Il 1° Maggio 1886, 80.000 lavoratori nella sola Chicago, 400.000 in tutti gli Stati Uniti, incrociarono le braccia per reclamare la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore al giorno nelle fabbriche. Lo sciopero culminò con il lancio di un ordigno in mezzo ai manifestanti che provocò la morte di undici persone, fra le quali sette poliziotti. I responsabili dell’attentato, proclamatisi innocenti, furono condannati a morte, due di loro videro la pena commutata in ergastolo. Ad ogni buon conto, la Legge che garantiva la riduzione dell’orario di lavoro era stata approvata. In Italia, i lavoratori e lavoratrici dovranno aspettare il 1923 perché si fissasse il limite orario giornaliero a otto ore, con Regio Decreto del 15 marzo.
La Quarta Rivoluzione Industriale
Dal 2011 è stato introdotto il concetto di Quarta Rivoluzione Industriale ossia quella che viene definita la “collaborazione intelligente tra macchine, essere umani e calcolatori”. In tale contesto si inseriscono la Trasformazione Digitale e la Transizione ecologica ovvero la Quarta Rivoluzione Industriale. Le Transizioni rappresentano il perno su cui ruoterà l’intera economia mondiale e porteranno ad un miglioramento sia in termine di maggiore produttività che di qualità dei prodotti. Si stima che la sola Europa potrebbe aumentare il proprio PIL di 3.600 miliardi di euro entro il 2030 grazie all’innovazione tecnologica. Gran parte del boom sarà legato allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.
Per restare in ambito europeo, molte figure professionali sono destinate a scomparire. Il mercato del lavoro ruoterà su: le soft skills, competenze non propriamente tecniche come la capacità di gestire tematiche complesse e lavoro di squadra; la flessibilità del mercato del lavoro esteso a tutto il territorio della UE; lo smart working, a cui la pandemia ha dato un impulso fondamentale.
La Comunità Europea sta cercando di tenere il passo con il cambiamento, accelerando il processo di digitalizzazione del mercato e la transizione ecologica.
Il ruolo dell’Italia
L’Italia è chiamata ad assumersi le sue responsabilità ed adeguarsi alle richieste del mercato. La percentuale di giovani laureati italiani è fra le più basse in Europa (20% contro una media UE del 33.4%), bisogna peraltro rilevare che parte del gap è dovuto alla diversa struttura educativa vigente nei Paesi membri. Infatti, nel conteggio dei laureati di Paesi come Germania e la Francia ma anche Danimarca, Norvegia e Spagna sono inclusi coloro sia coloro che hanno conseguito il titolo presso le c.d. università applicative che prevedono corsi di laurea brevi e preparano i giovani in collaborazione con le industrie locali, che i ragazzi che seguono i corsi a ciclo breve professionalizzanti, post diploma.
In Italia, è la stessa Confartigianato a denunciare la mancanza di personale qualificato e soprattutto la mancata coordinazione tra ambito scolastico e offerta di lavoro.
Ciò non di meno, l’Italia resta, suo malgrado, una delle principali fonti da cui attingere per “materiale umano molto qualificato”. I giovani emigrati italiani “effettivi” sono il triplo di quelli rilevati dall’Istat, per un giovane che emigra che corrispondono in realtà tre. Questo è quanto emerge da uno studio dell’Ottobre 2023 della Fondazione Nord-Est. Se, secondo l’Istati sono 377mila gli italiani migranti, in realtà sarebbero 1,3 milioni (solo una parte dei migranti italiani si registra all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, AIRE). Così mentre i media e la politica centrano l’attenzione sul flusso degli immigrati e il calo della natalità, viene trascurato il fenomeno dell’emigrazione italiana che influirà sempre più sul potenziale di crescita dell’Italia.
Le proposte e i progetti dei privati italiani
In tale contesto si inserisce sia la proposta del Parlamento Europeo per la costituzione di un bacino di talenti per creare dei percorsi legali efficaci per ridurre la migrazione irregolare e agevolare l’assunzione internazionale ma anche i progetti di alcuni privati, come il Progetto Pizzarotti del “CARA di Mineo” (Centro di accoglienza per i Richiedenti Asilo chiuso nel 2019) e il Progetto Ghana di Confindustria Adriatica.
