Il CPR in Albania: un parcheggio per migranti da rimpatriare

Il governo italiano, nel CdM del 28 marzo, ha approvato un decreto legge, composto da un solo articolo, intervenendo non sul Protocollo Italia-Albania ma sulla sua ratifica, che viene modificata ad hoc per consentire di trasferire nel centro di trattenimento, ai fini dell’espulsione, già esistente a Gjadër ma vuoto da mesi, i migranti trattenuti nei CPR italiani, già destinatari di un provvedimento di espulsione. Il nuovo decreto stabilisce anche che il trasferimento non fa venire meno il titolo di trattenimento, non produce effetti sulla procedura, né richiede una nuova convalida del giudice di Pace.

Il governo ha anche approvato la relazione al Parlamento con la validazione annuale dell’elenco dei 19 Paesi di origine dei migranti da ritenersi “sicuri, già aggiornati nel 2024, stavolta con una legge nazionale. Si tratta di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia.

La delocalizzazione dei CPR e la fine della garanzia dei diritti: parla Gianfranco Schiavone

“Nel testo della legge di ratifica del Protocollo Italia-Albania, all’art. 3, si precisava, in modo inequivocabile, che i centri in Albania erano dedicati esclusivamente alle persone soccorse in mare, in acque internazionali e che sarebbe stata applicata la procedura accelerata di frontiera all’esame delle loro richieste di protezione internazionale.” Esordisce Gianfranco Schiavone, giurista e studioso di migrazioni internazionali “  non mi soffermo  sui profili di incostituzionalità di questa procedura, perché le vicende passate che hanno riguardato i centri albanesi sono ormai note; come sappiamo, una delle strutture era già un CPR ma era destinata al trattenimento delle persone le cui domande d’asilo erano state esaminate in Albania e respinte definitivamente, lì trattenute in attesa di rimpatrio. Il Governo ora cambia completamente approccio perché sceglie di portarci persone espulse che sono già in Italia. Questo cambiamento pone un interrogativo molto serio: può uno stato dell’Unione Europea decidere di creare una struttura di trattenimento amministrativo  per eseguire l’allontanamento coattivo di uno straniero, ubicando questa struttura al di fuori del proprio territorio? “ Si chiede Schiavone. “La questione ha un’evidente rilievo giuridico ma anche un enorme rilievo etico-sociale e politico, perché significherebbe ammettere la possibilità che uno stato dell’UE crei, in qualunque parte del mondo, delle strutture di detenzione che gestisce in maniera delocalizzata. Oggi si è scelta l’ Albania ma nulla toglie che un domani potrebbe essere in Kazakistan o in Nuova Guinea“ afferma provocatoriamente il giurista, “Questa scelta ha a che vedere con la tutela dei diritti dei trattenuti. La domanda principale è se, al di fuori dell’UE, in un paese terzo vicino o lontano che sia, sia veramente possibile applicare le normative italiane e renderle effettive, cioè è possibile che queste persone abbiano accesso reale alle garanzie dovute a norma di legge?” continua il giurista “ Il diritto dei migranti di vedere il proprio avvocato, il diritto di incontrare i familiari, il diritto delle associazioni di poter entrare a visitare i centri, il diritto del garante delle persone private della libertà di entrare in qualunque momento e in qualunque struttura sotto la giurisdizione italiana. La risposta è inevitabilmente no.” conclude Schiavone. “Già, come sappiamo, i centri di Permanenza e Rimpatrio collocati in Italia offrono garanzie deboli nei confronti delle persone,  ora il sistema può divenire totalmente squilibrato. Questi migranti rinchiusi in una parte sperduta dell’Albania diverrebbero persone senza tutela: solo persone parcheggiate in attesa di rimpatrio.” sottolinea Schiavone, con una certa amarezza.

Il CPR in Albania in contrasto con la direttiva Rimpatri

“La direttiva Europea 115 del 2008 sancisce l’obbligatorietà dell’esercizio di questi diritti, e non parla mai della possibilità di allocare una struttura per il rimpatrio all’estero, anzi definisce il rimpatrio come un allontanamento dal territorio degli Stati che si conclude nel paese d’origine. Prevede, per dire il vero, anche un’ipotesi che un paese terzo, con il quale ci sia un accordo, decida di prendersi cittadini non propri e ne diventi in qualche maniera responsabile di rimpatriarli o di concedergli di rimanere sul proprio territorio. Ma è un’ipotesi che non si verifica mai e ben diversa da quella che si verificherebbe, se dovesse trovare attuazione questo Decreto legge . L’accordo con l’Albania diverrebbe un accordo di deposito. Stiamo rivendicando il diritto di deposito in un paese terzo, di merce umana.” insiste Gianfranco Schiavone.
“Anche presupponendo che la procedura di rimpatrio abbia un esito positivo, la persona dall’Albania verrà riportata in Italia e dall’Italia verrà eseguito poi il rimpatrio verso il paese d’origine. Non possono essere rimpatriati dall’Albania, non possono essere rimpatriati in Albania. Il governo Italiano ritiene che il diritto dell’UE si possa interpretare, che il sistema di garanzie possa essere traslato come le procedure, possa essere equivalente. Questa equivalenza è invece a mio avviso impossibile” sostiene con sicurezza il giurista,  “non abbiamo precedenti giurisprudenziali, perché sono situazioni inedite e nuove che nessuno ha mai affrontato, però ritengo che il diritto vigente dell’UE non consenta questa operazione governativa” sottolinea ancora, “L’intero progetto dei centri in Albania era nato con una finalità politica, assolutamente biasimevole ma del tutto diversa rispetto a quella prospettata dal nuovo decreto. Il governo si proponeva di cambiare lo scenario del sistema asilo, di delocalizzare all’estero la procedura dell’esame delle domande, ora l’argomento è di più basso profilo: si tratta solo di un CPR in più o in meno per alloggiare, al momento non più di 50 persone.” Poi, rimarcando l’inutilità dell’intera operazione, “Mi sembra uno scenario imbarazzante, oltre che enormemente costoso, un tentativo di recuperare la credibilità persa nei mesi precedenti, che non farà cambiare minimamente il quadro generale della gestione delle migrazioni in Italia. Sa benissimo che la politica dei rimpatri, al di là che ci sia o meno il CPR in Albania, rimane identica nei numeri che sono del tutto inefficaci, rispetto agli obiettivi dichiarati, dal momento che non riusciamo a rimpatriare nemmeno il 50% delle persone che tratteniamo. Il governo sta tentando di coprire il fallimento gigantesco del protocollo Italia-Albania con un’operazione di dubbia legittimità.”

Nadia Luminati
(30 marzo 2025)

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