Il 1° novembre scorso, due comunità, quella srilankese e quella sikh, si sono riunite per celebrare due festività, la Kathina e il Diwali, cadute nello stesso giorno, dalle origini diverse, ma entrambe ricorrenze importanti e aperte a chiunque avesse voluto prenderne parte, indipendentemente dalla fede religiosa. Le celebrazioni, gioiose, hanno rappresentato un momento di incontro e condivisione, un’occasione per rinsaldare i legami con familiari e amici, per scambiarsi doni ed esprimere la propria cultura e identità.
La comunità srilankese si è riunita nel monastero buddhista di Rocca Cencia, per celebrare la Kathina, una festività cara ai buddhisti della tradizione Theravada, di cui gli srilankesi costituiscono la maggioranza. La parola kathina indica un panno di cotone offerto ai monaci ogni anno allo scopo di confezionare delle vesti per riaffermare il rapporto di reciproco sostegno fra monaci e laici buddhisti. La kathina si celebra in ogni monastero al termine del periodo dei monsoni e ha origine da un dono che fece Gautama Buddha a un ordine monastico. La pratica si è consolidata nel corso dei secoli e, in particolare, nella tradizione Theravada, dove molta enfasi è posta su questo tipo di offerte perché, secondo gli insegnamenti del Buddha, non c’è niente di più edificante della generosità verso gli altri.
La Kathina: una cerimonia dai molti significati
La festa ha avuto inizio alle undici del mattino: le persone presenti hanno sfilato uno alla volta portando tra le mani un cuscino con sopra un involucro rosso, chiamato “atapirikara”, contenente i vestiti da consegnare ai monaci. La fila era lunga e aveva inizio ben oltre l’entrata, sulla strada, dove alcuni partecipanti danzavano a ritmo dei tamburi indossando costumi tradizionali dai colori accesi. L’atmosfera era festosa, con numerose bandiere buddhiste che fluttuavano al vento e decoravano ogni angolo del monastero. La celebrazione è stata anche un’occasione per commemorare i morti: i monaci, infatti, hanno pregato per coloro che sono passati a miglior vita di recente per dare loro un supporto nell’aldilà. Sono state accese candele e depositati mazzi di fiori ai piedi dell’altare con una grande statua di Buddha che abbracciava con lo sguardo la folla all’interno del monastero. Il capo dei monaci, Molligoda Dheerananda Thero, ha aperto la cerimonia rituale recitando un mantra, accompagnato dalla voce dei fedeli, a occhi chiusi e con le mani giunte. “Possano tutti essere benedetti con ricchezza e prosperità, possa il viaggio di coloro che sono morti essere favorevole, possa la Nobile Verità essere compresa”. Un’atmosfera di devozione ha avvolto il monastero mentre tutti erano assorti nella preghiera e sussurravano le parole di rito. A seguire, i monaci hanno acconsentito a che venissero consegnate altre offerte rituali: la comunità ha donato soldi, curiosamente appesi a un piccolo albero, e cibo preparato in casa, offerto ai monaci in segno di rispetto e devozione.
“I monaci digiunano da mezzogiorno fino al mattino del giorno dopo” riferisce una giovane ragazza srilankese lì presente. “Possono bere solo acqua o tè per mantenere il corpo più sano e lo spirito più forte. Anche mio fratello è un monaco, nello Sri Lanka, e grazie a lui ho avuto una visione diversa della vita, dobbiamo imparare ad apprezzare e accontentarci delle piccole cose, se vogliamo vivere bene”. Seduti dietro a un lungo tavolo, i monaci hanno accettato i piatti offerti e hanno consumato il pasto prima che passasse il mezzogiorno. I fedeli hanno atteso che finissero, in segno di rispetto, e solamente dopo hanno mangiato anche loro. Dopo momenti di profonda riflessione e di preghiera, si è passati a un’atmosfera più conviviale; hanno fatto capolino vassoi e contenitori con macedonie, carne, curry di frutta e verdure e tante spezie, a disposizione di tutti. Il profumo dei piatti serviti, insieme a quello dell’incenso, pervadevano l’aria mentre la comunità srilankese era lì riunita, sorridente, per quella ricorrenza importante che ha rappresentato solo un frammento del ricco e complesso mondo del buddhismo Theravada.
