Lassù qualcosa si muove. In questi giorni i quotidiani nazionali hanno cominciato a parlare dei migranti in modo diverso, anche se per ora solo nelle pagine degli spettacoli. Il merito va alle storie raccontate in alcuni film selezionati nelle sezioni della 68 Mostra d’arte cinematografica in corso in questi giorni al Lido di Venezia.
L’idea. Lasciamo la parola agli autori delle due pellicole presentate lunedì: Emanuele Crialese che ha commosso il pubblico con Terraferma “Nelle mie storie emerge evidente la mia ossessione per il movimento, il viaggio. Qui sono partito dall’idea di straniero: la condizione di straniero è costitutiva di ogni essere umano, di ogni luogo e tempo. A nessun uomo può essere negato il diritto di poter cercare altrove un senso, un rimedio al proprio destino”. Per Andrea Segre Io sono Li nasce da due esigenze: la necessità di trovare in una storia, allo stesso tempo realistica e metaforica, il modo per parlare del rapporto tra individuo e identità culturale, in un mondo che tende sempre più a creare occasioni di contaminazione e di crisi identitaria. In secondo luogo volevo raccontare due luoghi importanti della mia vita e emblematici nell’Italia di oggi: le periferie multietniche di Roma e il Veneto, una regione che ha avuto una crescita economica rapidissima, passando in pochi anni da terra di emigrazione a terra di immigrazione”.
Le storie.Nell’agosto 2009 un barcone alla deriva da 21 giorni con 78 persone
a bordo fu soccorso, solo 5 migranti erano ancora vivi, tra loro una donna: Timnit, da lei ha preso il via Terraferma. Su un altro mare Andrea Segre ha trovato spunto per il suo film “fui colpito di scorgere in una osteria veneta tradizionale una donna cinese, una presenza estranea a quei luoghi Quale genere di rapporti avrebbe potuto instaurare in una regione come la mia, così poco abituata ai cambiamenti? Sono partito da questa domanda per cercare di immaginare la sua vita”.
Realtà o finzione. “Racconto una realtà che abbiamo davanti quotidianamente, ma senza intenti documentaristici, piuttosto trasformandola in una dimensione quasi di favola, avulsa da tempo e luoghi reali. Una fiaba che punti al cuore e alla pancia del pubblico, lo spettatore ideale di Terraferma è un bambino di sette anni”. Andrea Segre non rinnega il suo passato “ho voluto rispettare modi e stili conosciuti nel cinema-documentario, lavorando anche con attori non professionisti e scegliendo sempre location del mondo reale. Il film è un punto di sintesi del mio percorso come regista di documentari. Con ZaLab abbiamo prodotto, negli anni, documentari e laboratori di video partecipativo in contesti interculturali e di marginalità sociale. I temi trattati sono stati le migrazioni verso l’Europa in A metà, A sud di Lampedusa, Come un uomo sulla terra, Il sangue verde e il territorio sociale e geografico del Veneto da Marghera Canale Nord, a Pescatori a Chioggia fino a La mal’ombra”.
Clandestino o migrante. “Con Terraferma non pretendo di dare risposte, ma sollevare riflessioni, interrogativi. Mi rifiuto di chiamare clandestino chi arriva sulle nostre coste, spesso in fuga da paesi disastrati o in guerra, è un migrante, che facciamo diventare clandestino imprigionandolo come fosse un criminale”.
Irene Ricciardelli
(Venezia Lido 6 settembre 2011)