Nei prossimi giorni si voterà per rinnovare il Parlamento europeo: in totale verranno eletti 720 eurodeputati, quarantotto dei quali saranno nominati membri della Comagri, ovvero della Commissione parlamentare che si occupa di agricoltura. E’ qui che viene analizzato nel dettaglio ogni dossier agricolo prima di venire adottato dall’intero Parlamento Europeo. Sicuramente la nuova Politica Agricola Comune, la Pac 2028-2034, sarà uno degli argomenti principali, anche perché costituisce il capitolo di spesa più importante dell’intero bilancio dell’Unione Europea. Inoltre, a fronte dell’instabilità dello scenario internazionale, la sicurezza alimentare è tornata ad essere un requisito strategico.
La futura Pac dovrà confrontarsi soprattutto con le principali critiche mosse nei confronti di quella attuale, portate alla ribalta della cronaca, nei mesi scorsi, da migliaia di agricoltori europei che hanno invaso le piazze di molti paesi europei.
È di oggi, 4 giugno, la notizia che gli agricoltori sono tornati a manifestare a Bruxelles, cinquemila sono i mezzi agricoli pronti a invadere la capitale europea, la manifestazione è guidata da partiti dell’ultradestra populista e anti-Ue, mentre le organizzazioni storiche del settore, come Confindustria e Coldiretti, si sono dissociate dalla protesta.
“Siamo alla vigilia delle elezioni europee: un’occasione per riportare l’agricoltura al centro dell’UE. Guardiamo avanti, non fermiamoci qui: insieme costruiamo il modello agricolo che ci porta al futuro attraverso il dialogo aperto, l’ascolto, l’attenzione al territorio”, sono le parole di Massimiliano Giansanti, rieletto da pochi giorni alla presidenza di Confagricoltura, una della più antiche organizzazioni professionali agricole, per il prossimo quadriennio”. Evidenzia Confagricoltura, che le iniziative della UE per la lotta al cambiamento climatico devono essere inquadrate nel contesto globale. Stando ai dati della Commissione, le emissioni inquinanti dell’Unione incidono per il 7% sul totale mondiale. “Migliorare la sostenibilità ambientale è dunque possibile, anche senza divieti e irrealistiche imposizioni a carico delle imprese” conclude Confagricoltura. Nel Manifesto che la Confederazione ha elaborato, contenente le istanze portate avanti dagli agricoltori in questi anni, si rimarca la necessità di un’agricoltura europea più competitiva, più sostenibile, più innovativa, più solida e più attrattiva, l’obiettivo è una profonda revisione della PAC e delle modalità operative del “Green Deal”.
L’agricoltura: un pilastro dell’Unione europea
L’agricoltura è sicuramente un pilastro dell’Unione Europea, nonché una delle più importanti voci di bilancio, visto che l’attuale PAC 2023-2027 assorbe un budget di 387 miliardi di euro. È quindi scontato che l’argomento agricoltura sia presente nei programmi elettorali dei principali gruppi europei nonché dei partiti italiani, in vista delle elezioni del 6-9 giugno. Anche perché, come molti hanno già sottolineato, l’agricoltura oltre a rappresentare solo l’1,4% del PIL dell’UE e il 4,2% dei posti di lavoro, genera anche il 14,3% delle emissioni di gas serra. “La Pac attualmente in vigore, relativa al periodo 2023-27, sull’onda del forte impegno ambientalista della Commissione Von der Leyen scandito dal Green Deal e dalla strategia Farm to fork, è diventata meno “agricola”, più “ambientale” e più selettiva in relazione allo status e ai comportamenti dei beneficiari. Tale “inverdimento” della Pac è tuttavia avvenuto in modo maldestro e contraddittorio, risultando particolarmente indigesto per gli agricoltori, che percepiscono la Pac come una politica meno generosa, molto più complessa e quasi “nemica”, proprio sul fronte dei vincoli ambientali.” spiega Fabrizio De Filippis, uno dei massimi esperti italiani di Economia e Politica Agraria e di PAC .
L’agricoltura e la dialettica ambientalista: parla Fabrizio De Filippis
Nei mesi scorsi abbiamo sentito parlare della “ rivolta dei Trattori”, quali sono le cause della rivolta e quali le contraddizioni della contrapposizione tra agricoltura e ambiente?
