”Siamo in piazza per potenziare una forza collettiva partita dal basso e affermare che il patriarcato esiste e continua a ucciderci” afferma Carlotta, attivista di Non Una di Meno in un momento dedicato alla stampa prima che parta il corteo nazionale, trans femminista, per celebrare il 25 novembre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Decine di migliaia di persone arrivate da tutta Italia, sono scese in piazza a Roma e in contemporanea a Palermo.
Non Una di Meno: le voci delle ragazze e dei ragazzi
Mazhda ha 22 anni, indossa l’hijab, il velo che copre il capo e il collo delle donne musulmane. Sembra più piccola della sua età, nasconde metà del viso dietro ad un cartello su cui è scritto in italiano e persiano “Vietare alle donne di lavorare è violenza”. Il viso di Mazhda è segnato dalle esperienze pregresse, la fuga da Kabul, le violenze del regime talebano, la paura. È arrivata in Italia tre anni fa, insieme alla famiglia, tutto grazie ai corridoi universitari organizzati da Pangea, l’organizzazione no profit che oggi è in piazza con lei e che ha portato in salvo in Italia da Kabul, 305 persone fra uomini, donne e bambini. La direttrice di Pangea, Simona Lanzoni è insieme a loro. Mazhda si è iscritta all’Università di Roma Tre e studia per diventare mediatrice culturale, “Non voglio tornare nel mio Paese. Voglio studiare e lavorare in Italia”.
“ Pangea scende ancora in piazza, dopo 20 anni dalla sua esistenza, perché oggi la violenza contro le donne continua ad essere un fenomeno che le uccide e che le ostacola nel vivere una vita libera. Bisognerebbe fare un lavoro culturale con tutti gli uomini, italiani e stranieri, perché non c’è differenza nell’essere uomini, non importa da dove si proviene, l’importante è non essere patriarcato. Il ministro Valditara dovrebbe fare un lavoro serio, chiamando le associazioni anti-violenza, tra cui Pangea, per fare un vero lavoro culturale nelle scuole”. dice la direttrice, insieme alle sue ragazze, dietro lo striscione che le rappresenta.
Seduta ad aspettare la partenza del corteo, c’è Nicol. Ha disegnato delle farfalle variopinte agli angoli degli occhi, ha un sorriso disarmante, è nata in Italia da padre ecuadoregno e madre peruviana, ha 24 anni e frequenta l’Università. “Sono anni che non manco all’appuntamento del corteo femminista e transfemminista di Non una di meno”. La presa di coscienza di Nicol inizia fra le mura domestiche “Mio padre è un violento, mia madre lo accetta. Nel Nostro paese, il Perù, è così, l’uomo ha un ruolo nella famiglia e nella società che è predominante, La donna, da parte sua, è convinta che da sola non ce la può fare. Così è anche per mia madre, le ho detto molte volte di lasciare mio padre, di andarcene ma lei non accetta l’idea di poter vivere da sola. Non vedo l’ora di laurearmi ed andarmene da casa, io sono convinta di potercela fare anche senza un maschio accanto”.
“Se da un punto di vista giuridico forse, rispetto al passato, si sono raggiunti dei risultati, la battaglia per uscire fuori da una visione patriarcale del rapporto tra i sessi resta sempre culturale e va contrastato sul piano dell’educazione” afferma Davide, 30 anni “i giovani della mia generazione non sono maschilisti come una volta ma ascolto, a volte, discorsi che non mi piacciono” poi, parlando dei suoi genitori “ Io mi sento abbastanza lontano dal modo di pensare di mio padre e dalla sua generazione, anche se mio padre è stato giovane quando si sono formati i movimenti femministi, non credo che lui abbia superato la mentalità in cui si è generato il patriarcato” dice riflettendo “Io ho abbastanza imbarazzo a parlare di questi concetti, voglio solo stare in ascolto, voglio imparare dalle mie coetanee; sento di voler esserci e di voler sostenere la lotta delle donne “ conclude infine con convinzione.
