Le migrazioni e le cause che le determinano continuano a essere viste come un problema specifico aggiuntivo anziché un aspetto strutturale della complessità, direttamente coinvolto dalle scelte per il futuro del pianeta.
Questa scarsa attenzione, secondo Vittorio Cogliati Dezza, già presidente di Legambiente e membro del Forum Diseguaglianze e Diversità, deriva da un vizio genetico, quello di considerare il fenomeno migratorio in una logica emergenziale, “per cui quando non ci sono barconi che affondano rimane dietro le quinte. La stessa logica che ha trasformato Mare nostrum in Frontex, un’operazione militare di difesa dei confini europei. Una logica sponsorizzata dal sovranismo, che ha roccaforti in alcuni Paesi europei e partiti. C’è stato un disegno strategico di una parte politica a usare l’immigrazione solo come emergenza per poter alzare la tensione sociale, la paura e quindi chiedere interventi eccezionali e anche anticostituzionali, come i Decreti Salvini. A questo si aggiunge la mancanza di lungimiranza politica”.
Cosa serve per superare la logica emergenziale in cui sono inquadrate le migrazioni?
“Riconoscere che il cambiamento climatico è tra le cause dell’impoverimento delle popolazioni e delle migrazioni comporterebbe delle modifiche alle legislazioni dei vari Paesi tali da aumentare l’area degli aventi diritto allo status di rifugiato, includendo anche i migranti climatici.
Questa consapevolezza è il presupposto per capire che le migrazioni sono una dimensione strutturale di questa epoca. E costituiscono un termometro della capacità di visione del futuro. Ma c’è ancora molta strada da fare, come dimostra il fatto che la gestione dell’immigrazione è ancora del Ministero dell’Interno anziché di quello del Lavoro, proposta contenuta nella campagna “Ero straniero” di due anni fa, che avrebbe avuto il significato di operare un importante cambio di passo dall’ottica dell’emergenza alla dimensione strutturale.
Oggi la pandemia in atto ha accelerato la consapevolezza del parallelismo tra virus, cambiamento climatico e aumento delle diseguaglianze. Con il programma NextGenerationEU, l’Europa sta praticando un’inversione di rotta, in linea con l’Agenda 2030 dell’ONU. Ma l’Italia resta indietro nella capacità di parlare di futuro: abbiamo una sommatoria di progetti con, tutt’al più, le aree di intervento, senza però la bussola della direzione verso la quale si intende andare”.
Le proposte per un nuovo modello di sviluppo entro il 2030
Nell’intento di farli recepire dal Governo nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso il Recovery Fund, il Forum Diseguaglianze e Diversità e Legambiente hanno delineato la direzione del cambiamento e definito 10 obiettivi da raggiungere entro il 2030, tra i quali:
- trasformazione industriale,
- fonti d’energia rinnovabili,
- riduzione dei consumi energetici,
- economia circolare,
- modello agroecologico e altri.
Analoghe proposte ha presentato Fridaysforfuture con la campagna “Ritorno al futuro”. Ma l’elaborazione di proposte specifiche per le zone più coinvolte dai cambiamenti climatici e da sfollamenti o emigrazioni risulta ancora vaga e generica.
Tra le proposte verso un modello di sviluppo sostenibile non sembra trovare spazio l’elaborazione di soluzioni specifiche per le zone del mondo più colpite da cambiamenti climatici, sfollamenti o emigrazioni. È così?
“L’Accordo di Parigi, firmato nel dicembre 2015 alla fine della COP21, l’organo della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, prevedeva che i Paesi più ricchi, maggiori responsabili delle emissioni di CO2, finanziassero azioni di adattamento al cambiamento climatico nei Paesi più poveri. Queste politiche di adattamento non sono mai state avviate.
Del resto, le misure di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico pensate per i Paesi più sviluppati hanno poco senso in quelli più poveri, che producono pochissima CO2. E l’installazione di pannelli solari o interventi di riforestazione avrebbero poca efficacia nel ridurre i flussi migratori, anzi al contrario, perché sappiamo che si emigra soprattutto da Paesi con un reddito medio pro-capite tra i 3-5000 dollari annui, non poverissimi dunque.
Però ci sono alcune proposte praticabili con effetti a breve termine.
Per contrastare la desertificazione:
- la disponibilità di energia elettrica da fotovoltaico consentirebbe l’attivazione di pozzi per l’irrigazione che ricaverebbero l’acqua che si trova sempre più in profondità;
- le nuove tecnologie nei sistemi di irrigazione, come quella a goccia, farebbero gestire meglio le scarse risorse idriche. E questa è una tecnologia esportabile;
- la riforestazione che riduce l’evaporazione del suolo è un’altra soluzione, come già previsto da un programma del Parlamento europeo relativo alla zona a sud del Sahara.
Analogamente la ricerca agraria di alternative agli allevamenti intensivi, massimi responsabili di emissioni di CO2, costituisce un patrimonio di conoscenze e tecnologie applicabili anche laddove si praticano metodi arcaici di allevamento per migliorare la resa.
Più complicato è rendere un territorio resistente a catastrofi climatiche perché serve un rinforzo del sistema idrico di superficie.
In ogni caso bisogna uscire dall’idea che si possa agire solo su un aspetto, è indispensabile un’ottica di sistema”.
I cambiamenti si realizzano quando crescono conoscenze e sensibilità. Esistono in Europa e Italia le condizioni culturali per una svolta?
“Ci sono fattori che spingono all’ottimismo: innanzitutto il cambiamento di segno della politica europea con la NextGenerationEU; inoltre l’emergenza sanitaria ha rivelato la necessità di invertire la rotta nel rapporto pubblico/privato e ha reso evidente l’esigenza di ridare spessore e profilo alla Pubblica Amministrazione.
Ma ci sono anche fattori di pessimismo sia per l’incapacità della politica italiana di indicare una visione di futuro e, in vista di quel traguardo, intervenire sul presente sia per una cultura immanentistica che spinge alla ricerca della massimizzazione del profitto immediato”.
Le trasformazioni del modello di sviluppo potrebbero determinare la convergenza di obiettivi tra immigrati e italiani?
“Nel breve periodo no, perché aumentano le tendenze già in atto oggi, compreso l’aumento dei flussi migratori. Tuttavia in prospettiva, un nuovo ciclo economico produrrà sicuramente nuovi posti di lavoro per italiani e stranieri, di cui ci sarà più bisogno, e consentirà risparmio di spesa pubblica.”
Luciana Scarcia
9 dicembre 2020
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