“Va premesso che l’agricoltura in generale è un settore difficile, dove lavorare costa tanta fatica. È un settore che ha un grande problema di mercato perché, come dicevano gli economisti nord americani degli anni ’60, gli agricoltori si trovano stretti in una specie di tenaglia: a monte hanno settori da cui acquistano i mezzi tecnici e le materie prime, che utilizzano per il processo produttivo, a prezzi che sono determinati da monopoli o da oligopoli, le imprese chimiche e le imprese meccaniche. A valle, gli acquirenti dei prodotti agricoli, lungo la filiera alimentare, sono soggetti che hanno molto più potere di mercato degli agricoltori, quali l’industria di trasformazione e soprattutto la grande distribuzione. Quindi gli agricoltori si trovano tra due fuochi e, lungo la filiera alimentare, la loro debolezza somiglia un po’ a quella dei consumatori, con i quali condividono il ruolo di anelli deboli di questa filiera.” spiega De Filippis “L’agricoltura nei paesi sviluppati è da sempre un settore protetto, in ragione di questa sua debolezza e del fatto di essere un settore molto importante perché produce cibo, il che giustifica un intervento pubblico in favore dell’agricoltura.”
De Filippis prosegue chiarendo che a suo avviso “La protesta dei trattori è stata, un fatto per molti versi importante, di cui alcuni aspetti vanno chiariti e demistificati, anche perché, da parti contrapposte ci sono state critiche, a volte frettolose o sbagliate. La situazione, sotto gli occhi di tutti, è di grande turbolenza internazionale, rispetto alla quale gli agricoltori sono particolarmente vulnerabili: prezzi agricoli impazziti, situazione di grande incertezza, ma quando i prezzi aumentano, chi guadagna non è mai l’agricoltore. Un altro aspetto comprensibile della protesta è che il sistema di intervento pubblico, a cui gli agricoltori europei sono abituati, la PAC, ha avuto, negli ultimi anni, una svolta fortemente orientata dalle istanze ambientaliste che, anche per come è stata gestita, è risultata sgradita agli agricoltori. “Il Green Deal,”precisa De Filippis “il programma con il quale la Commissione europea ha adottato una serie di proposte per trasformare le politiche dell’UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità, è stata la cifra più importante dell’agenda politica della presidenza di Von der Leyen ma gli agricoltori la hanno percepita come un problema e hanno avvertito le contraddizioni di una politica che, oltre a perseguire obiettivi economico-sociali come il sostegno all’agricoltura, vuole anche rispettare vincoli di natura ambientale molto rigidi. È aumentata la regolamentazione, l’accesso ai sussidi è divenuto più difficile, ma realizzare politiche selettive che siano anche agili, efficienti e funzionanti è terribilmente difficile.“ De Filippis continua “Gli agricoltori vivono la politica ambientale come qualcosa di estraneo. Per esempio, il fatto di tenere a riposo e non coltivare il 4% delle proprie superfici, uno dei motivi della protesta, è un provvedimento che che può avere un senso sotto il profilo ambientalistico, ma risulta difficile da spiegare a chi coltiva la terra. Il Green Deal ha avuto il grande difetto di non essere stato scritto insieme agli agricoltori, che sono i soggetti che lo dovrebbero applicare, invece è stato imposto. Inoltre non è stato scritto dal Commissario dell’agricoltura, bensì dal vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, all’epoca Commissario per l’ambiente che ha fatto un disegno ambientale ignorando il contesto a cui andava applicato calandolo dall’alto. Gli agricoltori che si sentono i veri custodi dell’ambiente sotto il profilo della gestione delle risorse naturali, perché ci lavorano e sono abituati anche, nel loro interesse, a trattarle bene, si sono sentiti imporre dei condizionamenti che non hanno capito perché non gli sono stati spiegati.”
La transizione ecologica è un obiettivo sacrosanto ma deve essere assolutamente declinato insieme agli agricoltori, altrimenti non riesce” ripete convinto De Filippis. “Ci vuole tempo, progressività e partecipazione dei protagonisti. Questo aspetto demistifica la lettura che è stata fatta delle proteste dei trattori, sia da parte dei media, che dalle forze politiche, sia di destra che di sinistra. La destra e i partiti populisti hanno subito fatto propria l’istanza antiambientalista, sostenendo le richieste di alcuni capi della protesta, la sinistra ha invece fatto fatica a capire l’aspetto genuinamente popolare che c’è nella protesta degli agricoltori ed anche la stampa e in genere i media hanno inizialmente demonizzato la rivolta”.