Nel corso della stessa giornata, la comunità Sikh di Lavinio ha celebrato il Diwali, anche nota come Festa delle luci, presso il Gurudwara Gobind Sar Sahib, il tempio sikh, in via Padellara. La festa, una delle più amate e celebri al mondo, deriva dal termine sanscrito Deepavali, che significa “fila di luci” e ha radici profonde nella cultura indù, ma viene celebrata anche da altre tradizioni religiose come il sikhismo. Il Diwali ha un’importanza significativa per i Sikh che commemorano la liberazione del sesto Guru, Hargobind Sahib, imprigionato dai governanti Mughal, insieme a 52 prigionieri politici. La storia racconta che il Guru si rifiutò di accettare la propria libertà fino a quando anche gli altri prigionieri non fossero stati liberati. Diwali è quindi simbolo di libertà e giustizia per la comunità sikh, che celebra questa occasione con la preghiera, l’accensione delle lampade e con spettacoli di fuochi d’artificio.
Il Diwali: la preparazione della festa
Su ogni tempio sikh si issa il “Nishan Sahib”, una bandiera di color arancione con sopra raffigurata una spada a doppio taglio, che simboleggia la relazione del potere temporale e di quello spirituale nel modo di vivere Sikh. Sul tempio di Lavinio la comunità sikh ha issato anche la bandiera italiana in segno di integrazione e rispetto per il paese in cui vive. “Sono italiano, nato in Italia e studio medicina” racconta un ragazzo che indossa il costume tradizionale sikh, con un alto turbante, e fa parte di un gruppo che insegna arti marziali e si prepara alla cerimonia da eseguire all’interno del Diwali. “Il Diwali per noi ha lo stesso significato del Natale per i cattolici” spiega. “Siamo una comunità numerosa, insediata in questi luoghi da generazioni, ma purtroppo non sempre ben visti, anche a causa della nostra osservanza religiosa, io ad esempio, sto avendo molta difficoltà nell’ambiente universitario a causa del mio aspetto: i miei compagni mi chiedono se sono un terrorista dell’Isis perché porto capelli e barba lunghi. Noi siamo, al contrario, molto inclusivi, per noi non esiste una razza meno degna di un’altra. Siamo tutti uguali, ma portare il turbante simboleggia la nostra connessione con Dio, è un modo per riconoscerci, fa parte della nostra identità, non possiamo separarcene”.
Nel frattempo, mentre all’esterno dei padiglioni si preparano le danze rituali, in un locale chiamato langar, si organizzano i pasti: la gente arriva e si siede per terra. Il langar è una cucina comunitaria, aperta a tutti e sedersi per terra è segno di uguaglianza. Prima di accomodarsi nel langar, si divide un dolce sacro, fatto di semolino dolce e burro, chiamato karah prashad, che viene benedetto alla fine della funzione e donato alle persone che escono dal Tempio e lo ricevono a mani giunte. Il pasto servito è solitamente a base di cereali e verdure, la religione sikh è essenzialmente vegetariana, non consente il consumo di carne. Si offre cibo caldo a tutte le persone che ne abbiano bisogno, indipendentemente dal loro status sociale, dalla loro origine, dal loro genere e dalla loro appartenenza religiosa. “La caratteristica più suggestiva dei sikh” racconta Sara, italiana ma sposata con un ragazzo indiano mussulmano “è la loro capacità di accogliere tutti, dagli induisti ai mussulmani, nei momenti di preghiera e di festa si accettano tutti”.
Il Diwali: il rito nel Tempio
Nel tempio, intanto, continua ininterrottamente la lettura del testo sacro, il Guru Granth Sahib, di fronte ai fedeli. Nella religione Sikh non c’è una figura sacerdotale ma può essere considerato ministro di culto il “Granthi”, il curatore del Libro Sacro, e cioè chi compie il servizio divino quotidiano. I credenti entrano scalzi, a capo coperto, e si avvicinano all’altare per lasciare un’offerta che può essere in denaro ma anche vivande cucinate a casa e portate, in segno di solidarietà, a chi sta officiando il rito religioso. Le donne sfoggiano abiti eleganti e colorati, sono sorridenti e si salutano con cordialità, mentre si avviano ad accendere i lumi e le lanterne simboliche che illumineranno la sera che avanza. C’è chi prega, chi s’inchina e chi attende parenti e amici prima di fare ingresso nel Tempio e quasi tutti entrano poi nel langar, a consumare il pasto insieme agli altri, in quello spazio comunitario ed accogliente.
Testo di Nadia Luminati & Alessandro Masseroni
Foto di Alessandro Guarino & Francesco Mancini
(08 novembre 2024)
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