Chi sono i cosiddetti “scafisti”? Cosa prevede il testo unico sull’immigrazione illegale? Quali sono i risultati raggiunti dalla sua applicazione? Chi sono le vittime? Quali retoriche nasconde? Quali le possibili alternative? A questi e a molti altri aspetti che ruotano attorno all’applicazione dell’Articolo 12, hanno fatto luce i nove relatori del convegno organizzato il 29 ottobre presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre dal titolo “Migrazioni, diritti, criminalizzazione della solidarietà. Maysoon Majidi e le altre storie di diritti negati”.
Maysoon Majidi: “sono una scafista?”
Promosso da Amnesty International, A Buon Diritto Onlus e Ararat, il convegno ha voluto partire dalla recente scarcerazione della giovane attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi, arrestata lo scorso 31 dicembre dopo essere sbarcata sulle coste calabresi proprio a causa dell’applicazione dell’articolo 12 e che ha trascorso gli ultimi dieci mesi in carcere con l’accusa di favoreggiamento illegale dell’immigrazione. Un caso emblematico che ha messo in luce tutte le contraddizioni di quest’articolo, la scorretta gestione del diritto alla difesa ma soprattutto ha rivelato la reale identità di chi viene detenuto, nel caso di Maysoon, una ragazza che si è fatta notare, sull’imbarcazione, per aver protestato con il capitano. Persone accusate di reato di favoreggiamento, che spesso non capiscono neppure le ragioni dell’arresto perché prive di un interprete competente, di una adeguata difesa legale e di un supporto mediatico come, fortunatamente, è successo alla giovane iraniana. “È il caso, per esempio, di El Hadji” ricorda Alice Basaglini, attivista di Baobab Experience, “un ragazzo senegalese al quale sono stati rubati otto anni di vita perché accusato da un uomo, che non era neppure sulla sua imbarcazione, di essere il capitano. Analfabeta, parlava solo mandingo e quindi incapace di capire le accuse e di difendersi, ha tentato due volte il suicidio per una legge che non distingue tra chi guida l’imbarcazione e chi invece da terra organizza e lucra sul viaggio”.
Ma chi sono gli scafisti?
Se Maysoon ha avuto un eco mediatico è grazie alla rete di solidarietà che si è creata attorno al suo caso (Comitato Free Maysoon, Amnesty), ma anche in virtù del suo essere lontana dallo stereotipo dello scafista, in genere identificato come uomo e nero. Da attivista per i diritti civili, prima nel suo paese e poi in Iraq, Maysoon ha saputo portare attenzione al suo caso con scioperi della fame, una lettera indirizzata al Presidente Mattarella, che hanno sensibilizzato l’opinione pubblica ma soprattutto i media, anche sulla scia dell’eco che ha avuto lo scorso anno il movimento iraniano Donne Vita Libertà. “Non è il caso invece per le altre 1216 persone detenute nel 2023 con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”, ricorda Tatiana Montella, avvocata della Clinica Legale. “Esiste purtroppo una retorica dei confini, non solo geografici, che devono identificarci e di un invasore che minaccia di rompere il nostro equilibrio, una retorica costruita attorno ad un capro espiatorio per sottrarci al senso di responsabilità collettiva. Una narrazione che però non viene mai riformulata nel momento in cui le accuse decadono”.
Art.12: la criminalizzazione della solidarietà
L’Art.12 è strutturato in modo tale che al suo interno rientrino tutta una serie di casistiche facilmente strumentalizzabili, come avviene con la criminalizzazione della solidarietà. “Il reato di favoreggiamento criminalizza le condotte di chiunque presti aiuto e rientra in quei reati a consumazione anticipata dove non è necessario il verificarsi dell’evento ma è sufficiente che la cattiva condotta sia connessa all’ingresso illegale”, puntualizza Carlo Caprioglio, sempre di Clinica Legale. Possono venire accusate le ONG che operano nel Mediterraneo, i pescherecci privati o semplicemente chi aiuti, con gesti individuali come l’acquisto di un biglietto del treno, un migrante. L’Art. 12 dimostra come il bene giuridico prevalente è la tutela delle frontiere, non delle persone e dimostra come si ricorra ad un uso sempre maggiore del diritto penale per governare fenomeni sociali complessi e altamente conflittuali. A tale proposito, vengono riportati alcuni numeri, tutti sottostimati per la difficoltà ad accedere ai dati: “negli ultimi dieci anni sono stati incriminati 3200 migranti, uno ogni 100 persone sbarcate sulle coste italiane. Secondo la Commissione Europea, dal 2008 al 2016 sono state 81.000 le persone indagate o arrestate per facilitazione dell’immigrazione irregolare e si tratta soprattutto di cittadini stranieri”.