Cosa è stato fatto per venire incontro alle richieste degli agricoltori?
“Qualcosa è stato fatto, forse la Commissione europea ha un po’ esagerato nel rispondere alla protesta, concedendo una serie di deroghe ad alcuni vincoli ambientali rigidi, ma anche abbastanza inutili. Credo che abbia fatto bene, ma è risultato sbagliato il messaggio metodologico: ha messo una toppa, mentre avrebbe dovuto sedersi intorno ad un tavolo con gli agricoltori per riscrivere insieme queste regole. Avrebbe dovuto coinvolgere le grandi organizzazioni professionali come la Coldiretti o l’organizzazione degli agricoltori francesi, che ovviamente sono portatori d’interesse, ma che conoscono la realtà e i modi con cui gestirla. Grazie ai provvedimenti della Commissione” continua De Filippis, “ e a un miglior andamento dei prezzi dei prodotti agricoli, la protesta è rientrata, ma rimane il fatto che l’agricoltura deve fare necessariamente i conti con la transazione ecologica, in un percorso che va concordato su un tavolo negoziale molto più articolato e complesso. Quando si fanno politiche selettive, tutto diventa più difficile, se si eroga un sussidio e basta non ci sono problemi, ma se si condiziona l’erogazione di un sussidio ad una serie di comportamenti diventa tutto più difficile. Bisogna stare attenti a non far apparire le politiche ambientali come un bene di lusso, una roba per ricchi, in un certo senso” dice ancora, un po’ provocatoriamente, il professore. “Considerazioni analoghe valgono anche per la cosiddetta Agenda 20-30 delle Nazioni Unite che ha fissato i 10 obiettivi da raggiungere. Gli obiettivi sono spesso conflittuali, perché difendere l’ambiente, almeno nel breve periodo, può generare disuguaglianza e povertà. Vedendo il lato positivo, credo che un’area del globo evoluta come l’U.E. abbia tutta la tradizione culturale e la capacità di impostare un progetto condiviso che coniughi aspetti ambientali, sociali e produttivi. Ogni cambiamento radicale delle proprie abitudini richiede tempo, altrimenti arrivano i populisti che strumentalizzano questa insofferenza per l’osservanza delle regole e la cavalcano per i loro scopi elettorali. “
Qual è il ruolo della PAC all’interno dei problemi e delle rivendicazioni degli agricoltori? si pensa di modificarla, se sì in quale maniera?
“La Politica Agricola Comune ha un ruolo molto importante, nasce negli anni ’50 quando l’U.E. era formata solo da 6 paesi ed era un’area importatrice netta dal resto del mondo. Usciva dalla guerra mondiale, aveva avuto la carestia, quindi avvertiva un problema strategico di sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. La PAC di un tempo era un patto sociale tra l’agricoltura e i governi dei paesi sviluppati. Io ti do più soldi e tu aumenti la produttività e produci più alimenti e la tua manodopera in eccesso nell’agricoltura viene a lavorare nell’industria La Politica agricola comune ha avuto questo doppio ruolo: da una parte incentivare una maggiore produzione e dall’altro regolare l’esodo dalle campagne. Poi ad un certo punto l’ Unione Europea è diventata eccedentaria di prodotti agricoli perchè gli agricoltori hanno risposto a questi incentivi e hanno cominciato a produrre fin troppo. Successivamente, l’agricoltura ha inglobato la dimensione territoriale: non solo produzione agricola, ma anche sviluppo delle aree rurali. Questo cambiamento produsse molte polemiche, all’epoca i portatori d’interesse del settore agricolo furono in disaccordo e invece fu una cosa intelligente perché tutta la partita dello sviluppo delle aree rurali è stata inglobata nella politica agricola che quindi ne ha acquisito anche la competenza. Ora, che anche l’ambiente sta facendo giustamente irruzione nelle politiche agricole, dovrebbe succedere la stessa cosa. Gli agricoltori non dovrebbero considerare l’ambiente un corpo estraneo, ma dovrebbero accoglierlo, a patto però di avere voce in capitolo nella modalità con cui gestire i relativi vincoli e nella progressività con cui applicarli. Questa dovrebbe essere, secondo me, la transizione ecologica. Se gli agricoltori riusciranno a coniugare, nei confronti della società, la capacità di gestire la partita ecologica avranno la possibilità di avere più fondi pubblici. Se viceversa si metteranno sulla difensiva scoppierà il conflitto. Dall’altra parte, gli ambientalisti, non devono demonizzare gli agricoltori che comprensibilmente fanno resistenza ad applicare regole che non capiscono”.
