L’affido familiare, regolamentato dalla legislazione italiana, è una misura di protezione e sostegno dei minori, che si trovano in situazioni di difficoltà o a rischio che impediscono loro di crescere adeguatamente all’interno della propria famiglia di origine.
La normativa nazionale sull’Immigrazione riconosce anche ai MSNA, i minori stranieri non accompagnati, che arrivano in Italia senza figure di riferimento, il diritto di vivere in un ambiente familiare, anzi, prevede che l’affido familiare sia scelto in via prioritaria.
L’affido familiare: l’accoglienza da prediligere per i MSNA
“Vivere in una famiglia, anche se per un periodo breve, aiuterà il minore straniero ad integrarsi più facilmente, fornendogli un supporto affettivo che favorirà la sua crescita, la conoscenza della società e della lingua italiana. Tuttavia, resta anche la forma di accoglienza meno utilizzata” spiega Carla Garlatti, Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, “per questa ragione, abbiamo attivato due progetti, finanziati con i Fondi Fami, i fondi europei gestiti dal Ministero dell’Interno: uno riguarderà una nuova edizione del progetto di monitoraggio della Tutela volontaria, perché la figura del tutore è una figura molto importante anche ai fini dell’integrazione. L’altro, il progetto AFFIDO, è necessario proprio alla luce della legge n. 47 del 2017,conosciuta anche come Legge Zampa, che ha introdotto significative modifiche al complesso delle disposizioni nazionali, con l’obiettivo di rafforzare gli strumenti di tutela in favore dei minori stranieri non accompagnati e che indica come forma di accoglienza da prediligere, quella dell’affido in una famiglia.”
“Con questo progetto noi cerchiamo di promuoverne la diffusione e sensibilizzare la collettività perché l’affido non solo favorisce il percorso di integrazione e d’inclusione del minorenne straniero ma rappresenta una crescita per l’intera comunità”. “Inoltre, noi lavoreremo in sinergia con tutti gli enti che sono coinvolti in partenariato” continua la Garante, “ il Coordinamento nazionale comunità accoglienti (Cnca), la Fondazione Don Calabria per il sociale ETS , l’Istituto psicoanalitico per le ricerche sociali Ets (Iprs)” comprese le associazioni dei tutori che si sono andate formando per favorire l’affido in famiglia, parteciperanno tutti alle nostre attività.”
L’affido familiare: l’importanza della figura del Tutore volontario
“Il tutore è quella figura alla quale il minore può fare immediatamente riferimento, prima della famiglia non solo per gli aspetti burocratici ma anche relazionali”, ribadisce Carla Garlatti, con convinzione. “Abbiamo attualmente 3783 tutori su 19.696 minori soli, il dato è, come si può capire, assolutamente insufficiente, anche se molti minori arrivano in Italia alle soglie della maggiore età.
Il momento in cui diventano maggiorenni è delicatissimo: sarebbe importante che venisse attuato il proseguo amministrativo, fino a 21 anni. Nel processo d’integrazione, il tutore gioca un ruolo fondamentale, così come la famiglia, nel capire determinate dinamiche”
Il neo maggiorenne è una figura sulla quale non c’è sufficiente chiarezza e soprattutto non c’è chiarezza tra tutore e gli altri soggetti che operano intorno a lui: dal servizio sociale a chi gestisce le comunità”. Specifica poi la Garante, “nel progetto che riguarda l’incentivazione della Tutela Volontaria, si farà un monitoraggio di tipo quantitativo: chi sono i tutori, quanti ce ne sono ecc., nel 2021 è stato fatto, invece, un monitoraggio di tipo qualitativo: abbiamo cercato di far emergere le differenze tra chi ha e chi non ha il tutore e le criticità che riguardano la conoscenza della sua figura.
