Referendum sulla cittadinanza, figlie e figli d’Italia

Il 6 settembre è partita la raccolta firme per il referendum abrogativo dell’articolo 9 della legge n. 91/1992. L’obiettivo dei promotori, molte organizzazioni attive nel campo dei diritti civili e degli immigrati come Italiani senza cittadinanza, Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane, Idem Network, Libera e partiti come Più Europa, Possibile, Partito Socialista, Radicali Italiani, Partito della Rifondazione comunista, è di raccogliere 500.000 firme entro il 30 settembre. L’abrogazione del succitato articolo, riporterebbe la legislazione alla situazione ex ante, in vigore dal 1865 al 1992, per cui il termine di soggiorno ininterrotto valido per richiedere la cittadinanza italiana, tornerebbe ad essere di 5 anni contro i 10 previsti dalla legge attualmente in vigore.

Mettere fine al limbo burocratico dei lavoratori extra UE

La campagna referendaria è stata messa in piedi in poche settimane, probabilmente anche a seguito della proposta, da parte di chi era sembrato fino ad ora contrario, di prendere in considerazione l’ipotesi dello ius scholae, che è poi l’oggetto dell’ultimo tentativo di revisione della legge presentata alla Camera il 29 giugno 2022, bloccata dalla fine della legislatura nel settembre 2022. La proposta dell’attuale referendum è semplice: abrogare l’art. 9. Per tutti sarà così possibile richiedere la cittadinanza dopo 5 anni di residenza legale e, una volta ottenuta, estendere la cittadinanza ai propri figli minori. Ciò, secondo i promotori, metterebbe fine ad un pericoloso limbo burocratico dove tutto può accadere, prima diventano cittadini italiani i lavoratori stranieri con regolare permesso di soggiorno presenti in Italia e meglio sarà per tutti.

Richiesta di cittadinanza non significa diventare automaticamente cittadini italiani

Purtroppo, l’argomento è controverso e spesso affrontato in modo sommario. Richiedere la cittadinanza, dopo 10 anni di legale residenza, che sta ad indicare persone che lavorano in Italia con regolare permesso di soggiorno, che pagano le tasse, che mandano i loro figli nelle scuole italiane, non significa automaticamente che la stessa venga concessa. C’è bisogno di vari prerequisiti che il referendum lascerebbe invariati: conoscenza della lingua italiana livello B1, il possesso di adeguate fonti economiche, l’idoneità professionale, permesso di soggiorno, passaporto internazionale valido, non aver commesso reati penali e civili. Una volta accettata la richiesta, passano in media altri due anni, a volte fino a 36 mesi, prima che la cittadinanza venga concessa. Se si ridurranno gli anni di residenza “legale” a 5 anni, ne dovranno passare altri 2/3 prima di diventare cittadini italiani e sempre che un intoppo burocratico, ad esempio una denuncia dei redditi non corretta o un incidente d’auto, non blocchi o rigetti la richiesta di cittadinanza.

La revisione della Legge n. 91/1992 per favorire i canali legali di ingresso in Italia

È ormai opinione comune che la legge n. 91 che regolamenta la richiesta della cittadinanza italiana debba essere rivisitata. La mancata revisione della legge e i successivi decreti sicurezza hanno ridotto i canali legali di ingresso in Italia. Le testimonianze di chi è vissuto e studiato in Italia non fa che rendere più urgente una revisione della Legge 91. C’è chi, pur avendo studiato in Italia, debba ripiegare su un impiego all’estero e chi, alla fine, rinunci a richiedere cittadinanza.

La necessità dei lavoratori dai Paesi extra UE

È ormai opinione comune che le imprese italiane abbiano bisogno di manodopera, si prevede che entro il triennio 2023/25 saranno ammessi in Italia circa 500.000 lavoratori subordinati, stagionali e non, in maggioranza provenienti da Paesi extra UE. La legge 91/1992 veniva approvata nel 1992. A seguito della caduta del muro di Berlino, c’era l’urgenza di regolamentare i nuovi flussi migratori provenienti dai Paesi facenti parte dell’ex blocco sovietico, soprattutto dall’ Albania, Romania, Polonia. Con la legge 91/1992 si pensò peraltro di sanare anche il sacrificio di 24 milioni di Italiani emigrati dal 1876 al 1976, riconoscendo ai loro discendenti, figli e nipoti, il diritto di ottenere la cittadinanza italiana secondo il principio dello ius sanguinis. Per quanto concerne coloro che provenivano dai Paesi dell’Est, agli stessi fu data la possibilità di richiedere la cittadinanza dopo una residenza minima in Italia di 4 anni. Andò male invece per i Paesi terzi, extra Eu, per i quali il tempo di residenza in Italia fu raddoppiato, passando da 5 a 10 anni, e la richiesta divenne soggetta alla totale discrezionalità del Ministero degli Interni.

Le varie sanatorie che si sono susseguite hanno solo parzialmente risolto il problema e lasciano irrisolta l’urgenza di riconsiderare la legge in vigore e adattarla al mutare dei tempi.

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Livia Gorini
(11 settembre 2024)

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