“La Pac attuale vale fino al 2027,” ricorda De Filippis, “i meccanismi decisionali della PAC e le procedure per modificarla sono estremamente lenti, per cui sicuramente non c’è il tempo e lo spazio politico-istituzionale per riformare profondamente l’attuale PAC prima del 2027, si andrà avanti a forza di piccole deroghe. A ottobre o novembre si nomineranno le nuove istituzioni comunitarie e sicuramente nella primavera del 2025 la nuova Commissione farà le prime proposte di modifica e poi, nel giro di un paio d’anni, si deciderà e si scriverà la PAC successiva al 2027. Oggi è il momento in cui gli stati membri e i gruppi di interesse ambientalisti, agricoltori, cittadini, dovrebbero fare una loro riflessione per essere pronti poi a metterla sui tavoli giusti, per maturare una proposta da condividere.” Aggiunge ancora “Noi come paese, dovremmo essere pronti a partecipare in maniera non subalterna a questo processo cruciale di riscrittura della PAC in una fase di snodo in cui la Politica Agricola Comune diventa una politica agricola e ambientale comune.”
Quale influenza avranno i risultati delle prossime elezioni europee sulla riscrittura della PAC?
“Naturalmente le modifiche della PAC saranno fortemente condizionate dai risultati elettorali, che ci diranno se l’alleanza un po’ strana che ha dato vita alla cosiddetta maggioranza Ursula è riproponibile o no. Alcuni pensano potrebbe emergere addirittura una maggioranza di centro-destra, io non credo. Una forza baricentrica come i Popolari europei, in Italia Forza Italia, se assume una posizione europeista è poi più facile che continui a fare un’alleanza con i progressisti. È chiaro che la maggioranza che verrà fuori condizionerà anche le politiche ambientali. È anche vero che, come è accaduto nel passato per il fotovoltaico e per l’auto elettrica, gli stakeholder ambientali sono già al lavoro perché accanto all’ambientalismo dei cittadini e delle associazioni ambientaliste c’è l’ambientalismo che fa business. Bisognerà anche vedere se l’agricoltura biologica si rafforzerà a livello comunitario. In ogni caso nel bilancio dell’UE le politiche per l’agricoltura e le politiche di coesione, per le strutture e i fondi territoriali, sono quelle che contano di più.”
Il tema delle migrazioni come impatta con le cose che hanno a che fare con l’agricoltura?
Per quanto riguarda l’Europa e l’Italia il tema della immigrazione può essere visto in positivo, perchè l’agricoltura ha bisogno di manodopera e ha tutto l’interesse a regolare gli arrivi e ad accogliere. Coldiretti, ad esempio, che è stata abbastanza critica sul fronte ambientalista, sul fronte dell’immigrazione ha sempre chiesto una politica di accoglienza. Perché naturalmente gli immigrati servono all’agricoltura e servono anche immigrati che non siano preda del caporalato e della criminalità organizzata. L’agricoltura potrebbe essere un laboratorio dove sperimentare politiche di accoglienza,” aggiunge convinto “però il tema è veramente complesso. La stessa Europa che si autoproclama campionessa dell’ambiente, della de carbonizzazione del mondo, alza le mani sul fronte dell’accoglienza degli immigrati, dando spazio alle sacche di intolleranza di alcuni paesi. Occorrono politiche di lungo periodo per far fronte all’immigrazione che ormai è un fenomeno fisiologico non patologico. Le popolazioni si sono sempre mosse, il fenomeno diventa patologico nei casi di guerre, epidemie, effetti del cambiamento climatico, ecc. L’Agricoltura potrebbe essere uno dei laboratori in cui studiare delle politiche almeno settoriali di come regolare i flussi migratori. D’altra parte l’agricoltura con la PAC è stata anche un gran laboratorio delle politiche sociali. L’Agricoltura da questo punto di vista anche sul fronte dell’immigrazione potrebbe dare un contributo in positivo”.
Nadia Luminati
(4 giugno 2024)
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