Non Una di Meno: il corteo
Ad aprire il corteo gli striscioni dei centri anti violenza: Be Free, Differenza Donna, Lucha y Siesta, Giuridicamente Libera, seguono quelli della Casa Internazionale delle Donne, di Scosse della Rete degli studenti medi, di Aracne, Cgil e Nonna Roma. Sono presenti anche alcuni esponenti del centro sinistra ma senza alcun simbolo di partito. La manifestazione attraversa il centro da Piazzale Ostiense a Piazza Vittorio, al viola e al fucsia del corteo trans femminista si mescolano i colori della bandiera della Palestina. Arrivati davanti alla sede della FAO sale il rumore dei mazzi di chiavi, usati non solo per richiamare il fatto che l’assassino ha spesso le chiavi di casa ma anche contro il «silenzio complice dei governi occidentali sul massacro della popolazione palestinese nel quale le donne sono un bersaglio privilegiato» dicono le attiviste dal carro che precede i manifestanti, rivestito da uno striscione che riporta una frase di Gisele Pelicot, la donna francese sopravvissuta a uno stupro perpetrato da suo marito insieme a decine di altri uomini: “La vergogna deve cambiare lato”. La seconda tappa significativa è al Colosseo dove viene srotolato un enorme elenco con i nomi delle 106 vittime di femminicidio, lesbicidio e transicidio dell’ultimo anno.
Non Una di Meno: parlano le attiviste
“Dal 2020, Non Una di meno ha iniziato a fare un’analisi obiettiva dei dati, abbiamo un osservatorio che si occupa di monitorare femminicidi, lesbicidi e trans*cidi, e di cercare di monitorare tutti i dati che normalmente non arrivano all’informazione. Abbiamo notato quanto sia parziale e faziosa l’informazione: ad esempio, i femminicidi di donne anziane, per mano dei loro mariti, vengono derubricati per lo più come atti di grazia, così come mettere in evidenza solo alcuni femminicidi perché i protagonisti sono persone non italiane, per orientare un’opinione pubblica che parte da dati sbagliati” continua l’attivista mentre le donne ma anche uomini, ragazzi e bambini continuano ad arrivare e a riempire la piazza colorandola di rosa.
“Il patriarcato esiste e lo vediamo anche nei numeri:106 femminicidi in un anno, sono soltanto la punta di un iceberg di una violenza che si perpetra nei posti di lavoro, nelle scuole, in ogni ambito della nostra esistenza” E’ la risposta che arriva dal movimento e dalla piazza alle esternazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, che pochi giorni fa alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin ha parlato di un Patriarcato che non esiste più e di un incremento dei fenomeni di violenza sessuale legato anche a forme di marginalità e di devianza discendenti da un’immigrazione illegale.
Poi arriva l’appello alla stampa “Chiediamo un’informazione corretta perché altrimenti non fate altro che reiterare la violenza e fate in modo che questa violenza si amplifichi”.
L’XI Rapporto Eures: 99 femminicidi nel 2024
Secondo quanto emerge dall’XI Rapporto sul femminicidio in Italia, dell’Istituto di ricerca EURES, diffuso in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sono 99 le donne uccise in Italia tra il 1° gennaio e il 18 novembre 2024, confermando le dimensioni strutturali di un fenomeno che conta circa una vittima femminile di omicidio ogni tre giorni. Significativo il dato relativo alle vittime straniere che risulta in forte crescita, arrivando a rappresentare il 24,2% delle vittime totali. Diminuisce invece del 21,1% il numero delle vittime italiane, passate da 95 a 75. Il rapporto segnala, inoltre, come l’aumento delle vittime straniere si accompagni ad una forte diminuzione degli autori di femminicidio di nazionalità non italiana, passati da 23 a 16,mentre rimane stabile il numero degli autori italiani, 83 nei primi 11 mesi del 2023 e del 2024. Ciò significa che, mentre il 45,8% dei femminicidi con vittime straniere sono commessi da autori italiani, soltanto nel 4% dei casi le vittime di femminicidio italiane sono state uccise da un autore straniero.
testo di Nadia Luminati e Livia Gorini foto di Alessandro Guarino
(24 novembre 2024)
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