L’affido familiare: i numeri esigui
Poi, parlando di numeri, “Di fatto, se nel primo monitoraggio che abbiamo effettuato avevamo rilevato un 3% scarso di affidi familiari, ora non arriviamo all’1%. Per contro, se guardiamo solo ai minorenni ucraini, che attualmente sono 3700, lì l’affido funziona per l’84%. Però c’è da dire che per i minori ucraini è una storia a sé perché non hanno un progetto migratorio e hanno sul territorio una rete di familiari che, pur non essendo persone che esercitano la responsabilità genitoriale, rappresentano un riferimento affettivo, sono magari zie o nonni. Bisogna dire, anche, che la disponibilità dimostrata dalle famiglie nei confronti dei minori ucraini non è riscontrabile per quanto riguarda gli altri minorenni stranieri”
L’affido familiare: la paura del diverso
“ Le motivazioni che spingono le famiglie a non accogliere un minore straniero solo nelle loro case sono, molto probabilmente, originate da un sentimento di paura di ciò che sentiamo e percepiamo come diverso, non agevolata dal mondo della Comunicazione.” Afferma la Garante “Spesso vediamo associato l’immigrato al violento, c’è un po’ una narrazione negativa in generale per tutti i ragazzi, se poi i ragazzi sono stranieri la narrazione diventa ancora più aspra. Mi sono resa conto che quando i media danno la notizia di reato da parte di un minorenne, se non si dice niente sulla nazionalità vuol dire che è italiano, perché se è straniero è la prima cosa che viene scritta. Si fa l’equiparazione straniero uguale violento e questo vale anche per i minori stranieri. Quindi è comprensibile che chi deve accogliere in casa sua una persona straniera ci pensi parecchio prima di fare questo passo. Non credo che la difficoltà di ricorrere all’affido si possa attribuire al particolare periodo storico-politico che stiamo vivendo; le famiglie disposte ad attuare l’affido, sono sempre state poche, e non solo per i minori stranieri.” Sottolinea ancora Carla Garlatti, “l’istituto dell’affido merita di essere rilanciato a tutti i livelli anche per i minori italiani.”
L’affido familiare: integrare non significa assimilare
“Come Autorità Garante per me il perimetro importantissimo è quello della Convenzione di New York che, è bene ricordarlo, essendo stata ratificata in Italia è legge dello Stato italiano. La Convenzione di New Work, proprio nel suo preambolo, esalta l’importanza della famiglia, la necessità di aiutare la famiglia e il diritto del minorenne a vivere in una famiglia felice. E’ l’unica legge dello Stato italiano che usa la parola felice. Quindi il minorenne che si viene a trovare in un contesto familiare sicuramente potrà avere delle facilitazioni nell’integrazione, che io tendo sempre a ricordare” sottolinea Carla Garlatti, “integrare non significa assimilare, sono due cose diverse. Il minorenne che proviene da una determinata cultura, anzi, non deve perdere le sue radici culturali, ma deve capire come si vive in un altro contesto”.
“Nelle visite che ho fatto nei centri di prima e di seconda accoglienza, di minorenni ospitati in comunità” racconta infine“ mi sono resa conto che loro percepiscono delle differenze notevoli tra la loro e la nostra cultura. Ad esempio, la ragazza che fuma per strada, a loro fa una certa impressione, non positiva, per contro, ricordo che un ragazzo del Mali mi disse che noi italiani non abbiamo rispetto per gli anziani perché Io, appena arrivato a Roma, in autobus, quando vedevo una persona anziana, mi alzavo e gli cedevo il posto, mi ha raccontato il giovane, riferisce la Garante, però ho visto che ero l’unico che lo facevo e ora non lo faccio più. “ha cominciato ad integrarsi” conclude, Carla Garlatti, con una vena di ironia.
Le diverse forme dell’affido familiare
“L’affido familiare poi si può declinare in vari modi: non deve essere necessariamente tutto il giorno, c’è quello solo diurno oppure l’affido solo nel fine settimana, ci sono varie forme che si potrebbero promuovere” aggiunge poi “ Sono molto fiduciosa. Gli italiani sono persone fondamentalmente generose, basta pensare a quanto funzioni il volontariato in Italia, mi auspico che con la giusta sensibilizzazione intercettino anche questo settore che, per il momento, fa molta fatica ad essere preso in considerazione.”