Art.12: la criminalizzazione del diritto
Se quest’articolo colpisse veramente i trafficanti di uomini, il fenomeno migratorio sarebbe diminuito. Al contrario, incoraggia il ricorso a tragitti sempre più pericolosi, non essendoci alternative legali all’ingresso in Europa. “Il diritto d’asilo è fondamentale per lo Stato di diritto europeo, ma i numeri sono bassissimi: dei 3.000.000 che UNHCR ha identificato come aventi diritto, solo 100.000 sono coloro che effettivamente lo ottengono” ricorda Alberto Mallardo di Sea Watch. “L’Italia ha chiuso le frontiere e ora le sta spostando con l’esternalizzazione a Stati Terzi. L’Unione Europea dona migliaia di euro per il pattugliamento delle coste e per la creazione di veri e propri lager fuori dal proprio territorio, come è avvenuto in Albania”. Ciò che si sta verificando è una criminalizzazione del diritto, che mina le basi della nostra democrazia. “Esternalizzare significa togliere dal nostro sguardo l’immagine del migrante, per poterlo presentare come un estraneo, un numero. È invece necessario riportarlo dentro le nostre società, con la sua personale biografia”, ricorda Luigi Manconi della Onlus A Buon Diritto.
Strumentalizzare la solidarietà
Tornare alle singole biografie sembra l’unica arma vincente anche nella costruzione delle difese legali di chi viene accusato e poi rilasciato. L’avvocata Giuseppina Massaiu, di ColtivAZIONE, ricalca proprio questo punto e riporta il caso di alcuni uomini eritrei accusati dall’Art. 12 di aver fornito un aiuto materiale (un posto letto, un cellulare, cibo, biglietti, denaro) a loro compatrioti transitanti in Italia e spesso diretti all’estero e di come questo aiuto sia stato manipolato ed interpretato come favoreggiamento all’immigrazione clandestina: “Durante i sei anni di processo, abbiamo costruito la difesa senza negare i fatti, ma abbiamo spiegato cosa ci fosse dietro a gesti di solidarietà che, in un contesto di migrazione, possono essere strumentalizzati e letti in una chiave differente. Fondamentale è stato escludere il fine di lucro e dimostrare come l’invio di denaro fosse disgiunto dal guadagno”.
Cosa bisognerebbe fare?
Cattive traduzioni, diritto negato alla legittima difesa, poca conoscenza delle dinamiche migratorie, condannano per anni al carcere persone ingiustamente accusate, il più delle volte giovani costretti a prendere in mano il timone per pagarsi la traversata. Un trafficante, che si arricchisce sulla pelle di chi non ha altre alternative, rischierebbe la propria vita mettendosi alla guida di un’imbarcazione fatiscente per attraversare il Mediterraneo? Bisogna ricordare che sono invece individui che scelgono volontariamente di attraversare dei confini, che agiscono un atto politico che non ha nulla a che vedere con il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
L’applicazione dell’Art.12 ha conseguenze anche sul sovraffollamento delle carceri italiane “con un tasso del 133% avendo da pochi giorni superato le 62.000 presenze, che delinea uno scenario molto simile a quello che ha portato il Governo Italiano ad essere condannato per la violazione dell’Art.3 sull’ordinamento penitenziario. Carceri sovraffollate anche per l’uso massiccio della custodia cautelare, dove il 31,8 % è rappresentato da detenuti di origine straniera e dove, nei carceri minorili, il 78% è di origine africana”, ricorda Rachele Stoppa di Antigone.
Natascia Accatino
(2 novembre 2024)
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