Le notizie date dai principali media sui morti e dispersi nel Mediterraneo in genere si fermano ai numeri. Ma, oltre al conteggio di cadaveri e scomparsi, c’è un mondo di affetti e legami che ha il diritto di conoscere la sorte dei propri cari.

Il diritto all’identità
Come racconta Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre, organizzazione non profit nata dopo il naufragio del 2013, “dal 2014 ogni anno continuavano a venire a Lampedusa i familiari delle vittime del naufragio, facendo il giro delle prefetture alla ricerca di notizie, perché finché non hanno la certezza sulla sorte dei loro cari non possono trovare pace (Leggi: Il rispetto per i migranti morti).
La ricerca ha anche aspetti giuridici. C’è per esempio il caso di una donna che dal campo profughi in Etiopia vorrebbe andare in Australia, dove ha parenti, ma, per ottenere il visto umanitario, ha bisogno di un certificato di morte del marito disperso nel naufragio. Oppure c’è un ragazzo che a due anni era partito con il padre, disperso, e che per poter avere una vita normale ha anch’egli bisogno del certificato di morte; quindi ritorna a Lampedusa con la speranza di averlo.
Inoltre ogni Comune si comporta in modo diverso: per esempio Agrigento, Comune più organizzato, aveva maggiori possibilità di dare informazioni perché aveva sistemato i corpi in celle frigorifere; se invece i naufraghi si trovavano lungo le isole, non si riusciva a sapere nulla. Quindi i migranti anche da morti subiscono ingiustizie.”
Il Comitato 3 ottobre è da allora impegnato non solo nel recupero di tutti i corpi delle vittime in mare, nel dar loro identità e degna sepoltura, ma anche nell’offrire ai familiari la possibilità di ricongiungersi con le salme dei loro cari. Ogni anno il 3 ottobre organizza una commemorazione alla quale partecipano anche loro, per condividere e onorare la memoria del proprio congiunto o con la speranza di averne notizie.
Serve una normativa europea
Nel decennio 2014-2023, secondo i dati del Governo, sono morti o dispersi almeno 29.000 migranti durante la traversata del Mediterraneo centrale. Ma si tratta di una stima, perché la grande maggioranza di loro è tuttora sconosciuta, sia nel numero effettivo sia nell’identità.
“Avere una normativa a livello europeo – continua Tareke Brhane – è indispensabile perché si tratta non solo di esseri umani che hanno perso la vita, ma anche delle loro famiglie, per le quali la mancata identificazione ha effetti di portata enorme sul loro benessere psicologico, oltre a ripercussioni di tipo burocratico.
Noi del Comitato – insieme all’Asgi, al Labanof, fondato da Cristina Cattaneo e da Marco Grandi, e ad altre agenzie umanitarie – abbiamo deciso di presentare al Parlamento Europeo una proposta di legge per istituire in ogni Stato della UE un database con le informazioni sui cadaveri non identificati e sui migranti scomparsi. Questo richiede l’approvazione di un’apposita normativa valida in tutti gli Stati”.
QUI il testo della petizione
Il lavoro con le scuole: “I semi di Lampedusa”
“Dal 2020 organizziamo gruppi di studenti provenienti da ogni Paese europeo per andare al Parlamento europeo per due giorni: il primo è dedicato a un incontro di tipo istituzionale, nell’altro, destinato alla condivisione e al confronto, gli studenti diventano protagonisti di una tavola rotonda.
In 11 anni non si è ottenuto alcun risultato concreto, ma noi continuiamo nel nostro impegno.
Dall’8 all’11 aprile andremo a Bruxelles nell’ambito del progetto “Semi di Lampedusa” con una delegazione di studenti, docenti e dirigente scolastico dell’Istituto omnicomprensivo Luigi Pirandello di Lampedusa e Linosa.
Luciana Scarcia
(7 aprile 2025)
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