Pizzarotti, presidente della Società proprietaria del CARA, ha presentato al Governo un progetto per la riapertura del Centro. Pizzarotti propone di riconvertire i locali in disuso in laboratori artigiani, industriali e agricoli dove i richiedenti asilo che sbarcano sulle coste siciliane potranno seguire dei corsi di formazione. Ciò garantirebbe una risposta alla mancanza di manodopera lamentata dalle aziende, in un’ottica di inclusione dei migranti già presenti sul territorio. La proposta non ha ancora avuto risposta. Né bisogna dimenticare che in Italia vige ancora l’annoso ed irrisolto problema del caporalato e del lavoro nero nel settore agricolo e in quello edilizio. I lavoratori ci sono ma manca la volontà di regolarizzare e “utilizzare al meglio” la loro presenza, preferendo lasciarli nel limbo dell’invisibilità. Nel contempo, il 6 aprile c.a. La Confindustria Adriatica ha inaugurato ad Accra, una Academy destinata ad istruire 250 giovani ghanesi da destinare a mansioni che richiedono profili “tecnologicamente meno evoluti”, richiesti dal tessuto produttivo italiano, garantendo loro un percorso regolamentato ma a fronte del riconoscimento di quali diritti?
La proposta del Parlamento Europeo
La proposta del Parlamento Europeo punta all’instaurazione di un data basa a livello europeo ed extra UE dove domanda e offerta di lavoro possano incrociarsi, sia per quanto riguarda i profili lavorativi più qualificati che per la manodopera. L’obiettivo dichiarato è quello di attirare talenti nell’Unione Europea ma anche la piena utilizzazione dei talenti già presenti in Europa per la realizzazione della transizione verde e di quella digitale, fra di loro strettamente collegate (ad oggi è attivo l’EURES, European Employment Service, ma è rivolto solo ai cittadini UE). L’invecchiamento della popolazione europea renderà del resto necessario favorire l’ingresso di cittadini extra UE, le relative politiche essendo tra l’altro di competenza della stessa Unione Europea come garantito dal TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea).
Il progetto europeo è ambizioso ma trascura forse un punto e cioè che i talenti che stanno nascendo in Africa, lasciano i loro Paesi, attratti da condizioni di lavoro certamente migliori. Un funzionario dello Zimbabwe ha denunciato che dal 2021 ben 4000 tra medici ed infermieri hanno lasciato il Paese per lavorare soprattutto in Gran Bretagna. Lo stesso accade in Kenya e in Nigeria (16000 visti per l’espatrio solo nel 2021 fra medici, infermieri, dottori informatici): Gran Bretagna e Canda rappresentano per i giovani africani laureati un El Dorado. L’Africa non può permettersi di rinunciare alla sua migliore gioventù!
Per quanto concerne i talenti reclamati a gran voce dalla UE, l’Italia si posiziona in una zona d’ombra: se c’è un circuito interno al movimento dei giovani in ambito UE e Svizzera, l’Italia vi partecipa ma solo come primo fornitore. Se con il Decreto Crescita (DL 34/2019)si era cercato di tamponare il fenomeno dei ragazzi in fuga dall’Italia, agevolandone il rientro, con la manovra recentemente approvata dal CdM (D.L. sulla fiscalità pubblicato in GU a dicembre 2023),gli incentivi fiscali vengono drasticamente ridotti.
L’emorragia del personale medico e infermieristico
Un discorso a parte merita forse l’emigrazione massiccia del personale medico e infermieristico italiano. Tra il 2000 e il 2022 hanno deciso di lavorare all’estero 180.000 professionisti, medici ed infermieri. Il numero degli specialisti in fuga è aumentato negli anni della pandemia: l’istruzione del personale emigrato nel triennio 2019/20/21, si calcola 40000 laureati, è costato allo stato italiano 3.5 miliardi. I dati non sono ancora disponibili ma nel 2023 il numero dei medici e degli infermieri che emigrano è in crescita e fa dell’Italia un Paese che deve fare i conti, sempre e comunque, col suo problema migratorio e con l’enorme perdita sia in termini di capitale umano che di entrate fiscali e contributive.
L’Europa serve?
Se la domanda è: gli Stati europei devono affrontare insieme la sfida della Quarta Rivoluzione Industriale? La risposta è sì. Il traguardo deve essere tagliato entro il 2030 e serve una cabina di regia unica. Gli obiettivi dichiarati: 1milione di posti di lavoro creati dalla transizione ecologica e la digitalizzazione di base di almeno il 70% della popolazione europea, circa 230milioni di persone. Per questo la UE ha destinato 101 miliardi al Fondo Sociale Europeo Plus. La vera sfida è quella di arrivare ad una visione unica del progetto di transizione e di creare una sinergia fra i Paesi membri, sia in ambito economico che dei diritti sociali e civili. Il modello Europa potrebbe diventare un esempio per il resto del Mondo.
Livia Gorini
(29 Aprile 2024)
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