Per chi sostiene, invece, sia meglio affidare i minori stranieri soli a famiglie omoculturali, residenti sul territorio italiano ma appartenenti alla stessa cultura del minore, la Garante afferma, “Dipende molto dalla famiglia che accoglie, se la famiglia non è riuscita ad integrarsi, e sinceramente ci sono parecchi casi di questo genere, ad esempio il marito che lavora conosce l’italiano ma la moglie che resta a casa non parla la nostra lingua, non c’è un vero aiuto nei confronti del minore; ma se la famiglia è adeguatamente integrata, ed è capace di offrire l’accoglienza di cui il ragazzo ha bisogno, potrebbe essere vantaggioso e meno traumatico per il ragazzo. Io però penso che se il ragazzo ha un progetto migratorio che contempla di rimanere a vivere in Italia, è meglio che viva con una famiglia italiana, che sia però adeguatamente supportata. Le famiglie, sappiamo, che spesso, purtroppo, vengono lasciate sole e invece hanno un forte bisogno di sostegno. Non parlo di sostegno economico, naturalmente serve anche quello, mi riferisco soprattutto ad un sostegno culturale perché non possono improvvisare, e a loro volta devono capire dinamiche che appartengono ad una cultura diversa.” Poi, parlando di una questione che le sta a cuore “La conoscenza della lingua è importantissima, come è importante l’andare a scuola, la scuola è fondamentale perché si parli d’integrazione.” Racconta infatti “ In queste visite che ho fatto nelle comunità, quando giravo nei centri, una domanda che facevo spessissimo era: avete legato con i vostri compagni di classe? Vi invitano a casa loro? Mi rispondevano di sì ma la mia percezione era che esprimessero più un loro desiderio che la realtà”.
L’accoglienza dei MSNA
I MSNA, contrariamente al previsto, rimangono a lungo nei centri non destinati a loro, soprattutto nella prima accoglienza. “ Ho avuto modo di dirlo tante volte, soprattutto per quanto riguarda i centri di prima accoglienza, i CAS e gli Hotspot , ci si è mossi sempre sull’emergenza laddove è difficile definire emergenza un fenomeno che dura da anni, tra l’altro attualmente, come abbiamo già detto, sono numeri non impressionanti rispetto ad alcuni anni fa, ma continuando a lavorare sempre sull’emergenza, si tamponano le situazioni provvisoriamente, quello di cui invece c’è bisogno è la creazione di Centri di prima accoglienza con procedure snelle e uguali per tutti. Si pensi solo al fatto che il primo colloquio che devono sostenere all’interno del centro di accoglienza è stato definito solo un paio di mesi fa, quindi con grandissimo ritardo.”
L’affido familiare: i tempi e gli obiettivi del progetto
Il Progetto AFFIDO, che partirà a breve, avrà la durata di 30 mesi ma ci saranno sicuramente delle tappe intermedie, verranno predisposti dei piani di promozione dell’accoglienza familiare, di sensibilizzazione delle famiglie, un sostegno agli Enti locali che vogliono rafforzare le strategie d’intervento in questo ambito. L’azione parte dai comuni che già accolgono minori stranieri non accompagnati perché sono già titolari di progetti SAI, inoltre, essendo la seconda accoglienza solo su base volontaria, sono territori già sensibili a queste tematiche. L’obiettivo è quello di mettere in rete e facilitare lo scambio di expertise tra enti locali ed enti di terzo settore. L’intento è quello di lavorare insieme per capire come sostenere con più determinazione le risorse, con più impulso lo strumento dell’affido, studiando quali sono state le criticità e le debolezze che ne hanno ostacolato lo sviluppo. Perché non ha funzionato, e lavorare per superare quelle criticità.”
Nadia Luminati
(5 dicembre 2024)
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