà degli altri. Questo comporta che il processo della pace passi anche attraverso l’uso di strumenti di difesa.  Ma anche l’uso di strumenti di difesa può essere uno strumento diplomatico, nel senso che si può costruire la pace anche usando la forza, questo è un concetto contraddittorio solo per chi non conosce come vanno le cose nel mondo “

Quali iniziative concrete, avete intrapreso nei confronti della pace, come NATO?

Noi non abbiamo un dialogo aperto con la Russia, in questo momento non possiamo averlo per assenza di disponibilità. Abbiamo però molto rafforzato la cooperazione con l’Ucraina che è la vittima di questa aggressione, stiamo lavorando anche sul campo della difesa della resilienza, a tutela delle loro infrastrutture energetiche, ad esempio. C’è un discorso di supporto alla popolazione civile, non solo di supporto alle forze militari in campo e questo amplia l’orizzonte della nostra attività che è anche tutela dei diritti della popolazione civile. La struttura della nostra Alleanza prevede il dialogo, a livello diplomatico,  tra paesi alleati e paesi partner, che sono molti, con i quali intavoliamo interlocuzioni finalizzate a raggiungere i più alti livelli di sicurezza a livello globale, durante il Consiglio Atlantico che si riunisce tutte le settimane. Abbiamo un dialogo aperto anche con molti paesi africani, con l’Unione Africana, con tanti attori del mondo che si trovano in una situazione di conflitto ideale. Diversamente dal passato coloniale, ma in maniera analoga, diventano terra di conquista ideale da parte di potenze a loro esterne. Noi siamo lì per rafforzare la visione di un mondo occidentale che è una visione di tutela di diritti. Noi e la UE, a differenza di altre potenze, quando dialoghiamo con gli altri lo facciamo attraverso il principio di condivisione dei valori essenziali del mondo occidentale che partono dalla libertà di ciascun popolo di essere artefice della propria politica e del proprio destino interno. Tavoli per rafforzare la pace sono anche questi, dove l’Alleanza atlantica mette insieme paesi con tradizioni democratiche diverse, anche più fragili, nella possibilità di dialogare e confrontarsi per condividere le esperienze comuni e fissare obiettivi collettivi, allo scopo di trovare strategie comuni in materia di resilienza.”

Nadia Luminati
(28 maggio 2024)

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