Farhia Mo’Allim ha 24 anni. Ne aveva solo 19 quando ha deciso che la Somalia non era il paese per lei, per concretizzare il suo futuro ed i suoi obiettivi. E così ha affrontato un viaggio periglioso sino ad approdare sulle coste alla volta dell’Italia. “Sono giovane, ed ho sentito come un dovere quello di darmi l’opportunità di vivere la mia vita” afferma con convinzione “oltre i conflitti che non dipendono dalla mia volontà né tantomeno dalle mie scelte.”
Il lavoro e l’identità. Una volta in Italia Farhia ha continuato a cercare un suo posto, un ruolo nel nuovo paese in cui si trovava. In Somalia aveva frequentato le scuole superiori, si era diplomata, ed aveva già iniziato a lavorare presso un negozio, attività che ha continuato a svolgere per qualche tempo anche in Italia. Oggi lavora in una famiglia si prende cura di una coppia di anziani. Comunicare con loro è estremamente difficile per Farhia, le pesa, vorrebbe parlare con loro, riuscire a farsi comprendere ed a capire ciò che vogliono dirle. Ma purtroppo i tentativi di apprendere l’italiano non hanno ottenuto i risultati sperati, ed il lavoro si è placidamente fuso con una silenziosa convivenza, scandita dagli orari dei pasti.
La colazione, il pranzo e la cena sono ovviamente appuntamenti immancabili, tanto che solo un giorno a settimana Farhia può allontanarsi da casa per un tempo più lungo, che non sia quello necessario quotidianamente per andare a fare la spesa. E durante il Ramadan, le normali mansioni domestiche richiedono un maggiore impegno “Il mio lavoro è preparare da mangiare. La mia fede richiede un mese di digiuno. Non mi è difficile rispettarlo perché ormai sono abituata, lo faccio da quando avevo 14 anni.” Ricordando che quando ha iniziato a partecipare alla tradizione del Ramadan era appena un’adolescente, Fahria ribadisce consapevole “All’inizio era facile digiunare, non lavoravo quindi avevo meno bisogno di energie da spendere. Certo ora è più dura, ma non ci faccio neanche molto caso, lo rispetto volentieri e senza sacrificio.”
Non le è possibile recarsi all’iftar, né farla con chiunque appartenga alla sua comunità o sia musulmano come lei, poiché il suo lavoro non glielo consente. Ma di una cosa è certa, “Alla conclusione del mese del Ramadan andrò alla Grande Moschea, sarà una splendida festa, e non posso certo mancare!” Conclude con una nota di malinconia, di mancanza, della sua famiglia, della sua terra, “In Somalia sono rimasti i miei genitori. Per fortuna anche i miei fratelli e sorelle sono andati via, e vivono e lavorano in Danimarca, per potersi conquistare la vita che desiderano”.
Piera Francesca Mastantuono
Foto di Vittoria Mannu:http://www.flickr.com/photos/kalewa/“
(2 agosto 2012)