Feride Fem Dizdar e Hussein Al-Lami sono due dei giurati che voteranno per decretare il film vincitore della XXX edizione del Medfilm Festival, in programma a Roma dal 7 al 17 novembre.
Entrambi sono iscritti all’Università di Roma La Sapienza, corso di laurea Global Humanities, una laurea che è stata definita un “passaporto per il Mondo”, pensata per gli studenti italiani ed internazionali, con lezioni ed esami tenuti rigorosamente in inglese.
Global Humanities, un corso di laurea internazionale
“GlobalHum” è un percorso universitario che spazia dalle materie umanistiche ai diritti umani, dalla bioetica all’intelligenza artificiale e, soprattutto, non è eurocentrico. GlobalHum non è solo questo: dall’inizio della crisi umanitaria in Afghanistan, nel 2021, l’Università di Roma La Sapienza, tramite Global Humanities,con il supporto dei docenti, insieme ad ARCS culture solidali, si sono attivati per promuovere corridoi universitari, per mettere in salvo centinaia di studenti, in particolare dall’Università di Herat. L’obiettivo di Global Humanities, peraltro, è più ambizioso: far arrivare in Italia anche le famiglie di questi giovani studenti, molti dei quali sono stati bloccati a Kabul.
Feride, cittadina turca, e Hussein, cittadino iracheno hanno scelto questo corsi di laurea. Il loro progetto, o viaggio come lo definisce Feride, non finisce a Roma ma è destinato a proseguire: Cambridge o Madrid per Feride, Lussemburgo per Hussein.
Hussein Al-Lami, l’arrivo a Roma e a Global Hum
Hussein ha 29 anni e sono due anni che segue il corso GlobalHum. Si interessa a tutto ciò che a che fare col sociale e il suo progetto è quello di lavorare con le associazioni umanitarie. Hussein ha deciso di lasciare il suo Paese, l’Iraq, per sempre. Anche per lui, Roma non è che una tappa di un viaggio iniziato 9 anni fa. Hussein ha avuto la possibilità di iscriversi a GlobalHum, lavora e studia. Da piccolo, racconta, “Guardavo molta Tv e qualche volta rimediavo un CD ma non andavo al cinema, in Iraq non è così usuale vedere i film al cinema e non ci sono film stranieri”.
La prima volta che sei stato al cinema?
“Avevo vent’anni e ricordo bene il film che ho visto, era un film indiano con Shah Rukh Khan (un famoso attore indiano)”.
C’è un film preferito? E quale film iracheno consiglieresti ad uno spettatore italiano?
“Non è facile, il cinema italiano ha una lunga tradizione mentre quello iracheno è stato in letargo per decenni e di solito non tratta temi universali, ha il respiro corto, l’obiettivo è raggiungere il pubblico iracheno. Il mio film preferito è “The Platform – Il buco” del 2019 (in un futuro distopico i condannati sono rinchiusi in celle disposte verticalmente, quelli alloggiati alla base sono destinati a morire di fame perché il cibo che viene gettato dall’alto alimenta solo i livelli superiori e i resti sono destinati via via ai piani inferiori), una metafora che rispecchia la divisione in classi della Società. E c’è un film, diretto da un iracheno (Mohamed Al Daradji), “Son of Babylon”,prodotto nel Regno Unito (è la storia di un’anziana donna che con il nipote intraprendono un viaggio in un Iraq straniato, pochi giorni dopo la caduta di Saddam, alla ricerca del padre del ragazzo. Arrivati a Nassirya scoprono che i morti sono stati sepolti in fosse comuni). È un film crudo, di denuncia”.
Pensi di tornare in Iraq? Come ti trovi in Italia?
“Sono nove anni che ho lasciato l’Iraq e non penso di tornare. Probabilmente, andrò in Lussemburgo. A Roma mi trovo bene ma mi sento sempre straniero, parlo abbastanza bene l’italiano ma non fa differenza. Se ci pensi bene il fatto di non sentirsi mai a casa in qualsiasi posto ti trovi è il prezzo che paghi se sei un migrante”
Pensi che il cinema, la cultura possano influenzare la società?
“Assolutamente, i film possono influenzare la gente in modi diversi, smuovono le emozioni e sensibilizzano lo spettatore su determinati argomenti. Però il messaggio più forte che un film può trasmettere è quello dell’amore”
Feride Fem Dizdar dal Liceo Italiano di Istanbul a Roma
Feride è nata in Turchia 22 anni fa. È approdata a Roma 4 anni fa ed è prossima alla laurea. Dopo aver frequentato il Liceo Italiano ad Istanbul, ha scelto di proseguire gli studi in Italia. Avrebbe voluto iscriversi alla Facoltà di Psicologia ma, mancando corsi in lingua inglese, ha deciso di iscriversi al corso GlobHum. Peraltro, non ha abbondonato il progetto di approfondire gli studi di psicologia e non è un caso se uno degli esami che le è più piaciuto è quello “Sullo stress post traumatico dei migranti”. Feride ha le idee chiare, ama fare progetti, ha già fatto richiesta per un master a Madrid. Perché Madrid? “Non c’è una ragione precisa, Madrid fa parte di un mio viaggio personale, sono sicura che mi piacerà”.
Perché hai deciso di proseguire il master in un altro Paese?
“In realtà, dopo quattro anni mi sento ancora straniera, la cosa non mi dispiace, come straniera posso essere un’osservatrice imparziale delle dinamiche sociali italiane. E poi, ripeto, per me questi anni a Roma rappresentano solo una tappa del mio viaggio”
C’è stato un momento in cui hai cominciato ad interessarti al cinema?
“Ero piccola, ho cominciato ad andare al cinema con mia zia, e per me era una festa”.
Noti delle differenze tra il cinema turco e quello italiano? c’è un film turco che consiglieresti di vedere?
“Secondo me il cinema turco è più intenso, emotivamente più coinvolgente. I film italiani sono più leggeri, attenti a non denunciare realtà troppo scomode. Uno dei film italiani che mi è piaciuto è “Perfetti Sconosciuti”, che ha sempre a che fare con la psicologia delle persone. Invece, un film turco che consiglierei di vedere è sicuramente Ayla – La figlia senza nome (una storia realmente accaduta negli anni ’50 durante la guerra in Corea. Un militare turco, di stanza in Corea del Sud, trova una bambina coreana rimasta orfana e cerca di adottarla), mi piacciono molto le storie vere, che emozionano ed hanno anche un messaggio sociale. Il rapporto tra il militare e la bambina è molto coinvolgente”.
Hai mai pensato di lavorare nel cinema?
“Mi piacerebbe moltissimo, è stato il mio sogno fin da bambina. Quando ero al liceo, ad Istanbul, ho interpretato Elena, una delle protagoniste di “Sogno di una notte di mezza estate”. Purtroppo, qui a Roma non vengono messe in scena commedie in lingua inglese e così ho dovuto smettere. Mi piacerebbe andare più spesso al cinema ma, di solito, finisce che resto a casa a guardare le serie Tv, l’ultima è Pasiòn Turca, una miniserie spagnola”.
Livia Gorini
(4 novembre 2024)
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